Mezzogiorno: la sfida dei prossimi cinque anni

Quanto riportato di seguito sembrerà troppo tecnico, troppo ricco di dati e, addirittura, molti ritroveranno una forte carica di pessimismo, per alcuni, forse, una forma di terrorismo mediatico, ma essendo io meridionale cerco sempre in tutti i modi di denunciare la complessità della sfida, per cercare di vincere, per cercare di difendere una occasione irripetibile che il Sud non può e non deve perdere. Abbiamo una disponibilità finanziaria per gli interventi nel Mezzogiorno enorme e, per essere davvero convinti di tale irripetibile occasione, leggiamo insieme le varie coperture.

Cominciamo con i circa 30 miliardi di euro di risorse non impegnate del Programma 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione (Capitolo 8.000 del ministero dell’Economia e delle Finanze per un valore di 30,441 miliardi con una disponibilità di competenza di 10 miliardi per il 2021, 11,5 per il 2022 e 9 per il 2023 e con una disponibilità di cassa di 2,9 miliardi per il 2021, 3 per il 2022 e 0,9 per il 2023). Una disponibilità da “spendere” entro il 31 dicembre del 2023. Un vincolo impossibile, infatti il ministero dell’Economia e delle Finanze, conoscendo la reale capacità di spesa sia dei Dicasteri che delle Regioni, ha previsto nel triennio una disponibilità di cassa di soli 7 miliardi. È utile ricordare che di tali risorse solo l’85 per cento va alle Regioni del Sud e quindi trattasi di una assegnazione di circa 6,5 miliardi di euro.

Poi ci sono le risorse del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e del Piano complementare e la quota globale destinata al Mezzogiorno è pari a circa 95 miliardi di euro. A questi importi, a queste reali disponibilità, vanno aggiunti circa 83 miliardi di euro relativi ai Fondi strutturali comunitari del Programma 2021-2027 (comprensivo tale importo anche dei fondi per lo Sviluppo rurale); anche in questo caso le disponibilità per i territori del Sud si attestano su un valor globale di 70 miliardi di euro. Quindi, sommando questi importi scopriamo che il volano globale delle risorse destinate al Sud per i prossimi cinque-sei anni è pari a circa 192 miliardi di euro. Un volano rilevante con un vincolo drammatico: 30 miliardi vanno spesi entro il 2023, 95 – quelli del Pnrr – entro il 2026 e 70, quelli del Programma 2021-2027, entro il 2027 (con una possibilità di una proroga limitata, non di tre anni come avvenuto finora).

Un vincolo che appare insuperabile perché partiamo da due dati che fanno paura:

– del programma 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione, prima richiamato, sì quello che aveva una dote iniziale di 54 miliardi di euro, in sei anni siamo riusciti a spendere solo 3,8 miliardi;

– delle risorse, senza dubbio limitate, stanziate nelle varie Leggi di spesa nazionali dal 2015 al 2020, pari globalmente a circa 9 miliardi di euro, siamo riusciti a spenderne solo 2,3 miliardi di euro.

E allora gli allarmi sollevati dal neo sindaco di Napoli e dal sindaco di Bari mi fanno paura perché, a differenza dei presidenti delle Regioni completamente assenti su tale tematica, dichiarano da subito la impossibilità di onorare un simile impegno. Ribadisco ancora una volta che i presidenti delle Regioni del Sud non hanno finora sollevato una simile emergenza perché, escluso il presidente della Regione Calabria nominato poche settimane fa e quindi ancora non coinvolto direttamente, gli altri presidenti del Mezzogiorno vivono questa fase ancora una volta soddisfatti della penosa tecnica dell’annuncio, dell’assurdo compiacimento prodotto per il solo inserimento di un’opera, ubicata nella propria Regione, nel Pnrr.

Qui prende corpo un’altra emergenza: molte di queste risorse supportano interventi legati ai Programmi organizzativi nazionali (Pon), mi riferisco anche alle risorse assegnate alle Ferrovie dello Stato e ad Anas; infatti, di quel volano globale di 192 miliardi di euro circa 82 miliardi non rientrano nelle competenze dell’organo locale, cioè delle Regioni o dei Comuni. E in questo caso sarebbe bene che prendesse corpo una adeguata coscienza delle stazioni appaltanti centrali sul rischio di perdere le risorse o, cosa ancor più grave, di non disporre di Stati di avanzamento lavori (Sal) nel breve periodo e in tal modo non poter trasferire, sin dal 2022, cospicue risorse nel Bilancio dello Stato.

Non posso in proposito non ricordare quanto emerso in un convegno svoltosi pochi giorni fa dal titolo “I grandi investimenti in Italia. Il caso del collegamento ferroviario Salerno-Reggio Calabria”, dove è emerso che i 12 miliardi stanziati per la linea calabrese (sia dal Recovery Plan che dal Programma complementare) serviranno a coprire due dei sette lotti (vedi tabella allegata Asse ferroviario Alta velocità Salerno-Reggio Calabria). Per completare l’opera occorreranno, come si evince sempre dalla Tabella, 22,8 miliardi. Inoltre, i primi due lotti, è stato confermato dall’Amministratrice di Rete ferroviaria italiana, saranno disponibili solo fra nove anni; il resto non sappiamo quando e per questo forse può attendere il ponte sullo Stretto perché onestamente che senso ha investire circa 23 miliardi per rimanere bloccati per ore a Reggio, per non interagire con una scelta folle con una realtà di 5 milioni di abitanti come la Sicilia. Quindi questa naturale e oggettiva preoccupazione dell’organo centrale è ormai evidente e penso che lo stesso convincimento alberghi anche nell’Anas.

Ho già detto più volte che con gli strumenti procedurali disponibili o con le abitudini consolidate presso chi gestisce questi appalti non è assolutamente possibile immaginare il completamento delle varie opere entro i tempi fissati dalla Unione europea. Per cui insisto sulla urgenza di coinvolgere organismi privati e, al tempo stesso, invocare negli affidamenti lo strumento del canone di disponibilità. Questa soluzione, se presa anche dalle stazioni appaltanti locali, consentirebbe davvero la copertura integrale dei vari obiettivi progettuali; faccio solo l’esempio dell’asse ferroviario Alta velocità/Alta capacità Salerno-Reggio con il canone di disponibilità potremmo, utilizzando solo la quota allo stato disponibile, completare l’intero asse e non essere ancora una volta criticati dalla Unione europea sulla disponibilità, fra nove anni, del semplice collegamento tra Salerno e Praia.

Penso per un attimo all’imbarazzo del presidente Mario Draghi quando dovrà difendere un simile dato, quando dovrà dimostrare, al direttore delle politiche regionali ed urbane della Unione europea, Marc Lemaitre, l’impegno del nostro Paese nei confronti delle aree periferiche come la Calabria e la Sicilia.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 27 novembre 2021 alle ore 11:06