Il mistero dei cantieri scomparsi

venerdì 14 gennaio 2022


Nel mese di luglio del 2020, cioè quasi un anno e mezzo fa conoscevamo già, in modo dettagliato, i possibili interventi infrastrutturali che avrebbero trovato collocazione nel redigendo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr); addirittura l’allora presidente Giuseppe Conte aveva assicurato che entro il 2020 avremmo avuto la prima tranche di 20 miliardi di euro e, avevamo ritenuto talmente sicura tale previsione, da garantire la intera copertura finanziaria della Legge di Stabilità 2021 con le risorse garantite dal Next Generation Eu. Alla fine di ottobre, sempre del 2020, avevamo l’elenco di tutte le opere infrastrutturali; elenco che è rimasto valido fino ad oggi. Quindi quando alcuni Ministri del Governo denunciano l’avvenuto trasferimento degli interventi ai vari soggetti attuatori dimenticano che in fondo la loro è stata una banale comunicazione, una banale conferma di ciò che i vari soggetti attuatori conoscevano già da almeno un anno.

Quello che preoccupa di più è la incoscienza dell’organo centrale nel misurare davvero la limitata disponibilità dei tempi: nel luglio del 2020, per la scadenza del 31 dicembre 2026, avevamo in fondo disponibili quasi sei anni e mezzo, oggi ci rimangono solo cinque anni.

In realtà in un anno e mezzo non siamo riusciti a cantierare ancora nessuna nuova opera e, cosa ancor più grave, continuiamo a istituire Commissioni, continuiamo a formare Comitati per esaminare le opere, continuiamo a istituire Governance, continuiamo a nominare commissari e super-commissari.

Sicuramente la mia è una previsione sbagliata, è forse una ipotesi pessimistica perché qualora si avverasse crollerebbe automaticamente la ricca serie di auto apprezzamenti formulati dai Ministri competenti come Enrico Giovannini o Roberto Cingolani, crollerebbe la serie di assicurazioni fornite da una serie di cronoprogrammi forniti dai vari soggetti attuatori. Tuttavia basta leggere attentamente, solo a titolo di esempio, il quadro programmatico prodotto da Rete Ferroviaria Italiana per convincersi che un soggetto attuatore come Rfi, sin dal mese di luglio 2021, in occasione del Contratto di Programma approvato dal Parlamento, aveva in modo trasparente ed inequivocabile denunciato apertamente che nel migliore dei casi le prime opere inserite nel Recovery Plan sarebbero state cantierate non prima del 2024 e, sempre le Ferrovie dello Stato, avevano, in modo corretto, ipotizzato il ricorso ad un Piano B qualora fosse venuta meno una coerenza temporale a quanto fissato dalla Unione europea.

Eppure, mi chiedo, perché abbiamo invocato tante procedure per annullare l’assurdo Codice degli Appalti istituito dall’ex ministro Graziano Delrio, eppure perché abbiamo ipotizzato possibili snellimenti procedurali capaci di consentire procedure più veloci nella fase di approvazione dei progetti e nel contestuale processo autorizzativo degli stessi, eppure perché abbiamo posto anche condizioni innovative nell’affidamento delle opere; perché tutto questo impegno normativo per poi non trovare, dopo un anno e mezzo, aperto neppure un cantiere.

Tra l’altro oltre alle risorse del Pnrr, ci sono i 30 miliardi delle opere del Piano complementare, ci sono le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione da spendere entro il 31 dicembre del 2023 e, quindi, per la prima volta i soggetti attuatori (Grandi aziende come Anas, Ferrovie dello Stato, ecc. o Enti locali come Regioni ed Aree Metropolitane) non hanno assolutamente carenze di risorse.

Allora se c’è questa immotivata stasi c’è da chiedersi dove abbiamo o stiamo ancora sbagliando; sicuramente come ho ricordato prima forse abbiamo ecceduto nella ricerca di metodi organizzativi e nella identificazione di momenti di grande coinvolgimento nella definizione e nell’attuazione delle scelte e abbiamo sottovalutato la importanza di lavorare da subito per singole tessere del mosaico Paese.

Cerco di essere più chiaro: per quale motivo non abbiamo preso una singola Regione o una macro Regione e sulla base dei progetti già definiti non abbiamo subito dato concreto avvio alla famiglia di opere che ricadevano in tale realtà territoriale. Autorizzando i soggetti attuatori, competenti nella realizzazione delle opere di tale ambito, a bandire le gare ricorrendo all’appalto integrato, cioè all’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo. Inizialmente vietato, l’appalto integrato è stato consentito prima fino al 31 dicembre 2020 e di recente, invece, il Decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020 convertito con modificazioni dalla legge 120/2020) ha prorogato la possibilità di appalto integrato fino al 31 dicembre 2021.

Come detto prima pur in presenza di tali provvedimenti si è continuato ad affrontare i grandi sistemi, ad elencare l’elenco degli obiettivi da raggiungere entro il 2021 e poi di quelli da raggiungere entro il 2022 e a dimostrare di aver adempiuto al raggiungimento degli stessi; per alcuni ministri questa esperienza è sembrata molto simile alla vecchia abitudine delle nostra infanzia quella di completare un album delle figurine; la finalità era aver incollato tutte le figurine; oggi, purtroppo, l’obiettivo è raccontare l’avvenuto completamento di passaggi senza verificare quando quelle proposte progettuali, ubicate fisicamente in un ben definito spazio territoriale, daranno vita ad espropri, daranno vita a posti di lavoro, daranno vita a misurabili cantieri e come cambieranno, in un arco temporale ben preciso, l’assetto socio economico di una realtà metropolitana, di una Regione, di una macro Regione.

Questo non è esasperato pragmatismo ma è solo una presa d’atto che il ritmo finora seguito, nella definizione e nel tentativo di attuazione del Pnrr, è completamente estraneo da una obbligata coscienza del fattore tempo e questa negatività diventa ancor più patologica per quelle opere ubicate nel Mezzogiorno d’Italia, di quelle opere cioè di cui, allo stato attuale, sono disponibili solo “studi di fattibilità” e quindi praticamente nulla che possa generare, in tempi brevi, cantieri operativi.

Questa mia affannosa denuncia persegue solo una finalità: evitare che, ad un primo tagliando sulla attuazione del Pnrr, esplodano tutte queste incongruenze, queste criticità e crolli in un attimo l’encomiabile lavoro fatto dal presidente Mario Draghi nel riverificare integralmente la proposta di Recovery Plan indifendibile prodotta dall’ex presidente Conte e garantirne finora l’avanzamento delle riforme. Voglio cioè evitare che un possibile fallimento sia causato dai sostenitori dei Governi del passato a cui comincia a dar fastidio che si sia passati dal vuoto di governo al governo del Paese.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)