Il Sacco di Roma (487 anni dopo...)

venerdì 5 dicembre 2014


L’indagine shock sulla corruzione a Roma è cosa seria. Speriamo che resti tale. I magistrati, grazie a un lungo iter investigativo, hanno scoperchiato un vaso di pandora che emana miasmi insopportabili. Gli inquirenti della Capitale sono giunti a ricostruire una diffusa rete di connivenze e complicità che servivano un unico scopo: l’arricchimento illegale, procurato sulle spalle degli ultimi.

Ci sono dentro in parecchi, dai politici ai malavitosi professionali fino ai più pericolosi di tutti: i mandarini di quella burocrazia infedele che, cambiano le stagioni, cambiano i governi, ma sono sempre lì inamovibili a fare illecito profitto delle loro posizioni di potere. Il vero cancro, di cui gli eletti dal popolo finiscono per esserne soltanto l’escrescenza visibile, è quella zona grigia fatta di meandri imperscrutabili nei quali i comuni cittadini rischierebbero di smarrirsi senza l’ausilio interessato dei sacristi della pubblica amministrazione. Forse è giunto il momento di aprire un discorso definitivo su cosa sia la burocrazia in questo paese.

Il garantismo, di cui siamo instancabili propugnatori, ci spinge a non generalizzare. E’ materia degli inquirenti chiarire, con prove inoppugnabili, le responsabilità individuali degli indagati. Tuttavia, è lecito interrogarsi su quale modello di Stato sia desiderabile per il buon governo della cosa pubblica, visti gli esiti di decenni di corruzione e di malaffare. Esiste un principio inviolato che continua a condizionare la partecipazione dei singoli e dei corpi intermedi alla vita politica e amministrativa italiana: il denaro pubblico deve essere incanalato, non a beneficio della collettività, ma in funzione dell’aggregazione del consenso e dell’arricchimento personale. Fanno un bel dire i media di regime a calcare la mano sul fatto che l’epicentro dello scandalo sia riferito al tempo della giunta di centrodestra guidata dal sindaco Gianni Alemanno. Le prove raccolte dimostrano che ci sono dentro tutti.

Destra e sinistra. D’altro canto è cosa nota che il canone spartitorio costituisca la prassi para-istituzionale che regola i rapporti tra maggioranza e opposizione, a qualsiasi latitudine. Nella specifica vicenda romana, gli inquirenti hanno perforato la superficie e sono penetrati in un sottosuolo che richiede ulteriori esplorazioni. Il fiume magmatico della solidarietà finanziata si nutre di molti affluenti. Abbiano il coraggio, gli investigatori, di mettere le mani in quel mondo oscuro che sono le cooperative sociali sia rosse sia bianche. Ne vedremmo delle belle. Tuttavia, non nascondiamo la preoccupazione che questa indagine possa essere ostacolata dal fatto che si svolga a Roma, dove di cupole ce ne sono tante. Abbiamo assistito per anni alle puntuali lezioni di morale pubblica, e privata, che certi santoni del comunitarismo sia laico sia religioso si sentivano legittimati a impartire ai cittadini.

Adesso è giunto il momento che si guardi un po’ in casa loro per vedere come hanno gestito gli immensi flussi di denaro di cui, nel tempo, sono stati beneficiari. Le strutture cooperativistiche diffuse come un reticolo inestricabile sul territorio nazionale hanno costituito la spina dorsale di un potere che è stato in grado di gestire un proprio welfare autonomo, privato. Non è un caso se gli assessorati alle politiche sociali nei comuni e nelle regioni amministrate dal centrosinistra siano “cosa loro”. Provate a entrare in uno di quegli uffici a dire ”sono un libero cittadino, vorrei fare qualcosa per il prossimo”. Vedrete che vi rispondono. Decine di migliaia di persone, se non centinaia, hanno campato e campano grazie alla macchina della solidarietà finanziata. Quelle persone rappresentano la forza di un potere che ha condizionato le scelte culturali di un intero paese.

Sono l’ideologia del terzomondismo e la filosofia del relativismo culturale che sono scese in terra e si sono fatte carne e ossa, e danaro e posti di lavoro. Speriamo che nessuna autorità ecclesiale alloggiata nei sacri palazzi si prenda la briga di scomodare la divina provvidenza perché il manto misericordioso dell’oblio cali sulla vista degli investigatori così che il loro bisturi non scenda troppo nel profondo. Fu Leonardo Sciascia a dire che bisognava guardarsi dai “professionisti dell’anti-mafia”. Non sarebbe male tenere d’occhio anche i professionisti della solidarietà. Forse qualcuno ha cominciato a farlo. Speriamo.


di Cristofaro Sola