Perché tanta insistenza sul Mes?

Quando ricorrervi per uno Stato significa ammettere la propria debolezza ed esporsi a speculazioni? La presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha recentemente ribadito, in risposta al Question time alla Camera dei deputati, che l’Italia, sotto la guida del suo governo “non potrebbe mai accedere al Mes” – Meccanismo europeo di stabilità, lasciando intendere di non volerne ratificare la riforma, nonostante il pressing subito dagli organi della Ue. In particolare, in queste ultime settimane in persona del presidente dell’Eurogruppo (l’organo informale che comprende tutti i 20 ministri finanziari dei Paesi europei dell’Eurozona, cioè a moneta euro), l’irlandese Paschal Donohoe, e del direttore generale dello stesso Mes, il neonominato già ministro delle Finanze del Lussemburgo Pierre Gramegna, i quali stanno insistendo perché l’Italia vi provveda, essendo rimasto l’unico Stato a non averlo, appunto, ratificato, in ciò supportati dall’opposizione, segnatamente dal Pd – Partito democratico, il cui esponente, ministro per gli Affari europei nella precedente legislatura, Enzo Amendola, ha preteso la calendarizzazione della relativa discussione in Commissione esteri perché sia il Parlamento, cui spetta l’ultima parola, a pronunciarsi in materia. Ma perché vi è così tanta pressione per la ratifica ed altrettale resistenza da parte della maggioranza che sostiene il nuovo Governo Meloni?

Richiamati i rilievi già svolti con il precedente intervento, proviamo a soffermarci sulle criticità proprie dello strumento e della riforma dello stesso, che appaiono meno evidenti delle magnifiche e progressive sorti che discenderebbero dalla sua adozione. Il Mes è frutto di un accordo intergovernativo nel 2012 per contrastare la crisi dei debiti sovrani e consentire accesso ai mercati finanziari a tassi agevolati agli Stati euro in difficoltà, quindi non direttamente riferibile agli organi della Ue né, soprattutto, controllato dal Parlamento europeo, con funzioni però significativamente sovrapponibili a quella della stessa Commissione: ex articolo 3, la valutazione della sostenibilità dei debiti pubblici dell’eurozona in funzione dell’analisi della loro situazione macroeconomica e finanziaria, per cui “a tale scopo, il direttore generale (del Mes) collaborerà con la Commissione Ue e con la Bce per assicurare piena consistenza al lavoro propedeutico al coordinamento di politica economica previsto dal TfueTrattato sul funzionamento dell’Unione europea”. Dunque, si accentua la deriva centrifuga rispetto al controllo comunitario che era già iniziata nel 2012, con la consacrazione del Mes non come Fondo monetario europeo, soggetto ai vincoli e controlli della Ue, bensì come strumento agganciato unicamente alle esigenze di stabilizzazione finanziaria dei Paesi dell’area euro. In quanto, poi, finalizzato a finanziare chi tra gli Stati membri dell’Eurozona dovesse farne richiesta perché in difficoltà, il primo problema a riguardo è stato lucidamente posto dal bocconiano professor Francesco Giavazzi, già consigliere del premier Mario Draghi: “Chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di debolezza che potrebbe scatenare la speculazione”.

Tale rischio è ancor più evidente per Paesi come l’Italia, ad alto debito pubblico, che non potrebbero accedere alla linea cosiddetta precauzionale del Mes, fruibile solo dagli Stati con i fondamentali di finanza pubblica in ordine in quanto rispettosi dei parametri di Maastricht (rapporto non superiore al 3 per cento fra Pil e debito pubblico) e del Fiscal compact (obbligo di parità di bilancio, procedura di infrazione europea in caso di mancato rispetto, obbligo di abbassare la percentuale di debito pubblico al 60 per cento, pianificazione preventiva di rientro del debito) – seppure non necessariamente anche di quelli del Pse – Procedura per squilibri eccessivi, tra cui l’eccesso di surplus commerciale, in cui eccellono ordinariamente i frugali olandesi e la locomotiva tedesca!; ma solo alla linea cosiddetta rafforzata, che viene fornita soltanto all’esito della sottoscrizione di un MouMemorandum of undestanding, con cui il Paese richiedente accetta le linee di aggiustamento macroeconomico imposte dalla trojka (Fmi, Bce e Commissione Ue).

Agli inizi di quest’anno, un nutrito gruppo di una trentina di economisti, non tacciabile – almeno in linea di principio – di foga sovranista, ha pubblicato un appello, rilanciato sul blog de la fionda, sui rischi del Mes, in particolare lamentando il carattere privatistico dell’istituto, di diritto lussemburghese ed al di fuori del quadro giuridico istituzionale comunitario, funzionale al perseguimento dell’interesse dei creditori e non a criteri di politica generale degli Stati, i quali saranno ordinariamente sottoposti a condizionalità macroeconomiche per potere accedere ai prestiti del Mes (sotto forma di acquisto di titoli di debito sovrano dello Stato richiedente sui mercati finanziari primari e secondari ovvero vere e proprie linee di credito), imposte da soggetti non rappresentativi di alcuna investitura popolare, neppure di secondo grado, che stabiliranno, di fatto, le linee di politica economica e di bilancio dello Stato membro in luogo dei suoi organi rappresentativi.

