Italia: un caso di tassodipendenza

Le spiegazioni e, soprattutto, le previsioni in campo economico sono notoriamente non solo molto difficili ma anche quasi sempre incerte. Tuttavia, in merito all’inflazione che stiamo subendo, va riconosciuto che essa era prevista da buona parte dei manuali di politica economica nonché da quegli economisti i quali, per il loro richiamo all’opportunità di maggiore rigore nei conti pubblici e per la loro contrarietà al quantitative easing, venivano definiti “falchi”. È ovviamente arduo stabilire quanto conti, nell’inflazione attuale, ognuno dei fattori che vengono invocati, fra cui la guerra, il prezzo delle materie prime e quello dell’energia e, appunto, l’effetto degli smisurati acquisti di debito pubblico da parte della Bce. Sta però di fatto che l’inflazione si era annunciata ben prima della guerra e dei problemi energetici ed è quindi verosimile che gli eventi di questi giorni non abbiano fatto altro che amplificare un fenomeno previsto e comunque già in atto.

Ma il risvolto più triste del recentissimo annuncio circa l’aumento dei tassi risiede nei mugugni che già stanno circolando in Italia da parte di alcuni partiti e commentatori i quali ricominciano ad indicare nella Bce attuale, e dunque nell’Europa istituzionale, un “nemico dell’Italia”, oppure un oscuro potere finanziario insensibile alla nostra situazione e così via. In definitiva costoro, e forse la maggioranza degli italiani che dà loro ascolto, ancora non hanno capito – o fanno finta di non capire – che, così come l’Italia aveva conti pubblici sballati per responsabilità propria quando il quantitative easing era stato varato, altrettanto si trova ora in un frangente rischioso ancora per propria responsabilità poiché, negli anni del debito facile, non ha pensato a mettere le cose apposto attraverso almeno alcune riforme fondamentali.

Parliamoci chiaro: per la maggior parte di noi l’acquisto del nostro debito pubblico da parte della Bce era qualcosa di misterioso ma di cui si apprezzava l’efficacia nel mantenere l’economia in “buona salute”, senza che si avvertisse il fatto che la nostra salute veniva semplicemente sostenuta artificiosamente attraverso procedure di drogaggio della moneta che, presto o tardi, avrebbe presentato il conto. Ed eccolo qua. Se e quanto sia stato conveniente buttare la polvere dei nostri conti sotto il tappeto della Bce è poco chiaro, ma è chiarissimo che, ora, grazie anche ad eventi esterni che in politica economica si dovrebbero sempre ritenere possibili quando si programma qualcosa di molto costoso e destinato a coprire un arco di tempo piuttosto lungo, i guai che stiamo vivendo e vivremo nel prossimo futuro, assomiglieranno molto a quelli che, secondo molti, avremmo evitato allora.

Con l’aggravante che, essendoci nel frattempo abituati a vedere nel Pantalone europeo il toccasana eterno dei nostri conti, non solo non siamo stati capaci di innovazioni istituzionali ed economiche dieci anni fa urgenti e oggi urgentissime, ma abbiamo persino aumentato le nostre pretese di spesa pubblica con la disinvolta formula dello “scostamento di bilancio” reclamato ora per questo ora per quello scopo ma sempre ritenendolo giusto e fattibile senza problemi, indicando cioè in ogni spesa “debito buono” anche se non lo era.

Il tutto alla faccia dei Paesi che, sogghignando, abbiamo definito sdegnosamente come “frugali” e retrogradi complici dei “falchi” nonché, sullo sfondo, irridendo anche la sola timida idea del pareggio di bilancio. D’ora in poi, la nostra tassodipendenza, forse mitigata, al più da qualche misura straordinaria che temo avrà la stessa sorte, e genererà in piccolo le stesse conseguenze, del quantitative easing, sarà lo specchio della nostra realtà. Quella stessa che per anni ci siamo rifiutati di accettare vivendo, chi più chi meno, al di sopra delle nostre effettive possibilità.

Aggiornato il 15 giugno 2022 alle ore 12:54