Turismo: petrolio del 2000 e cattiva strada dell’economia

L’Italia è destinata a finire come il parco del Serengeti, o come il centro storico di Venezia e Firenze? Siamo diventati come le Cinque Terre liguri dove un caro Black Friday dura tutto l’anno, con code di turisti accaldati, sudati, e vampirizzati a colpi di caffè, focaccia e vino bianco. Tutti in fila per guardare a turno lo stesso scoglio, lo stesso pesce, toccare lo stesso albero e gli stessi sassi. Come è cominciato tutto ciò e perché il turismo è la strada sbagliata con la quale centinaia di nazioni hanno creduto di potersi trasformare in Paese dei Balocchi, dove mare, monti, centri storici sono diventati le nostre fabbriche e il nostro petrolio?

Scopo del presente articolo è criticare il turismo, affermando che esso ci condanna a:

– la trasformazione di tutto il territorio in fabbrica, ovvero in un iper-negozio dove ciò che si produce e vende sono il panorama o le case o il mare o la pista di sci;

– la concentrazione del reddito in poche mani (i gestori e proprietari di attività turistiche, balneari, sciistiche, ristoranti e bar dei centri storici) mentre l’imprenditoria in grado di dare un lavoro stabile e ben retribuito ai giovani laureati sparisce;

– la gentrificazione e falsificazione delle città e dei borghi, con la conseguente (auto)espulsione degli abitanti verso zone periferiche o città vicine. Il turismo ha prodotto la “balearizzazione” della vita dei giovani e degli adulti, con invidia sociale, sindrome di Pinocchio e Lucignolo, e con cittadini illusi che la vita sia tutta una vacanza, piena di bonus e balsamo solare;

– il colossale errore di non “curarsi più di niente”: pensa a tutto il portafogli collettivo. E così ci si è legati mani e piedi al petrolio e al gas russo (a che serve cercare idrocarburi nei nostri mari, compriamolo in Siberia!), mentre nessuno si cura del grano e della frutta.

Paradossalmente le città, invece di migliorare, imbruttivano sempre di più. L’ambientalismo alla Beppe Grillo, fatto di slogan, ci imponeva scelte orribili, come non mettere a reddito la spazzatura urbana con termovalorizzatori, come si fa nel Nord Europa. Quindi spazzatura ovunque, mare sporco come mai prima, vetri e plastiche ovunque (alla faccia del turismo stesso). Incredibilmente, la globalizzazione, dopo aver favorito la dislocazione dei grandi impianti industriali in Cina, India e altre zone col costo del lavoro più basso, ha dato il via al capitalismo turistico, che si fonda sulla rendita di posizione di chi già aveva un hotel, un impianto da sci, un ristorante in centro. Abbiamo trovato il nostro petrolio nel turismo, ma siamo crollati come il Venezuela di Hugo Rafael Chávez e le altre nazioni che si fondano su una sola fonte di ricchezza. La Russia, per esempio, ha abbandonato le industrie per lo sfruttamento degli idrocarburi: senza commercio né classe imprenditrice si è giocoforza allontanata dalla democrazia, diventando sempre più una dittatura in mano a ladri e oligarchi. Le zone meno turistiche d’Italia, ovvero le pianure di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che non si sono tuffate nell’oro del turismo, hanno dovuto costruirsi un altro futuro, lo stesso che ha portato alla ricchezza il resto dell’occidente: le Pmi e i servizi ad alto contenuto tecnologico. Il resto del Paese ha visto la monocultura turistica e i suoi tristi autunni.

Solo pochi studiosi nel mondo si sono occupati di turismo globale. Va senz’altro ricordato il francese Paul Virilio, che si è occupato di dromologia, anche nei suoi riflessi compulsivi, di “velocità e politica” (titolo di uno dei suoi testi), e di urbanistica. In Italia va ricordata la meritoria attività di Giacomo-Maria Salerno, autore di numerosi saggi, come “Per una critica dell’economia turistica” (Quodlibet, 2020).

Il turismo è l’industria più pesante del XXI secolo”. Con questa fulminante asserzione il giornalista e sociologo Marco D’Eramo ha riassunto la definizione di uno dei fenomeni più pervasivi della contemporaneità. Salerno, essendo veneziano, conosce bene cosa sia l’iper-turismo. A Venezia ogni anno arrivano oltre 30 milioni di turisti. Trenta milioni, mentre i residenti sono quasi tutti spariti, così come la loro cultura, la loro vita sociale. Venezia rappresenta il destino che l’Occidente sta riservando ai suoi centri storici, ridotti a parchi tematici destinati al consumo. Le Amministrazioni dei Comuni turistici – che guadagnano milioni da un concerto trap e altrettanto dalla tassa turistica e dai balzelli sulle tende da sole e i déhor – vivono anch’esse di rendita, come i burocrati delle satrapie persiane e dell’Unione Sovietica. Lo stop forzato dovuto al Covid sta inoltre portando a una vera e propria esplosione concentrata del turismo di massa nell’estate 2022.

