Un organismo per i porti del Sud Adriatico e dello Jonio

lunedì 10 gennaio 2022


Con grande soddisfazione abbiamo appreso la notizia della sottoscrizione di una intesa di cooperazione tra gli scali di Ravenna, Trieste, Venezia, Fiume-Rijeka e Capodistria. Oltre ai ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti dei tre Paesi, cioè l’italiano Enrico Giovannini, lo sloveno Jernej Vrtovec ed il croato Oleg Butkovic era presente anche il Commissario europeo per i trasporti Adina Valean che ha esordito precisando: “Il vostro è uno degli esempi migliori di collaborazione transfrontaliera; abbiamo bisogno di collaborazioni di questo tipo: ci saranno 25,8 miliardi di euro di fondi europei”.

In realtà trattasi di risorse disponibili fino al 2027 e di cui forse pronti per il prossimo anno solo 7 miliardi. Tutto questo, ripeto, ci riempie di grande soddisfazione e di apprezzamento di chi ha cercato di riaccendere operativamente una iniziativa encomiabile; molti chiederanno perché “riaccendere una iniziativa” che nei vari comunicati stampa è stata annunciata come una grande innovazione ed una felice intuizione dell’ultimo anno. In realtà la iniziativa vede la luce undici anni fa, in particolare nel 2010.

Il presidente del porto di Venezia del Napa (cioè del North Adriatic port association), Fulvio Di Blasio, sostiene che “presentare progetti integrati come sistema di 5 porti consente più efficacia per accreditarci sempre di più come green e smart port in tema di efficientamento energetico, sviluppo sostenibile, reti digitali, cyber security. Ma anche per finanziare le infrastrutture come quelle ferroviarie, tanto più in una fase di ridiscussione delle reti Ten-T e dei Corridoi mediterraneo e Adriatico-Baltico.

Nel 2010 però, ritengo opportuno ricordare che il Napa, costruito e proposto dal presidente Paolo Costa, era stato riconosciuto in sede Ten-T come “il progetto capace di riequilibrare Mar del Nord e Mediterraneo, eliminando l’anomalia della alimentazione dal Mar del Nord di traffici per l’Europa provenienti dal l’oltre Suez”. In sede europea, il corridoio Adriatico Baltico era stato esplicitamente pensato (Commissario Jacques Barrot al Consiglio dei ministri dei Trasporti di Bordo sotto presidenza slovena) con una radice marittima adriatica che doveva vedere i cinque porti divenire progressivamente un unico sistema portuale – tutti e 5 dovevano esser attrezzati per divenire banchine tra loro sostituibili da mega container e per farlo Trieste, Koper e Rijeka avrebbero usato dei loro fondali mentre Venezia e Ravenna si sarebbero serviti entrambi dell’offshore al largo di Malamocco; dove i fondali raggiungevano quota – 22 metri e ricordo che la Struttura tecnica di missione istruì il progetto di massima, lo inoltrò al ministero dell’Ambiente e lo sottopose alla approvazione del Cipe. È utile ricordare che il progetto Adriatico Ovest (Ravenna e Venezia) valorizzato dall’offshore avrebbe aiutato l’Adriatico Est (Trieste, Koper e Rijeka) a servire un mercato di 6 milioni di Teu altrimenti irraggiungibile. La Trilaterale Italia-Slovenia e Croazia (2013 Governo Letta) aveva fatto suo il progetto Alto-Adriatico, ritenendolo un progetto all’avanguardia della nuova strategia marittima dell’intero Mediterraneo. Addirittura, l’allora ministro Maurizio Lupi aveva fatto studiare la costituzione di una sola Autorità portuale italiana comprensiva di Ravenna, Venezia e Trieste “aperta” a Koper e Rijeka. Poi anche su un “effetto melina” della Regione Friuli Venezia-Giulia tutto si era bloccato e poi, con il ministro Graziano Delrio, nel 2015 si puntò tutto su Trieste assicurando, contestualmente, al porto di Ravenna un volano di risorse pari a 350 milioni di euro per arrivare a fondali di -13,50 anziché, come detto prima, ai -22 metri che avrebbe garantito l’offshore veneziano.

