L’avvenire dei sistemi produttivi: verso un liberismo sociale?

Problematica sociale ed economica attuale e ventura. Che avverrà se il ceto medio e il proletariato subiranno una durevole inflazione? Se l’automatismo, il tasso di credito elevato, le “bollette”, lo svincolamento del Sud del pianeta dall’Europa e dagli Stati Unti affliggeranno ceto medio e proletariato, soprattutto? Gli stranieri sono l’esercito di riserva di cui scrivevano gli economisti del XIX secolo? Bassi salari, perfino senza legge, per competere? L’abbinamento di inflazione e tassi alti avrebbe per scopo l’annichilimento di ceto medio e proletariato e il ricorso all’esercito di riserva straniero, con qualche elemosina ai “nazionali”? Esiste un “progetto” o gli avvenimenti accadono nella giostra del divenire? Ma perché non stringere un accordo con i consumatori? Bassi prezzi, maggior consumo! Davvero i prezzi sono giustificati o capita quel che capita, incontrollatamente? I redditi fissi vengono incartapecoriti. Quanto durerà la pantomima? Quanto potrà durare? Fino a che grado non affronteremo il problema millenaristico: il lavoro umano scema, diventa meno necessario, e la produzione non sarà più riferibile al lavoro. Situazione che sconvolge i sistemi produttivi, fondamentalmente la retribuzione.

E l’occupazione. In passato teorizzai la figura del lavoratore-imprenditore. Scrissi un libro con tale denominazione (1999), successivamente ho generalizzato: “Dal lavoratore-imprenditore al cittadino-imprenditore”, 2012. Che esprimevo? A fianco dell’impresa consueta del profitto l’impresa dell’autoccupazione dei lavoratori, lavoratori che mettono in opera il lavoro con il fine di mantenersi occupati. Perché questa nuova imprenditorialità? Perché l’impresa consueta finirà con il fare a meno dei lavoratori sostituendoli con l’automazione. Se con i nuovi strumenti di produzione altamente produttivi un operaio rende in un’ora quanto in passato occorrevano tre ore, per dire, l’imprenditore licenzierà i lavoratori e manterrà i pochi nel vecchio orario, con massimo profitto, invece i lavoratori pur di mantenersi occupati attenueranno l’orario e il profitto non sarà contro l’occupazione, verrà ragionato perché non disoccupi licenziando. È possibile?

È una ipotesi, immaginazione sociologica, si dice. Al presente è sconfortante la capacità dei lavoratori e dei loro rappresentanti: nessuna iniziativa. D’altro canto, nessun individuo ragionevole può concepire che macchine iperproduttive non mutino orari e quantità di lavoro umano. E la diminuzione dell’orario è naturale che lo facciano gli operai autoccupati che un individuo il quale vuole massimizzare il profitto, quest’ultimo licenzia, e fine. Con risultati drammatici sul consumo. Ma non complico la vicenda. Accenno soltanto che l’esito di questo diluvio potrebbe essere un’immane produzione e consumi essiccati per disoccupazione planetaria. Sarà inevitabile una finalità sociale della produzione. Sociale non statalista. Volgere l’immane produzione ai bisogni dell’umanità. Mi fermo. Ne scrivo da decenni. Aggiungo che, poiché la sinistra non esiste se non come mutazione transgenica della sessualità e della natura, un’economia liberale comprensiva dei mutamenti tecnologici ha l’obbligo di affrontare la questione del lavoro (del lavoratore) in epoca di automazione.

Insomma, qualcosa occorre inventare. Io “invento”: vendita diffusa a minor costo, orari ridotti o nell’impresa corrente o se l’impresa del massimo profitto non è favorevole, l’impresa dei lavoratori con lo scopo di autoccuparsi, il profitto per l’autoccupazione, il mantenimento dell’impresa e dell’occupazione e la possibilità di esistere nel mercato concorrenziale. Hypotheses, non fingo. Di certo, continuare come nel passato è antistorico. Il cambiamento degli strumenti di produzione esige mutamenti nei sistemi produttivi. A meno che non si tentino soluzioni finali, per dire: che siamo troppi e le risorse non sono bastanti. Necessario potare l’umanità. Falso radicale. Siamo pochissimi, la terra è quasi deserta. Mettiamo in vita i deserti, invece di gridare allo sterminio. E i fondi degli immensi mari, e le superfici degli oceani, e lo spazio, e altri pianeti. Insorgimenti di vita.

E, soprattutto, cambiare mentalità. Ormai ogni paesino ribolle d’indipendenza, vuole gestirsi senza protettorato compressivo e se ha qualche materia prima, terra rara, vuole fruttarle, poiché le tecnologie consentono sviluppi rapidissimi. Si ribella, dissolvendo il proposito imperialista di chiunque. Il proposito del Sud, incarnato nel Brics, ha questo tratto di conquista dell’autonomia affermativa, illusoria o meno che sia. Impossibile regredire. Rischiamo di venir considerati nemici dell’altrui indipendenza e avanzamento. Occorre una visione mondiale comprendente le esigenze di tutti i Paesi per scopi comuni alla sopravvivenza dell’umanità, una élite, o meglio: aristocrazia del pensiero che dia pane a tutti e civiltà estetica a chi ne è capace secondo l’immortale valore della qualità.

E poiché di sicuro tutto ciò appare illusorio utopismo occorre avvertire che l’altra via è la contesa a chi forgia l’arma più carnivora per la messa a riposo eterno dell’umanità. Oggi i mezzi per il beneficio di tutta l’umanità sono realissimi. Strana epoca: in passato, c’erano i fini ma inadeguati mezzi, oggi mezzi sovrastanti e fini tangenziali. In sostanza: vi sono alcuni mutamenti sconvolgenti nei sistemi produttivi. Un’indicazione relativa: il concepire che il profitto suscita occupazione, secondo la certezza di Adam Smith che il movente dell’interesse personale mette in azione un complesso occupazionale involontario, vale come persistenza assoluta dello spirito imprenditoriale, ma non è più sostenibile come generatore di occupazione. Il profitto sarà legato all’automazione. L’uomo è in procinto di sostituzione. Un paradossale esempio viene dalla guerra, affidata più alle armi che all’uomo.

Non c’è rapporto tra lavoro e produzione. Premere un pulsante fa scaturire la produzione, sicché risulterà difficilissimo stabilire la retribuzione secondo la quantità di lavoro. I tempi di lavoro, con macchinari efficientissimi, non possono restare come i precedenti. Inoltre, la produzione sarà enormemente accresciuta. Ma se vi sarà disoccupazione da ipertecnologia i consumi scemeranno. Si tratta di un’evenienza micidiale. Più produzione, meno consumo (sta già accadendo). Milioni di persone non verranno mantenuti dal lavoro e non possono essere lasciati al niente. Vi è un mutamento sistemico e i sistemi produttivi devono tener conto di queste alterazioni. Un obbligo di sguardo sociale e di soddisfazione dei bisogni senza il vecchio rapporto lavoro-salario. Il lavoro non sarà la base del salario. Sarà la produzione per i bisogni l’avvenire dei sistemi produttivi? È questo il compito di un liberismo sociale?

Aggiornato il 06 settembre 2023 alle ore 12:58