In morte della democrazia parlamentare

venerdì 24 aprile 2020


Il coronavirus ha certamente dato dispiaceri e lutti all’Italia, ma ha (si spera) aperto gli occhi a chi reputava il male di questo Paese fosse il parlamentarismo.

L’essersi imbattuti in Giuseppe Conte e nei 5 Stelle dovrebbe destare questo popolo e, si spera, farlo maturare politicamente. Depotenziamento parlamentare e formazione della classe dirigente tornano per lo scrivente la vera emergenza del momento, e ben superiore all’umana e miserabile pandemia. Perché i malanni passano, ma i guasti politici al sistema rimangono, ed è difficile porci rimedio quando le democrazie partecipate vengono riposte in soffitta.

La formazione della “classe politica”, che i 5 Stelle hanno affidato alla Rete, è del tutto simile alla formazione lavorativa a distanza, alle videolezioni, all’università virtuale: produce impreparazione generalizzata, ci fa rimpiangere il cosiddetto “vecchio ordinamento formativo”. I libri, il confronto, l’interrogare i giovani, l’appurare se nozioni e senso critico e di sintesi convivono in chi si candida a classe dirigente. Da anni lo scrivente rammenta che, tutta l’operazione egemonica dei cosiddetti “formatori politici” sulla cultura italiana del Novecento s’è svolta attraverso il metodo filosofico della “critica”: quel confronto che per comodità appelliamo come crociano, come “critica crociana”, ma che di fatto sintetizza l’approccio che mette d’accordo tutti i filosofi formatori sull’esigenza di una coscienza politica nella cosiddetta “classe dirigente” dello Stato. Caratteristica che vediamo totalmente assente nel Governo Conte come nell’attuale alta burocrazia dello Stato: prova facile è l’“annuncite” ed il presenzialismo alla Rocco Casalino che pervade Conte e tutto il suo nugolo di subalterni. Questo atteggiamento desterà gli animi irrequieti, il senso anarcoide della violenta indigenza: e non basteranno i proclami del ministro dell’Interno (degni di un paludato Fiorenzo Bava Beccaris) a chetare le necessità di base di un popolo. E dire del “c’è la mafia dietro chi chiede violentemente di lavorare e portare il pane a casa”? Apre le porte alla guerra civile. Si spera che qualche presuntuosetto di 5 Stelle sfogli un libro di storia, facendo cascare la propria attenzione sul cosiddetto “biennio rosso”. Si spera possa desumerne che mafia e proteste non sono mai compatibili. Ma questa presunta classe dirigente manca di pratica e lavoro: gli studi crociani rimarcano come il realismo della “classe dirigente” sia preesistente agli studi marxiani ed alla “classe politica militante”, perché presente fin dal sorgere dell’animo borghese (lo confessava lo stesso filosofo di Treviri a Friedrich Engels). Ma i 5 Stelle non sono aristocrazia né borghesia, né proletariato contadino e operaio, né tantomeno conoscono le regole del sottoproletariato e poi degli stenti, della miseria. Sono il nulla, il vuoto coscienziale pneumatico, che crea buchi neri nell’universo dell’animo elettorale grazie all’uso della Rete.

Il progetto dei 5 Stelle guardava sin dal suo sorgere alla riduzione della classe dirigente italiana. Ed i grillini raccolgono consensi come tagliatori di teste per l’intero Stivale: badando bene a poter dimezzare sia per via politica che giudiziaria l’intera classe decisionale. Non è un caso che nel progetto del “Nuovo Ordine Mondiale” (partorito dal Bilderberg) si guardi ad un Bel paese ridimensionato nell’identità dirigenziale. Al Bilderberg frequentato da Vittorio Colao è stato predicato che, gran parte della popolazione dovesse accettare la riduzione della qualità della vita in prospettiva di una visione cinese del lavoro. Una congèrie di sociologi (in primis Domenico De Masi) e variegati studiosi motivano da tivù e giornali l’utilità di dimezzare il grande corpo intermedio, che ha dilatato negli ultimi decenni la borghesia italiana. Ecco perché il pensiero della Casaleggio Associati ha davvero poco in comune col popolo, con l’elettorato, con la democrazia.

Ecco cosa sottende il depotenziamento parlamentare, e l’uso smodato dei decreti. Ovvero convincere l’elettorato che il Parlamento sia un potere contrapposto al popolo. E per minare le funzioni democratiche, c’è chi governa abusando della “decretazione d’urgenza” in nome d’una fantomatica “efficienza normativa”. Ecco perché viene da chiedersi come facciano i cattolici a governare con i 5 Stelle: loro, allievi del Partito popolare di Sturzo, che nel 1919 dichiarava che “solo il Parlamento rappresenta il Paese”. E come fanno le sinistre, che pur sempre hanno radice socialista, ad accettare le regole di Giuseppe Conte e dei comitati d’autocrati (Colao e compari)? Loro che nel 1953 scatenarono un aspro conflitto parlamentare contro la “legge truffa”, a cui veniva imputato di snaturare proprio la sacralità della rappresentanza parlamentare.

Il Parlamento è il brodo ancestrale della democrazia politica: vecchi e nuovi partiti possono dissolversi o sciogliersi in altre forze, si può modificare infinite volte il quadro di governabilità. Ma la presenza d’un Parlamento è garanzia che tutto poi venga votato dagli elettori. Parlamentarismo e presidenzialismo sono contrapposte ipotesi democratiche di riforma costituzionale. Ma la riduzione dei parlamentari non è un virus, è la stessa morte del parlamentarismo, e della democrazia. In autunno forse si svolgerà il referendum, e si spera la decretazione autoritaria di Conte possa influire sull’esito. Così che l’Italia possa bocciare derive autocratiche e lesive di libertà e diritti conquistati col sangue e col carcere.


di Ruggiero Capone