La rigenerazione urbana è il futuro delle città

Dobbiamo evitare di dare la colpa alla Ragioneria generale dello Stato sulla mancata realizzazione di quanto previsto dai provvedimenti sulla “rigenerazione urbana”. È apparso infatti sia in questi giorni che all’inizio del mese di marzo una chiara presa di distanza da qualsiasi provvedimento da parte della Ragioneria; una convinta bocciatura ribadita da una tacitiana conclusione: “Per quanto sopra esposto si esprime parere contrario all’ulteriore corso del provvedimento”.

Io voglio però difendere l’atteggiamento della Ragioneria e mi sono sempre meravigliato del giudizio unanime espresso dalle Regioni, dai Comuni, dai Sindacati, dalla Confindustria e dall’Ance e questo mio convincimento nasce da una modifica aggiunta alla norma iniziale, proprio nella fase finale, e sostenuta dal ministro Enrico Giovannini che all’articolo 7 precisava “nelle more della definizione della programmazione comunale, i progetti di rigenerazione urbana presentati da promotori privati possono essere approvati in base alla valutazione del loro interesse pubblico e dell’equilibrio del Piano economico finanziario (Pef) dell’intervento”.

Sono stato sempre convinto della esigenza di coinvolgere il privato proprio nella gestione della reinvenzione soprattutto delle nostre grandi aggregazioni urbane, ho in più occasioni ribadito che il ricorso allo strumento del Partenariato pubblico-privato deve necessariamente diventare, col tempo, una delle condizioni obbligate per programmare e per definire tutte le progettualità prodotte all’interno delle nostre città, ma questo deve avvenire solo a valle di una chiara e trasparente “Programmazione comunale”. In proposito consiglio di leggere attentamente la Legge 1150 del 1942 e successive modifiche ed integrazioni ed in particolare l’articolo che definisce il “contenuto del piano regolatore generale”.

In realtà, il referente dell’intera gestione dell’urbano inizialmente deve essere solo l’organo comunale, deve essere solo il pubblico e solo dopo una chiara volontà sulle scelte e sulle destinazioni d’uso di tutte le tessere che compongono il mosaico dell’intero assetto urbano, può prendere corpo un trasparente confronto con il privato, possono attivarsi forme di partenariato pubblico-privato. Invece, la norma che invoca il coinvolgimento del privato, “nelle more” di uno strumento pianificatorio ancora non concluso, produce automaticamente dubbi e perplessità del Dicastero dell’Economia e delle Finanze.

In realtà, la proposta di Legge, sostenuta dal ministro Giovannini e ora rimasta ferma all’esame del Senato, favoriva o almeno doveva favorire:

1) il riuso edilizio ed il miglioramento della permeabilità dei suoli urbani;

2) la realizzazione di infrastrutture strategiche per lo sviluppo ecosostenibile del territorio;

3) la applicazione del criterio del “saldo zero” per il consumo del territorio;

4) la tutela dei centri storici;

5) la integrazione dei sistemi di mobilità sostenibile con il tessuto urbano delle aree rigenerate;

6) la edilizia sociale e la partecipazione dei cittadini alla progettazione e alla gestione dei programmi di rigenerazione urbana;

7) il coinvolgimento di investimenti privati orientati a obiettivi pubblici;

8) la qualità della vita nei centri storici come nelle periferie.

E, ancora una volta, tutto rimaneva e rimane un interessante elenco di buone intenzioni che però, come detto prima, deve rientrare nelle strette competenze dell’organo locale, deve cioè essere prima contenuto in una rivisitazione sostanziale del Piano regolatore generale. In realtà, la rigenerazione urbana deve partire dalla intelligenza programmatica e gestionale dell’organo locale. Gli indirizzi e le finalità che un Governo, anche attraverso una legge, intende dare servono solo come possibile motivazione per l’accesso alle risorse che lo Stato intende assegnare per il perseguimento di tali obiettivi ma alla base, insisto fino alla noia, deve esserci una chiara strumentazione urbanistica.

Proprio su questo prende corpo una esigenza che non può più essere rinviata, quella di una riforma sostanziale della Legge 1150 del 1942 e successive modifiche ed integrazioni e dovrebbe forse prendere corpo una distinzione formale tra realtà urbane e realtà urbane, tra tipologie territoriali e tipologie territoriali e forse i Piani regolatori delle aree metropolitane dovrebbero essere redatti coinvolgendo anche l’organo centrale. In fondo dovremmo avere il coraggio di ammettere che nel Decreto legislativo 190 del 2002, Decreto strettamente legato alla Legge Obiettivo, vi era direttamente il coinvolgimento dell’organo centrale nelle scelte dell’organo locale; in tale Decreto legislativo, infatti, era previsto lo strumento della Intesa generale quadro tra Stato e Regioni e all’interno di tale intesa erano anche contemplati gli interventi che lo Stato si impegnava a realizzare anche all’interno delle realtà urbane (nodi ferroviari, metropolitane, centri logistici); in realtà, l’intesa diventava un chiaro incontro e confronto sulle tematiche funzionali dell’urbano e il rapporto tra organo centrale e locale non incrinava l’articolo 117 della Costituzione e, soprattutto, nella componente legata alle grandi realtà urbane, ai sistemi metropolitani, si attuava un codice comportamentale omogeneo tra distinte ubicazioni geo-economiche.

Concludo queste mie considerazioni ribadendo che ben venga il privato, ben vengano forme innovative di Partenariato pubblico-privato ma sempre a valle di una chiara decisione pianificatoria. Altrimenti ogni norma, ogni trasferimento di risorse per la rigenerazione urbana, ogni forma di incentivo rischia di perseguire solo finalità speculative. Quindi, a mio avviso, quello della Ragioneria generale dello Stato è da considerarsi a tutti gli effetti un atto di trasparenza, un atto di garanzia degli interessi della cosa pubblica.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 01 settembre 2022 alle ore 12:16