La spesa e il “nodo”   scoperto delle pensioni

Fin da quando ho cominciato ad interessarmi di politica, mi sono sempre posto una domanda: se la mano pubblica si espone eccessivamente dal lato della spesa corrente, come può farvi fronte nel caso di una molto prolungata recessione? O taglia la medesima spesa corrente o aumenta i debiti - tertium non datur - è l’unica risposta possibile.

Ebbene, il tema caldo delle pensioni, su cui Governo e opposizioni impresentabili fanno esercizio di demagogia, si presta perfettamente al caso. Alle prese con un crollo dell’attività economica e, dunque, del gettito relativo a finanziare il più oneroso sistema previdenziale dell’Occidente, ci si trova di fronte alla ragionevole necessità di alleggerire una spesa che, al netto delle altre prestazioni sociali offerte dall’Inps, supera oramai la colossale cifra di 270 miliardi all’anno. Circa un terzo dell’intera, colossale spesa pubblica italiana.

Ma come reagisce l’intero sistema politico-burocratico a questa vera e propria emergenza default? Male direi, anzi malissimo. È di pochi giorni orsono la divulgazione dell’agghiacciante inchiesta di Gian Antonio Stella sulla misteriosa manina che avrebbe surrettiziamente cancellato il tetto dell’80 per cento, introdotto con la tanto bistrattata legge, alle pensioni dei circa 160mila mandarini di Stato. E così, in assenza di provvedimenti, di nuovo molti titolati scalda-sedie potranno andare a riposo col 115 per cento dell’ultimo stipendio. Un trattamento sconosciuto, ad esempio, nella odiata Germania, nella quale il socialista Schröder abbassò dal 48 per cento e rotti al 40 per cento il rapporto tra il vitalizio e l’entità dell’ultima retribuzione.

Ma non basta. Il senatore forzista D’Alì, secondo un italico liberalismo di pastafrolla, ha recentemente intimato, nel corso di un duro intervento nella Camera alta, all’Esecutivo dei miracoli di “mettere giù le mani dalle pensioni”, dato che la drammatica congiuntura che sta vivendo il Paese renderebbe obbligatorio un intervento per salvaguardare la tenuta del sistema. “Forza Italia – ha tuonato D’Alì – è pronta a usare ogni mezzo per bloccare qualunque tentativo di ridurre gli importi delle attuali pensioni”.

Peccato che tali importi rappresentino un costo proibitivo per una economia traballante, assorbendo oltre il 17 per cento del Pil. A tutto ciò fa da surreale corollario il referendum promosso dal nuovo corso leghista di Matteo Salvini, con il quale si vorrebbe cancellare la summenzionata riforma Fornero, onde accelerare allegramente il momento delle redde rationem finanziario.

Ovviamente anche dalle parti della sinistra radicale, Cgil e Sel in testa, non si scherza da questo punto di vista, con un esercito di demagoghi da strapazzo sempre pronti a fare i generosi coi quattrini degli altri, come la professionista del sindacato Cantone la quale, a giorni alterni, la troviamo in tutte le tivù nazionali a spiegarci la drammatiche condizioni dei pensionati, senza mai affrontare la basilare questioncina della tenuta finanziaria dell’Inps.

Certo è, in conclusione, che se destra e sinistra d’opposizione convergono, per ovvi motivi di consenso, su questa linea catastrofica, sarà molto difficile che il Governo Renzi, ossessionato dalla ricerca di popolarità, possa in alcun modo intervenire nell’attuale giungla previdenziale. Purtroppo per noi, in Italia le grandi coalizioni d’intenti nascono solo quando si tratta di assaltare la diligenza dei conti pubblici.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28