Era quest’ultima, peraltro, la censura costituzionale posta all’attenzione della Corte di Karlsruhe, la quale aveva ritardato la ratifica da parte della Germania, infine sopravvenuta dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca che ha ritenuto che tale condizionalità economica non lede le prerogative di rappresentatività degli organi parlamentari domestici nella misura in cui i governatori ed i direttori generali del Mes in rappresentanza dei singoli Stati risponderebbero direttamente, in termini di responsabilità politica, ai rispettivi Parlamenti nazionali, che mantengono nei loro confronti poteri di indirizzo vincolanti quanto alle loro decisioni all’interno del Mes stesso. Valutazione, invero, contraddetta quantomeno dalla circostanza della formale indipendenza, ex articolo 7, del direttore generale del Mes, “responsabile solo nei confronti del Mes”, e dai suoi rafforzati compiti – anche di affiancamento alla Commissione – ma che, in quanto eleggibile solo con la maggioranza del 80 per cento dei voti, non potrebbe evidentemente mai essere sgradito alla Germania!

Quanto tale pronuncia della Corte delle leggi germanica dipenda da esigenze di realpolitik è questione che rimanda ad altro aspetto di rilievo, probabilmente a fondamento dell’interesse pressante degli euroburocrati, cioè il progetto di unione bancaria: il backstop introdotto con la riforma del giugno 2019 a beneficio delle banche europee. Con la riforma del Mes, infatti, quest’ultimo potrà finanziare anche il Srf – Single Resolution Fund, istituito con Regolamento Ue nel quadro della cd. unione bancaria per la risoluzione di banche in fallimento, per il caso in cui gli investitori privati che ne sono i finanziatori ordinari non siano in grado di dotarlo di risorse sufficienti, con obbligo di restituzione entro tre anni che potrebbe però non essere di facile assolvimento nel caso di fallimento non di singolo istituto di credito bensì di crisi sistemica bancaria, tale da trasferire i relativi oneri di copertura a carico delle finanze pubbliche di tutti gli Stati membri.

In tale contesto, le banche italiane, per quanto protette da coefficienti di patrimonialità adeguati e, spesso, migliori di molte della Sparkasse dei Lander tedeschi (a voler tacere della Commerzbank), verrebbero maggiormente esposte al rischio di default a causa della loro esposizone in titoli di Stato italiani, più facilmente oggetto di perdita di appeal sul mercato e di conseguente maggiore spread rispetto ai Bund tedeschi per le ragioni sopra indicate, come anche a causa dell’ulteriore clausola, prevista dalla riforma del Mes, cosiddetto single-limb collective action clause, che dovrà essere apposta alla nuova emissione di titoli di Stato nazionali ai fini della loro più rapida ristrutturazione in caso di crisi del debito sovrano, che ovviamente si rifletterà negativamente sulle dinamiche finanziarie di mercato per le obbligazioni degli Stati più in difficoltà.

Ciò, a voler tacere della riforma, pur essa parte del progetto di Unione Bancaria, di Assicurazione Europea sui Depositi, la quale, secondo i desiderata teutonici dovrebbe essere basata su criteri di calcolo del valore a portafoglio delle banche, dei titoli di Stato nazionali, basati sul loro rating, con inevitabile ulteriore deprezzamento dei BotBuoni ordinari del tesoro a vantaggio dei Bund tedeschi e finale danneggiamento dei nostri istituti di credito e della finanza pubblica italiana. Ulteriore anomalia del sistema è, infine, che il prestatore di ultima istanza è la stessa Bce – Banca centrale europea, poiché i prestiti – o comunque l’intervento finanziario- è in euro, moneta che viene battuta da tale organo comunitario che è però privo di responsabilità democratica, nel senso che i componenti del suo direttivo sono scelti fra i governatori delle banche dei singoli Stati dell’eurozona (Bankitalia per l’Italia), a loro volta istituzionalmente sganciati da mandati elettivi per preservare l’indipendenza degli istituti di credito su cui sono chiamati a vigilare.

Il FmiFondo monetario internazionale, alle cui funzioni il Mes è ispirato, presta invece agli Stati che ne fanno richiesta di intervento finanziario, in valuta estera (precisamente in SdrSpecial Drawing Rights, un paniere di più valute che esprime un valore sintetico di riferimento) e non nazionale dello Stato richiedente, il quale potrebbe altrimenti emettere la propria moneta a debito senza limite, attraverso la propria banca nazionale di emissione, cosa che, appunto, i singoli Stati dell’Eurozona non possono fare perché il potere di battere la moneta ‘euro’ è solo in capo alla Bce medesima, che anzi si fa pagare dagli stessi una commissione di emissione. Fino a che l’Unione rimane tale e non evolva in organismo federale, le politiche di bilancio dei singoli Paesi membri saranno sempre soggette alla dialettica distorcente di avere adottato quale corso legale una moneta che viene emessa da un soggetto terzo, più simile ad una valuta estera su cui essi non hanno controllo: il Mes aggrava ulteriormente questo dinamismo intestino.

Dunque, cui prodest?

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 24 marzo 2023 alle ore 15:19