Ebbene, quello firmato l’altro giorno è un accordo per chiedere assieme all’Europa i soldi che serviranno per continuare ognuno a fare i propri interessi:

Ravenna con i suoi futuri fondali -13,50 metri non utili per ricevere le maxi navi da 15mila Teu;

Trieste con la prospettiva di un Molo VIII che andrà a rafforzare il lato Adriatico est e la sua concorrenza con Koper (che secondo l’accordo costruirà con proprie risorse la ferrovia per Divača-Lubiana, che toglie un rilevante mercato a Trieste e Venezia), ma non l’Adriatico Ovest

– Venezia ridotto ad accontentarsi di feeder da far arrivare in un nuovo terminale container con fondali da -10,50, sprecando spazi di Marghera, capacità ferroviaria esistente e facilmente aumentabile, e una centralità geografica padana e europea via Brennero.

L’accordo naturalmente prevede, per essere coerente con la moda degli ultimi due anni, interventi green a terra e in mare. Insomma, nulla che faccia cambiare il destino dell’Alto Adriatico (e dell’Italia) che continua a perder quote di mercato container rispetto a Spagna e Grecia in un Mercato Mediterraneo che i padroni dei porti del mar del Nord fanno crescere lentamente sotto il loro controllo e in accordo con i cinesi che noi abbiamo snobbato. Senza un terminale da -20 metri (come l’offshore del 2012 prima richiamato) e senza una Autorità unica, in condizione di confrontarsi con i grandi carrier marittimi, l’Alto Adriatico è destinato a vivacchiare.

Ora la cosa forse più significativa dell’operazione del 2010 era quella di aggregare gli interessi di tre Paesi sulla creazione di un grande scalo portuale offshore capace di aggregare un numero elevato di container e poi canalizzarne una parte sui vari cinque impianti portuali; soprattutto quella collaborazione perseguiva un obiettivo che, oggi, viene ancora una volta sollevato: evitare una concorrenzialità dei porti di Capodistria e Fiume. Nel primo caso, si parla del porto della Slovenia, di un porto che la Slovenia intende rilanciare al massimo e a cui si aggiunge la realizzazione in corso della linea ferroviaria di 27 chilometri tra l’Hub di Divača e lo scalo marittimo; non meno agguerrita la Port Autority di Fiume che il mese scorso ha sottoscritto un contratto con il concessionario del terminal Zagreb Deep Sea; in virtù di questa concessione, della durata di 50 anni ed un valore di 2,7 miliardi di euro, lo scalo croato si candida a diventare, nell’arco di un biennio, il primo molo container dell’intero Adriatico.

Quindi un annuncio che come detto all’inizio ci carica di buone speranze ma che nulla ha a che fare con la concretezza e con la validità della iniziativa del 2010. Tuttavia, questa ripetizione programmatica ha un merito: in fondo conferma la possibilità che iniziative del genere possano essere assunte anche da realtà portuali del Sud; pochi mesi fa prospettai la proposta di un accordo tra i porti pugliesi di Bari, Taranto, Brindisi e quelli di Bar nel Montenegro e di Durazzo in Albania per dare vita a un organismo societario unico mirato alla costruzione di impianti portuali capaci di accogliere maxi navi con capacità di 15mila Teu e, soprattutto, capaci di diventare davvero concorrenti con i tre porti transhipment del Mediterraneo come Algeciras, Valencia e Pireo.

Molti diranno che il Montenegro e l’Albania non sono ancora membri della Unione europea; a tale preoccupazione rispondiamo che il teatro economico che si sta costruendo nel Mediterraneo da oltre dieci anni non contempla più simili vincoli: la offerta portuale risponde a logiche di mercato che perseguono giustamente solo gli interessi dei soggetti preposti alla gestione dei singoli impianti. Tra l’altro, il Montenegro prima e l’Albania dopo entreranno a far parte della Unione europea ed è assurdo, ancora una volta, che i porti del Sud adriatico perdano una simile occasione. Molti, infatti, dimenticano che proprio la Unione europea nel 2005 aveva giustamente portato avanti il Corridoio comunitario numero 8 (Bari-Brindisi-Durazzo-Varna) per realizzare un “canale secco” stradale e ferroviario tra l’Adriatico ed il Mar Nero, oggi la Turchia sta realizzando addirittura un canale tra Mar Nero e Mediterraneo anticipando il grande sviluppo della portualità meridionale, della portualità proprio del basso Adriatico.

Perderemo per i porti del Nord Adriatico, pur in presenza di atti formali approvati dal Cipe nel lontano 2012, altri dieci anni? Perderemo per i porti del Sud Adriatico e Jonico le possibilità prospettate prima? Forse sì se si tiene conto che, oltre alla sottoscrizione degli accordi e alla produzione di annunci, per questo nuovo Napa allo stato non c’è nulla di concreto e per i porti del Sud Adriatico, a livello dell’organo centrale, solo la completa stasi.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)