Quando la politica finisce all’Autogrill

Il “no” di Gabriele Albertini e Guido Bertolaso è ora la notizia in primo piano che fa riflettere. E non solo chi li aveva proposti, illudendosi di uno scontato “sì”. Per qualche giorno, tuttavia, la news più ghiotta nella palude dell’attuale politica è l’incontro di Matteo Renzi, senatore, con Marco Mancini dei servizi segreti filmati in un Autogrill da una signora che passava per caso e che ha passato il film al giornalista Rai di Report, Sigfrido Ranucci. Ma la signora (di cui si ignora il nome) si trovava all’Autogrill per caso, oppure per Ranucci, si chiedono i renziani. E la replica è un secco no, semmai quel che conta è cosa si saranno detti i due. E così via, fino alla Procura dove Renzi ha deciso di rivolgersi.

C’è una sorta di nemesi nel tragitto alla rovescia della politica con una segnale di strada sbarrata sulla via che la Polis di questi anni non riesce più a praticare secondo la sua stessa logica o convenienza. Questa volta la nemesi sta proprio nell’Autogrill luogo apparentemente casuale eppure obbligato e, dunque, simbolico di quel “chi va e chi viene” che è, a suo modo, contenuto e forma di una politica per dir così spiccia.

Ma lo sfondo è ben diverso e ben dissimile di un paesaggio statico e mobile – a seconda del passaggio autostradale – perché squisitamente politico, dove la mobilità necessaria dei tavoli si regola sulle decisioni dei candidati a loro volte spinti (o controspinti) dai tavoli dei partiti di riferimento e dai legittimi interessi di bottega. Cosicché i colloqui segreti renziani vanno perdendo quel sapore di proibito che, tra l’altro, li giustifica mentre incedono passi ben più sonori, segnali del protagonismo che li mobilita e che trova in Matteo Salvini, non a caso, il personaggio di primo piano.

Alle prese con le candidature delle città, per esempio Milano e Roma, la novità che emerge di colpo non è l’indicazione di candidature date per scontate ma il loro rifiuto, il cortese ma fermo no di Albertini (“mia moglie non vuole” e di Bertolaso “come ve lo devo dire che non sono candidato!”). Due candidature – come si dice – bruciate che vanno al di là delle spiegazioni personali, non solo o non soltanto per l’imbarazzo che producono in quanti erano già pronti a sostenerle, quanto piuttosto nel panorama di una intera politica sia pure amministrativa, le cui debolezze di fondo, spesso dovute alle incertezze interne alle alleanze, condizionano gli stessi candidati di successo.

Il fatto è che gli Albertini e i Bertolaso si pongono domande assai cogenti e non solo sul piano delle legittimissime attese personali ma anche, staremmo per dire inevitabilmente, sulla tenuta politica delle alleanze, sul grado di affidabilità, sul tasso di coerenza, sulla durata dunque di una Amministrazione che non tollera rinvii, litigi, ritardi. E il doppio “no” di due uomini di grande successo dovrebbe fare riflettere i partiti proponenti sulle loro stesse carenze, sugli assai poco discussi e comunque occultati limiti interni con vistose assenze di dibattiti, di assoluta carenza di confronti, di vere e proprie scomparse di ragionamenti programmatici, di slanci di proposte moderne e coraggiose. E che dire della pratica sparita di Forza Italia in un contesto nel quale poteva giocare il ruolo di una componente liberale, aperta, laica. Già, che fine hanno fatto Forza Italia e il laicismo? Manca il coraggio nella visione del Paese, che non sia dell’oggi perché è proprio ii caso di dirlo: nulla di nuovo sotto il sole politico.

Aggiornato il 11 maggio 2021 alle ore 09:14