Antichi mestieri: un patrimonio a rischio

Botteghe che chiudono, la mancanza di un ricambio generazionale. Ma non solo. Una fotografia impietosa, che scatta un trend che colpisce le maestranze del nostro Paese. Una fuga dall’artigianato peraltro certificata in uno studio redatto dall’Ufficio studi della Cgia. Numeri alla mano, spiega il report, dal 2012 la diminuzione è stata di quasi 325mila unità (-17,4 per cento). In 10 anni solamente nel 2021 l’alveo in questione è aumentato, anche se di poco, rispetto all’anno precedente. Tra l’altro, in rapporto ai dati forniti dall’Inps, nel 2022 abbiamo 1.542.299 artigiani. I giovani, d’altro canto, non sembrano così affascinati dal settore; chi invece ha una certa esperienza nel comparto ma allo stesso tempo non ha maturato la contribuzione per usufruire della pensione, decide di salutare la partita Iva e di restare nel mercato come dipendente. Da impiegato, dopotutto, ha meno preoccupazioni.

Saracinesche che si abbassano. O che rimangono aperte a fronte di enormi sforzi. E che rappresentano, in taluni casi, le facce storiche dei quartieri delle città. Così abbiamo sempre meno falegnami, fabbri, orologiai, calzolai, sarti, tappezzieri, pellettieri, riparatori di elettrodomestici, corniciai, lavasecco, fotografi. Dall’altro lato della medaglia, dice l’analisi di Cgia, i settori artigiani che possono dire ancora la loro – e che vivono una fase di espansione – sono quelli del benessere (per esempio tatuatori, acconciatori, estetisti) e dell’informatica (addetti al web marketing, videomaker, esperti in social media, sistemisti).

Cambiano i tempi, certo, e le modalità di acquisto. Il tutto unito a un aumento dell’età media: elementi, questi, che rappresentano una vera e propria mazzata per gli artigiani. In tale contesto, non possono non essere citati – come indica lo studio della Cgia – il commercio elettronico, la grande distribuzione, il costo degli affitti, la burocrazia, il fisco. Il prodotto viene scelto on-line oppure nello scaffale di un grande magazzino. Addio, così, al vestito o alla calzatura fatte a mano.

“Negli ultimi 40 anni – sottolinea il dossier della Cgia – c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”. Perciò, “in tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i, vecchi”.

Il presidente nazionale della Cna, Dario Costantini e il segretario generale, Otello Gregorini, recentemente ricordano che dal 2008 le imprese artigiane sono in costante flessione, al ritmo di 40 al giorno. Per Marco Granelli, presidente di Confartigianato, “siamo al paradosso: il lavoro c’è, mancano i lavoratori. E, nel frattempo, 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma, non cerca occupazione. Di questo passo, ci giochiamo il futuro del Made in Italy. Ecco perché il dibattito su salario minimo e lavoro povero deve allargarsi ad affrontare con urgenza il vero problema del Paese: la creazione di lavoro di qualità. Serve un’operazione di politica economica e culturale che avvicini la scuola al mondo del lavoro, per formare i giovani con una riforma del sistema di orientamento scolastico che rilanci gli Istituti professionali e gli Istituti tecnici, investa sulle competenze a cominciare da quelle digitali e punti sull’alternanza scuola lavoro e sull’apprendistato duale e professionalizzante. Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite – termina – per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro”. Le maggiori difficoltà di reperimento – da un’indagine di Confartigianato – si riscontrano per i tecnici specializzati nella carpenteria metallica (70,5 per cento di personale difficile da trovare), nelle costruzioni (69,9 per cento), nella conduzione di impianti e macchinari (56,6 per cento).

Come salvare le botteghe? Su Panorama è riportata la proposta che giunge dalle Marche e che è firmata da Enzo Mengoni (presidente territoriale) e Giorgio Menichelli, segretario generale. Ovvero l’arti-turismo. Spiega Menichelli: “Vogliamo creare la rete di botteghe dove si impara l’arte, se ne comprende il valore facendone esperienza offrendo l’abitare nei borghi, il gustare i prodotti dell’artigianato enogastronomico e recuperando le tecniche di tradizione”. Un progetto che vedrebbe “artigiani che vanno in pensione e che passano il testimone ai giovani, ai quali insegnano come in passato il mestiere, recuperando socialità tra le generazioni e creando occupazione”.

Un ritorno alle origini, insomma. Con un occhio al futuro mai così presente.

Aggiornato il 05 ottobre 2023 alle ore 17:22