Per il Nord Italia l’estate del 2022 si sta rivelando molto calda, con temperature di maggio e giugno simili a quelle del torrido 2003. Inoltre un’analisi pluviometrica svolta dal 1902 ad oggi indica che il 2022 è l’anno più povero di precipitazioni in assoluto, a pari merito con il 1922 e seguito da 1990, 1944 e 1938. Gli effetti delle anomalie termiche e idriche sulla produzione agricola sono evidenti. In alcune aree - specie in Pianura Padana - le produzioni appaiono già compromesse, in altre la situazione è molto difficile, anche alla luce di previsioni meteo non incoraggianti. Si prospetta un quadro complesso e delicato, tra le comprensibili preoccupazioni (e talvolta le lagnanze) degli agricoltori che rischiano di veder compromesso il loro lavoro senza particolare speranza di ristoro (i fondi stanziati per le “calamità naturali” sono poco più che irrisori) e la necessità di salvaguardare le scarse risorse idriche e di mantenere un equilibrio precario (basti pensare all’avanzata del “cuneo salino” nell’asta del Po).

La concomitanza di circostanze avverse (ivi comprese le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina) può rappresentare un rischio per la nostra stessa sicurezza alimentare e per la tenuta di alcune filiere. Quella del riso è in ambasce per la sicura perdita di produzione, potenzialmente drammatica alla luce di qualche decisione tecnicamente discutibile dei consorzi di irrigazione su cui infuriano polemiche degne dei manzoniani “polli di Renzo”. A rischio pure le filiere zootecniche, strette tra scarsità dei mangimi (oltre al mais ucraino mancherà pure gran parte di quello nazionale) ed aumento dei costi energetici.

Tuttavia, ogni crisi dovrebbe indurre alla riflessione per meglio programmare il futuro (Est Sesia, il più grande consorzio irriguo italiano, nacque dopo la siccità del 1922; canali irrigui come Regina Elena o Diramatore Alto Novarese furono messi in opera dopo le siccità del 1944 e 1965).

In ogni caso servirebbero una visione sistemica, una gestione più equilibrata delle riserve, e sistemi irrigui ad alta efficienza che tuttavia non alterino un equilibrio fondato sulla ricarica delle falde. Serve più libertà di ricerca, per ottenere anche attraverso le nuove tecnologie genetiche, piante più “resilienti”. Servono scelte pragmatiche che non ripetano errori altrui (si pensi alla drammatica situazione in atto in Sri Lanka a seguito della decisione ideologica di imporre ope legis il “biologico” vietando l’uso dei moderni mezzi di nutrizione e protezione delle colture).

Servirebbe una Politica Agricola Comunitaria meno dirigista, che tuteli i produttori con un agile meccanismo di assicurazione del reddito, non un sistema di contributi che senza ironia si definiscono “a pioggia”, sotteso da elefantiaco e paralizzante apparato di norme spesso assurde dettate da burocrazia e malinteso “ambientalismo”. Perché, come diceva Eisenhower, “l’agricoltura sembra terribilmente semplice quando il tuo aratro è una matita e sei a migliaia di miglia da un campo di grano”.

(*) Società Agraria di Lombardia

Aggiornato il 01 agosto 2022 alle ore 09:32