Una politica europea contro l’agricoltura

Scriveva Giacomo Leopardi nelle Operette morali: “Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura”. Non potendoci limitare a questo per commentare la posizione approvata dall’Europarlamento in vista di un negoziato con la Commissione e il Consiglio dei ministri Ue (il cosiddetto “trilogo”) per licenziare una “legge sul ripristino della natura”, ci permettiamo qualche sommessa osservazione. Innanzitutto, sulla sostanziale vacuità del testo che abbiamo potuto consultare: vi si afferma ad esempio che la “valutazione delle misure necessarie per il ripristino della natura in una determinata zona è una questione nazionale” e che le norme del regolamento ambiscono “all’adempimento degli impegni internazionali dell’Unione; ossia, in vista di un recupero volto a ristabilire l’equilibrio ecologico perduto”.

Frasi che non giovano alla chiarezza, concretezza e coerenza della posizione dell’Europarlamento. Né giova la confusione creatasi a livello politico, con “spacchettamenti di maggioranze”, presunte “grandi manovre” e reali spaccature (336 deputati hanno votato per l’approvazione del testo mentre 312 hanno votato una mozione per il suo rigetto totale) che esulano dal campo delle valutazioni tecniche. In un quadro così nebuloso il rischio è che una “scatola vuota” (quale sembrerebbe la norma approvata con tanta enfasi) si riempia di “ideologia della decrescita”, ed anziché individuare nella ricerca scientifica e nella libertà di innovazione tecnologica gli strumenti per una autentica sostenibilità, ponga le attività produttive sul “banco degli imputati” in una sorta di delirio “anticapitalista” e neoluddista. La questione riguarda tutte le attività produttive, non solo quelle agricole (che qualcuno, per accrescere la confusione, considera sostanzialmente escluse dall’ambito di applicazione delle norme), e tutti i territori, non solo rurali: basti pensare ai deleteri effetti dell’insufficiente manutenzione delle foreste o degli alvei fluviali, determinata da un certo “malinteso ambientalismo”, sulla vivibilità dei centri abitati e la sicurezza delle popolazioni. Non possiamo infine ignorare come proprio dalle aree agricole partano e si diffondano crescenti insofferenze e “grida di dolore” verso una politica europea sempre più fumosamente “dirigista” e distante dalla concretezza. L’Unione europea è storicamente “nata con l’agricoltura”. Le vicende degli ultimi anni (dal ruolo decisivo delle aree rurali nel determinare la Brexit fino al voto delle Amministrative olandesi) indicano che, scegliendo una cieca politica “contro l’agricoltura”, l’idea stessa di Europa rischia di morire.

(*) Presidente e vicepresidente della Società agraria di Lombardia

Aggiornato il 24 luglio 2023 alle ore 15:30