Il risiko finanziario dietro la guerra in Ucraina

La drammatica guerra scatenata dalla Russia in Ucraina ha generato uno scontro che non si esaurisce sul campo ma si allarga a un confronto globale più ampio, sul piano geopolitico e su quello degli equilibri finanziari che creano differenti condizioni di vantaggi e svantaggi ai diversi Paesi. Proviamo ad analizzarli.

La guerra segue il già grave shock creato dal Covid che ha segnato, profondamente, le economie globali e ha contribuito ad accelerare un processo di decadenza dell’Occidente e delle sue istituzioni – Nato e Unione europea – o quantomeno a mettere in discussione la loro governance e la tipologia delle relazioni tra differenti Paesi, che sono sempre più conflittuali e orientati a perseguire l’interesse personale a scapito di quello comune. La risposta all’attacco russo c’è stata sul piano delle forniture belliche e sul piano sanzionatorio per indebolire, finanziariamente, la Russia e il suo commercio di gas e petrolio, oltre che il suo sistema di relazioni commerciali. Le sanzioni, però, hanno finito per gravare, prevalentemente, sui Paesi europei che dal punto di vista economico subiscono le maggiori perdite, a differenza degli Stati Uniti che ne traggono evidenti vantaggi. Le sanzioni colpiscono maggiormente le aziende europee che avevano sbocchi significativi nell’Est europeo e, in particolare, con la Russia. Il venire meno di sbocchi commerciali ha avuto l’effetto nella riduzione di spazi occupazionali, così gli Usa hanno coperto il vuoto lasciato dalle aziende europee.

L’effetto si misura immediatamente con il rafforzamento del dollaro a scapito dell’euro ma anche della sterlina, in un tempo relativamente breve e tale da non giustificare un differenziale così forte tra le differenti economie. La speculazione finanziaria non governata ha alimentato le variazioni tra le valute. La mancanza di una reale volontà politica di dialogo per una possibile pace ha favorito un’esasperazione della politica di guerra, che ha visto proprio gli Stati Uniti come principali promotori di scontri crescenti in una lotta al rialzo, con il rischio di trovarsi in un punto di non ritorno come oggi. La rilevanza degli aiuti all’Ucraina forniti dagli Usa è pari, nel complesso, a quelli dati per l’Afghanistan, Israele e l’Egitto, superando in pochi mesi tre dei maggiori destinatari di risorse e di aiuti militari registrati nel nuovo secolo.

Le spese belliche negli Usa sono sempre state viste come un veicolo di espansione dell’economia. Lo stesso attacco ai gasdotti nel Mar Baltico ha spezzato il potenziale legame tra Russia e Germania – da sempre visto come pericoloso – e ha favorito le aziende gasiere nordamericane, per le quali si apre un mercato non previsto a condizioni di prezzo dieci volte superiore al gas russo. E pensare che alcune di queste erano vicino al default, perché i costi non venivano interamente coperti dai prezzi di vendita.

Il vero scontro geopolitico viene nascosto dalla narrazione della guerra ed è tra Usa, Russia, Cina e Paesi emergenti (Brics) che mettono in discussione la supremazia degli Usa e del dollaro come valuta di riserva globale. Gli Stati Uniti, da anni, perseguono politiche neoliberiste sconsiderate la cui sopravvivenza è subordinata alla stampa infinita di dollari, una moneta fiat senza sottostante reale dal 1971 con la fine del “gold exchange standard”. Il ricorso alla stampa infinita di moneta comincia a ritorcersi contro di loro, con un aumento del debito difficilmente calcolabile in mano anche ai Paesi ostili, come la Cina. Il ricorso sistematico al Qe (Quantitative easing) ha reso liquida l’economia ma anche rischiosamente liquidabile. Infatti, diverse attività nel Paese hanno pericolose bolle finanziarie, a partire dallo Stock exchange, il cui plusvalore derivante dalla bolla finanziaria è prossimo al 40 per cento. A fronte di questa debolezza sempre meno difendibile, i commentatori parlano di prossima recessione (Nouriel Roubini), i Paesi opposti – Russia, Cina, India, Iran, Argentina e il Brasile se vince Luiz Inácio Lula – hanno creato la “Shanghai cooperation organisation” (Sco) che è la più grande istituzione economica regionale del mondo, che pensa a una moneta alternativa al dollaro e a un sistema alternativo allo Swift. La Sco rappresenta 3,2 miliardi di persone e il 25 per cento del Pil globale. Oggi la finanza senza controllori sta giocando una partita a favore del capitale e del dollaro, con forme di speculazione sulle materie prime fuori di ogni controllo con una politica debole, assente e smarrita.

La tragica guerra in Ucraina maschera queste sfide epocali, in cui gli Stati Uniti difendono la loro idea unipolare a fronte di un mondo sempre più multipolare e la vecchia Europa si dimostra perdente economicamente e politicamente, incapace di trovare un’intesa che possa renderla veramente forte al di là delle tante oziose dichiarazioni di rito. La sua stessa governance – nella figura di Ursula von der Leyen – sembra non capire la posta in gioco ed è più pronta a obbedire che a comandare. L’indebolimento dell’Europa e della sua moneta favorisce l’assalto alle nostre imprese, ormai facili prede della finanza globale in presenza di una politica troppo assente culturalmente e impegnata, oggi più che mai, in battaglie di retroguardia e che vive di slogan oltre che di futile propaganda. In questo caos non regolato i veri perdenti siamo noi come Europa e oggi, purtroppo, lo è anche il nostro Paese, il cui futuro Governo si troverà di fronte a grandi problemi creati da un mondo globale in conflitto e dalle fallimentari performance dei precedenti Esecutivi.

(*) Professore emerito – Università Bocconi

Aggiornato il 07 ottobre 2022 alle ore 10:50