Cashback e libertà

I “soldi son tondi e ruzzolano”, dice un vecchio proverbio. Sta a significare che, passando di mano in mano, di tasca in tasca, è come se rotolassero, ruzzolassero, appunto, in un moto perpetuo.

Il meccanismo del cashback, che a regime entrerà in vigore il primo gennaio, vuole frenare questo ruzzolio. L’idea di fondo è che, limitandolo, si possano ridurre l’economia sommersa e l’evasione.

Non c’è dubbio: limitare l’uso del contante ha una valenza simbolica di grande presa, specie se calata in un contesto politico, come l’attuale, di stigmatizzazione del libero mercato e restrizione delle libertà individuali. In un contesto nel quale l’homo oeconomicus, che spinge quel ruzzolio e lo alimenta col suo lavoro, è tollerato, più che sostenuto. Il riferimento non è ai bonus o ai sussidi elargiti in questi mesi, ma ad una visione di fondo del sistema economico e del ruolo dell’impresa che orienta l’intera politica governativa. C’è una tendenza ideologica in atto, infatti, che si esprime in politiche dirigiste, di costrizione delle libertà economiche, di riduzione dell’autonomia del mercato e dell’impresa.

Il cashback è un tassello di questo mosaico. Solo se visto così può essere compreso nelle sue più nascoste e mimetizzate spigolature politiche. Limitare il ruzzolare dei soldi significa, anzitutto, dare corpo ad un frammento di quella ideologia per la quale l’homo oeconomicus, insieme al mercato e al capitale, non potendo essere eliminati, devono essere quantomeno costretti, tracciati, schedati e semmai diretti.

Intendiamoci. Qui non si vuole banalizzare o sottovalutare il fenomeno dell’evasione che, pur presente in tutti i paesi ad economia avanzata, in Italia ha senz’altro caratteristiche peculiari, anche quantitative. Si vuole dire che il cashback è principalmente una misura di propaganda e che la riduzione di quel fenomeno non dipenderà da esso, perché il rapporto tra evasione e mezzi di pagamento non diminuisce meccanicamente e parallelamente col prevalere della moneta elettronica su quella materiale. Anzi, e non sembri un paradosso, talvolta l’evasione è maggiore proprio dove minore è la circolazione del soldo. 

Proviamo a capire meglio. Uno studio della Banca d’Italia informa che nel nostro paese i pagamenti in contanti ammontano al 12 per cento del Pil, ossia della ricchezza prodotta, mentre l’economia sommersa raggiunge il 19 per cento.

Ora, confrontando questi dati con quelli di altri paesi europei, si vede questo: in alcuni, come Malta e Polonia, dove luso del contante è inferiore a quello italiano, l'economia sommersa è identica o superiore; in altri, come Germania, Francia, Svezia, Belgio, con uso del contante inferiore di 2 o 3 punti dal nostro, l’economia sommersa è bensì inferiore, ma di ben 8, 9 o 10 punti; in altri ancora, come in Spagna, dove i pagamenti in moneta materiale sono superiori ai nostri, l’economia sommersa è inferiore.

Cosa vuol dire questo? Che non c’è nessuna dimostrazione che gli incentivi alla moneta elettronica siano strumenti efficaci per contrastare efficacemente l’evasione. Non è provato infatti che i limiti al ruzzolio della moneta reagiscano sull’evasione determinandone una diminuzione significativa e simmetrica, o almeno significativa fino al punto da giustificare la compressione delle libertà. Ecco perché il cashback è anzitutto una misura ideologica. L’ennesima.

È ciò che si legge in controluce anche nella lettera della Banca centrale europea al Governo italiano. La Bce, mentre sottolinea la grave sgrammaticatura istituzionale del nostro esecutivo per non avere rispettato i Trattati sulla concertazione delle misure, ne critica aspramente il merito, censurandole, proprio, in punto di efficacia antievasiva.

La domanda finale da porsi, allora, è questa: quanto valgono le libertà? Per qualcuno, a quanto sembra, poco più di un piatto di lenticchie. Un po’ poco, decisamente poco!

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 22 dicembre 2020 alle ore 12:06