Cosa c’è di sbagliato nella legge Zan? Nulla, risponde Saviano. Sbagliando!

Se avessi avuto bisogno di un’altra prova dell’intrinseca inammissibilità della “legge Zan”, l’avrei trovata nell’articolo di Roberto Saviano “Cosa c’è di sbagliato nella legge Zan? Nulla. Chi la critica ha altri obiettivi” (Sette-Corriere della Sera, 7 maggio 2021, pagina 16). Io l’ho criticata qui sull’Opinione in pari data, senza ovviamente conoscere il testo dell’illustre romanziere. Che non sempre è apprezzabile nell’impegno politico, a parer mio. Quanto a me, non ho nessun altro obiettivo all’infuori dell’obiettività logica e giuridica, calpestata specialmente dagli articoli 1 e 4 della legge. In ciò Saviano commette il primo errore, grave per un polemista di vaglia. Una critica non può essere criticata con il pretesto degli scopi reali o presunti del critico, che può averne di poetici e prosaici, di nobili e ignobili, senza che lo scopo infici o avalli la critica. Questa affermazione di Saviano dimostra il suo pregiudizio in favore della “legge Zan” e non merita commenti.

Invece, meritano una severa censura esplicita altri punti del suo articolo. Devo sottolineare con forza il fatto che Saviano abbia del tutto glissato sull’incostituzionalità dell’articolo 4 della legge per contrasto insanabile con l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero. A riguardo osservavo nel mio articolo che la legge “riscrive” la disposizione costituzionale riguardo a tale libertà, invertendo la gerarchia delle fonti giuridiche, fino a far apparire che la Costituzione dovrà essere interpretata in conformità alla legge anziché viceversa. Il pericolo paventato è “strumentale”, atto soltanto ad “occupare spazio sui media”, come accusa Saviano? Beh, in verità, la meritata fama sottrae Saviano al bisogno di comparire, non all’obbligo di motivare e argomentare il favore accordato ad una legge che sembra non aver letto o non aver meditato a sufficienza.

Anche per Saviano la “legge Zan” funge da “deterrente per atteggiamenti e comportamenti discriminatori di quanti credono di poterla fare franca se insultano o malmenano due persone dello stesso sesso che si tengono per mano o si baciano”. E conclude: “Ecco, con una legge che ritiene questi comportamenti un’aggravante, è probabile che, prima d’insultare o usare violenza, si avrà il buon senso di pensarci”. Saviano, come possiamo vedere, non è sfiorato dal dubbio che la legge, per conseguire una specifica maggior tutela penale (peraltro superflua!) di persone asseritamente bisognose, le protegge mediante una discriminazione irragionevole e pericolosa, trattando in modo diseguale l’esercizio della libertà di pensiero a seconda che coinvolga le persone protette oppure no. Il sacrificio, inammissibile, di tale libertà, “pietra angolare dell’ordine democratico” la definì la Consulta, è viepiù da condannare considerando che tutta la legge è una ridondanza normativa, un omaggio legale all’idolum fori del momento, santificato pure dedicandogli una giornata di festa.

Le persone protette non sono individuate oggettivamente per natura o direttamente dalla legge, bensì indirettamente. Sono gl’interessati stessi che stabiliscono se e quando sentirsi legittimati a ricorrere alla protezione qualificandosi anche sessualmente in base alle definizioni del “vocabolario” riportato dalla legge. Le variabili fisiche e gli orientamenti psicologici possono essere liberamente invocati alla bisogna. In barba anche alla certezza del diritto. Per inciso, cade acconcio ricordare lo slogan dei sessantottini “la fantasia al potere”. Ecco, caro Saviano, non so dire se la fantasia sia andata al potere. Certo con la “legge Zan” ha conquistato l’anagrafe!

Infine, e qui casca l’asino per modo di dire, la frase rivelatrice della corrività di Saviano verso il “politicamente corretto” eccola qua: “Un diritto non è mai per pochi: quando è riconosciuto, poi è di tutti”. Sa lui cosa possa aver voluto dire con la frase che ha scritto. Per me siamo in piena tempesta del “dirittismo”, come insisto a definire “ogni pretesto che giustifica la pretesa di un diritto”. Innanzitutto, anche Saviano ammette la discriminazione. La “legge Zan” è un diritto “per pochi”. Ma lasciamo stare la forzatura. Piuttosto, a quale diritto allude Saviano? Il reato di oltraggio al cadavere attribuisce un diritto al morto? L’aggravante è un diritto della vittima? A tali paradossi, a tali assurdità portano la confusione dei contemporanei sull’essenza del diritto e la perversione accademica d’insegnare legislazione piuttosto che giurisprudenza.

Aggiornato il 11 maggio 2021 alle ore 09:13