L’episodio dei ragazzini di origine nordafricana, autori di scorribande, pestaggi, molestie sessuali tra Gardaland e il treno da Peschiera per Milano, è indicativo. Già la scorsa estate era esploso il fenomeno delle youth gang londinesi di quarant’anni fa. L’estate 2021 ha visto pestaggi e scorribande dei quindicenni nelle località turistiche. Questi affermano il loro “diritto” di essere anche loro padroni del territorio. Lo fanno con la violenza, l’ignoranza, le urla notturne, i cassonetti bruciati i vetri spaccati, le vecchiette molestate. È l’altra faccia del Paese dei Balocchi, quella di Lucignolo. Il “diritto alla città” sparisce. I residenti si attaccano alla casa di proprietà, che però ora comincia a valere di meno, se si trova nelle strade della “movida” o sulla passeggiata a mare. Il rumore estivo è tollerato dalle polizie municipali, perché “fa turismo”. I cani ululano fino al mattino. I residenti pagano prezzi maggiorati per il pane, la frutta, il pesce. La “loro” autostrada è intasata. La qualità della vita è sparita nei centri colpiti dall’iper-turismo, alla faccia dei premi rilasciati con tanto di cotillon e fanfara. Lo Società dello spettacolo si è ridotta a un miserabile avanspettacolo.

Eppure, il turismo (ovvero lo spostamento da un posto a un altro più patinato) vale da solo il 10 per cento dell’economia mondiale (inclusa l’Africa e la Siberia!). Afferma Salerno: “Nel nostro Paese ci troviamo di fronte a classi dirigenti che per decenni l’hanno descritto come “il petrolio d’Italia”, costruendo su questo settore un strategia di vera e propria politica industriale che mostra oggi tutti i suoi frutti. Si è deliberatamente deciso di non investire in ricerca e innovazione per puntare tutto sullo sfruttamento intensivo di questa strana “risorsa”, che è poi costituita dai valori ambientali, sociali e culturali di cui vivono i nostri territori, senza però prenderne in considerazione le conseguenze. (…) In un Paese di cui si proclama continuamente la “vocazione turistica”… in pochi si soffermano a raccontare che tipo di economia e di società produce questa scelta strategica: che impatti ha sul mercato della casa nei contesti di emergenza abitativa? Quali effetti produce da un punto di vista ambientale, di consumo di suolo, di sfruttamento delle risorse naturali? Che tipo di mercato del lavoro tende a generare, in termini di precarietà, retribuzione, assenza di tutele, formazione della forza lavoro?”.

La mia città balneare, di 16mila abitanti sulla costa ligure, negli anni Ottanta, aveva ancora una grande fabbrica dove ogni adulto trovava lavoro. Il turismo non era ancora globale, i milanesi meno ricchi che arrivavano affittavano una camera o un appartamento, gli altri andavano in hotel. Il turismo durava tre mesi e d’inverno la città respirava. Con quello stile di vita la ricchezza portata dagli arrivi del “bagnanti” era un perfetto surplus che creava ricchezza vera e allargata. Poi, la globalizzazione e la chiusura della fabbrica, favorita da una decina di anni di cassa integrazione, durante la quale in molti si diedero a nuove attività. I sindaci puntarono tutto sul turismo. Oggi la città è più povera (in prospettiva almeno), sporca e socialmente morta.

Importante anche il lavoro svolto da Sarah Gainsforth, autrice di “Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale” (DeriveApprodi, 2019): “Airbnb ha contribuito a trasformare le principali città del mondo in parchi a tema per turisti e resort per ricchi.”. In questo modo non si producono più merci. I residenti diventano gli operai di se stessi: affittano l’appartamento e se vanno nell’entroterra. Ma una nazione può vivere di solo Airbnb? I nostri figli possono restare nelle nostre Rapallo da laureati che fanno i camerieri? Non è meglio andare a Londra dove almeno si cerca ancora di dare al lavoro e alla vita una forma meno artefatta, ovvero quella di “A ciascuno secondo il suo merito”?

(*) Foto al centro: Sestri Levante, domenica 5 maggio ore 13

Aggiornato il 09 giugno 2022 alle ore 10:50