Stagflazione: ci siamo!

Le imprese italiane stanno affrontando un autunno durissimo, nonostante lo stoccaggio del gas protegga (a carissimo prezzo) il Paese da eventuali shock di sistema, il suo costo altissimo ed altalenante impatta inesorabilmente sui conti aziendali e, di conseguenza, ipoteca una pressoché certa prosecuzione della crescita dei prezzi al consumo, almeno ancora per tutto il 2023.

Dunque, sebbene le previsioni della Nota di aggiornamento al Def (Nadef) del 2022, approvata dal Consiglio dei ministri del 28 settembre 2022, prevedono per il nostro Paese un livello tendenziale del Prodotto interno lordo (Pil), per l’anno in corso in aumento al 3,3 per cento, la realtà vede un Italia in grande difficoltà.

Viene il dubbio, ascoltando gli interventi dei leader delle organizzazioni industriali e commerciali domestiche, che la crescita del Pil sconti un’inflazione non vera; quella “da prezzo delle sigarette nazionali”, come si diceva già negli anni Settanta, periodo di inflazione a due cifre, per sottolineare come il paniere di riferimento fosse inadeguato a riflettere gli effettivi consumi e, quindi, l’inflazione del Paese reale.

A livello globale, dunque, la possibilità di un 2023 che si concluda con una Europa preda della stagnazione economica è sempre più concreta, peraltro, al traino, di ciò che già sta accadendo negli Usa. Ma alla stagnazione si accompagna quello che sembra un incessante crescita del livello dei prezzi.

Allora, se siamo nella recessione, quali politiche economiche dovremmo attenderci e, verificato ciò, cosa dovremmo fare, invece, se la cura ci sembrasse ancora peggiore del male da curare?

Per rispondere alla prima questione (ovvero, di cosa dobbiamo aspettarci) diciamo subito che esistono ricette economiche universalmente riconosciute per affrontare la stagflazione, cioè quella situazione che vede nello stesso mercato un aumento dei prezzi e l’economia che in termini reali non cresce.

Sappiamo che in uno scenario standard di crescita della produzione seguita o causata da crescita della domanda, si alzano anche i prezzi e, quindi, anche l’inflazione. Esiste una relazione diretta tra crescita economica ed inflazione: l’aumento dei prezzi indica un mercato in salute ed un aumento del potere di acquisto delle famiglie.

Tuttavia, la situazione che ci si palesa è diversa. La guerra in Ucraina ha determinato l’aumento del costo di gas e petrolio, delle materie prime e della logistica, ad un livello che appare sempre più insostenibile per le aziende e, dunque, alla crescita dei prezzi si accompagna una produzione che rallenta.

Né è un esempio evidente ciò che sta accadendo nel nostro Paese dove grandi e piccole imprese hanno visto lievitare le bollette di luce e gas del 300 per cento, rendendo difficile, se non impossibile, portare avanti le attività.

Ora in Bce non manca, naturalmente, chi sostiene che la Banca centrale dovrebbe fare tutto il possibile per evitare la divaricazione degli spread nell’area dell’euro; dall’altro la maggior parte degli economisti ritiene che, soprattutto a causa del fatto che le fonti d’inflazione sono oggi derivanti dalle condizioni dell’offerta, la politica monetaria non abbia alcuno strumento a disposizione per migliorare le performance economiche europee e che, per tanto, la soluzione ottimale sarebbe quella di spingere il mondo intero verso una recessione controllata, in questo modo anticipando in qualche modo gli eventi.

In altre parole, la Bce dovrebbe ridurre il livello della domanda aggregata in modo che quando l’offerta diminuisce non vi sia un eccesso di domanda in grado di provocare inflazione e, soprattutto, le aspettative d’inflazione. Insomma, una stretta monetaria!

Ma si è davvero capaci di controllare la recessione o, si finirà, come peraltro già accaduto in passato, nei non lontani anni Settanta, di accentuare la recessione accanto alla spinta inflattiva, spingendo la stagflazione verso livelli ancora adesso inimmaginabili?

In effetti, a ben vedere la questione della corsa inarrestabile del costo di gas e petrolio è legato alla guerra in Ucraina e la soluzione (a portata di mano) sembra molto più semplice: concludere con un accordo, più o meno onorevole, un salasso enorme che oltre a coinvolgere gli Usa, sta colpendo duramente l’Europa.

Infatti, e veniamo adesso al punto, siamo davvero certi che sia utile ridurre la domanda fino a quando non siano eleminati gli eccessi rispetto all’offerta e, osserviamo bene, questo non è già lo schema che ha accompagnato la reazione alla crisi degli anni Trenta.

Si è visto, poi, come sia finita. Una recessione globale che ha lasciato solo lacrime e sangue e che, inoltre, non ha scongiurato una guerra, quella iniziata nel settembre 1939 con lattacco della Germania nazista alla Polonia e terminata, nel teatro europeo, l8 maggio 1945 con la resa della Germania.

Bene, se la storia davvero ci dovesse insegnare qualche cosa, allora dovrebbe farci riflettere su come si possa (e anzi alcune volte si debba) cercare fino all’ultimo la Pace. È sempre la migliore soluzione possibile, anche se possa, in un primo momento, sembrare una resa.

Peraltro, i romani ci hanno insegnato che le guerre si vincono prima di combatterle e, questo dovrebbe, a mio modo di vedere, sempre restare scolpito nella mente dei cercatori di Pace.

(*) Professore, Direttore del dipartimento di scienze politiche dell’Università internazionale per la Pace dell’Onu, delegazione di Roma

Aggiornato il 11 ottobre 2022 alle ore 09:39