L’Italia spende troppo, le ferite si allargano

Caro bollette e pulsioni anti-mercato

L’Italia è il terzo Paese europeo che più ha speso, in proporzione al Prodotto interno lordo, per arginare gli effetti dell’inflazione energetica. Secondo un’indagine di Bruegel, il nostro Paese ha stanziato finora circa 50 miliardi di euro, pari a 2,8 punti percentuali del Pil. In questa particolare classifica, davanti a noi ci sono solo due Paesi piccoli e che – per ragioni diverse – si trovano in una situazione assai peculiare, cioè la Grecia e la Lituania. Le grandi nazioni europee sono state assai più parche nell’elargire denari: la Spagna ha impegnato il 2,3 per cento del suo Pil, la Francia l’1,8 per cento, la Germania l’1,7 per cento.

Non è un primato di cui vantarsi. Tutti questi soldi, peraltro spesi all’ombra di un debito pubblico grande una volta e mezza il nostro prodotto interno lordo, hanno tre effetti. Il primo consiste nell’aver annacquato il segnale che i mercati ci stanno mandando: bisogna consumare meno perché non ci sono abbastanza risorse energetiche per soddisfare tutti i nostri bisogni. Non è un caso se il calo dei consumi in Italia è stato esiguo, diversamente da altre nazioni. Secondariamente, il governo ha bruciato risorse immense, lasciando pochissimo spazio fiscale a chi verrà dopo. Sarebbe stata una politica sensata se la crisi che stiamo attraversando fosse una fiammata passeggera: invece, purtroppo, dovremo navigare in queste acque ancora a lungo. Infine, politiche di aiuto generalizzate si sono tradotte in molti casi in una riduzione tutto sommato modesta dei prezzi, perché – per dare qualcosa a tutti – non si è dato abbastanza a chi aveva veramente bisogno.

 Non a caso, il dibattito politico si sta gradualmente spostando dalle richieste inverosimili di decine di miliardi in deficit a proposte, spesso altrettanto o più dannose, di riforma e revisione dei mercati. Per esempio molti invocano un tetto ai prezzi del gas o dell’energia elettrica. Può essere vero che il famigerato Ttf è oggetto (anche) di pressioni speculative. Prima di mettere mano alle regole, tuttavia, bisogna dimostrare che i prezzi di mercato non riflettono i fondamentali. E bisogna anche rendersi conto che la speculazione, vera o presunta, è un problema di second’ordine rispetto alla questione principale, cioè lo squilibrio tra domanda e offerta.

Bisognerebbe dunque interrogarsi su come contenere la domanda e mitigare gli effetti più devastanti della crisi, anziché proseguire sulle strade gemelle della distribuzione dei pani e dei pesci o dell’intervento a gamba tesa sui mercati.

(*) Direttore studi e ricerche Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 05 settembre 2022 alle ore 12:10