Caro-bollette: i rischi per la produzione del Parmigiano Reggiano

martedì 13 settembre 2022


Latte, pane e non solo. Il caro-prezzi potrebbe creare seri contraccolpi al Parmigiano Reggiano. Secondo l’allarme lanciato da Roberto Gelfi, presidente della sezione lattiero-casearia di Confagricoltura Emilia-Romagna, “si rischia di non produrre i quantitativi di latte richiesti” per la trasformazione in formaggio del noto prodotto italiano, famoso in tutto il mondo. Infatti, “a causa dei rincari l’allevatore potrebbe decidere di ridurre il numero di capi e, di conseguenza, la produzione complessiva di latte”.

In un quadro più ampio, per Confagricoltura Emilia-Romagna i costi di produzione del latte per il Parmigiano Reggiano hanno subito un balzo del 40-50 per cento in più. Stesso dicasi per quelli legati alla sua trasformazione (+35-45 per cento). L’altra cosa che teme Gelfi è “il serio rischio che le aziende zootecniche non possiedano abbastanza liquidità per sostenere siffatti aumenti. E che quindi scelgano di vendere subito parte del latte crudo sul mercato spot, destinandolo ad altri usi alimentari e non alla trasformazione in Parmigiano Reggiano”.

I numeri snocciolati vertono pure sulla spesa per l’energia elettrica nelle stalle del circuito di produzione della Dop, passata da 24 a 76 euro per capo nel periodo 2021-2022, il gasolio agricolo da 15 a 35 euro a capo e l’erba medica per l’alimentazione del bestiame da 56 a 96 euro a capo. Il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, Marcello Bonvicini, aggiunge: “Il prezzo del latte crudo alla stalla è sottostimato da decenni e adesso, con l’incasso di un mese, l’allevatore ripaga a malapena il mangime e il carburante, ma restano fuori tutte le altre spese. Poi non si capisce perché permanga una sostanziale differenza tra le quotazioni stabilite negli accordi quadro – attualmente sui 60 centesimi circa al litro, Iva inclusa – e quelle del libero mercato che si attestano ben al di sopra, a 70 centesimi circa al litro, Iva inclusa. Ovvio che sopravvivere a questa dura crisi diventa impossibile, soprattutto per coloro che sono vincolati da un prezzo fisso concordato”.

Ma non finisce qui. Infatti, con la caduta del crollo della produzione nazionale di olive le famiglie potrebbero dire addio a quasi una bottiglia su tre di olio extravergina made in Italy, mentre l’esplosione dei costi “mette in ginocchio le aziende agricole e con l’inflazione generata dal conflitto in Ucraina volano sugli scaffali i prezzi al dettaglio”. Così nel report “2022, la guerra dell’olio Made in Italy” di Coldiretti e Unaprol. A pesare sulla produzione nazionale,” con un calo stimato del -30 per cento, è stata una siccità devastante mai vista negli ultimi 70 anni che ha messo in stress idrico gli uliveti, danneggiando prima la fioritura e poi le gemme, soprattutto in quelle zone dove non si è potuto intervenire con le irrigazioni di soccorso per dissetare e rinfrescare le piante. Ma diverse aziende hanno deciso di non intervenire per gli elevati costi di carburante, elettricità, service e prodotti di supporto alla nutrizione dei terreni. Salva la qualità, con l’Italia che può vantare il più ricco patrimonio di varietà di olii a livello mondiale”.

Non solo. Come indicato da Coldiretti e Unaprol, “von l’esplosione dei costi aumentati in media del 50 per cento nelle aziende olivicole quasi 1 su 10 (9 per cento) lavora in perdita ed è a rischio di chiusura, secondo dati Crea. A pesare, in particolare, i rincari diretti e indiretti determinati dall’energia che vanno dal +170 per cento dei concimi al +129 per cento per il gasolio nelle campagne mentre il vetro costa oltre il 30 per cento in più rispetto allo scorso anno, ma si registra anche un incremento del 35 per cento per le etichette, del 45 per cento per il cartone, del 60 per cento per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70 per cento per la plastica.

“Occorre intervenire per salvare un patrimonio unico del Paese con 250 milioni di piante che tutelano l’ambiente e la biodiversità ma anche un sistema economico che vale oltre 3 miliardi di euro grazie al lavoro di un sistema di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione che producono un alimento importante per la salute che non deve mancare dalle tavole degli italiani” afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.


di Mimmo Fornari