Riforma della giustizia: il silenzio degli innocenti

È vero che non abbiamo ancora letto nulla e fino a quando non avremo un testo per le mani dovremmo osservare un atteggiamento molto prudente. Mi sembra, tuttavia, che i progetti sul tavolo del ministro abbiano un intento prevalentemente deflattivo, in una prospettiva che tende a far coincidere la riduzione dei tempi del processo con la contrazione di garanzie proprie di istituti profondamente radicati nell’ordinamento.

La eliminazione della facoltà del pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze che non condivide si accompagna alla cancellazione di un principio che da sempre caratterizza il sistema delle impugnazioni: il divieto di reformatio in peius. Sembra, quasi, che gli estensori di questo progetto di riforma (ripeto, ancora non letto) abbiano voluto introdurre una sorta di compensazione, bilanciando due istituti che non sono affatto comparabili e che rispondono a principi del tutto diversi.

Il pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 112 della Costituzione, ha l’obbligo della azione penale e deve sempre perseguire la corretta applicazione della legge, come ebbe a rilevare la Corte costituzionale nel 2007 e anche in occasioni precedenti. Di matrice del tutto diversa è la norma che prevede il divieto di aggravare la sanzione quando appellante è il solo imputato. Ora, mi è difficile comprendere come sia possibile produrre un sistema nel quale il giudizio sulle impugnazioni diventa un azzardo, sul quale incombe una specie di intimidazione nei confronti di chi sostiene le proprie ragioni anche dopo un risultato sfavorevole. In un ordinamento nel quale si è consolidato l’orientamento che sanziona con la inammissibilità il ricorso contro la cosiddetta doppia conforme, orientamento che non condivido in alcun modo, la eliminazione del divieto di reformatio in peius assume una connotazione che non mi piace affatto: mi sembra che lo Stato consideri una insubordinazione la non accettazione del giudizio espresso in primo grado e che voglia punire, indipendentemente dalla gravità del fatto, la ostinazione di chi continua a proclamarsi innocente o a censurare valutazioni espresse dal primo giudice.

Tutto questo, in cambio della soppressione di un potere di impugnazione che, per quanto esercitato raramente, non appare affatto distonico agli scopi e alla natura del giudizio accusatorio. Temo che ci stiano prendendo in giro: il denaro del Recovery Fund non può giustificare quello che sta accadendo. Fermo restando che resta ancora da dimostrare che questi progetti di riforma producano un processo più rapido di quello al quale siamo abituati. E che il prezzo da pagare non sia un corollario degli interessi passivi di un prestito concesso, sembra, per rilanciare l’economia.

Aggiornato il 12 maggio 2021 alle ore 09:44