M5S: non è che Di Maio è il più bravo?

Il nostro giornale è stato, per certi aspetti, un anticipatore del caos crescente dentro il M5S con riflessi esplosivi per il Partito Democratico nel caso di Roma e con lo storytelling all’italiana a metà strada fra un film del primo Totò (ma mi faccia il piacere!) e una pellicola del migliore Alberto Sordi, trasformista impareggiabile nell’arte di arrangiarsi.

L’imbroglio degli incontri con accordi raggiunti ma ripudiati qualche giorno dopo rientra nella tradizione trasformista, rinvigorita oggi dal Movimento grillino il cui cambio di idee nel passaggio dall’ideologia del “vaffa” al governativismo a oltranza ne è il simbolo e del quale il giovane Luigi Di Maio sta diventando il rappresentante più autorevole. Soprattutto il più capace, perché se così non fosse stenteremmo a districarci nel labirinto romano nel quale, peraltro, il Pd s’è smarrito e ha perso la faccia con l’intervento risolutivo del ministro degli Esteri, che ha manovrato senza chiasso e sotto traccia, tenendo insieme un partito né di destra né di sinistra ma qualunquista col duplice o triplice obiettivo: recuperare e rilanciare la sindaca Virginia Raggi vincitrice con lo slogan contro “quelli di prima” sullo sfondo di una inesistente “Mafia Capitale”, di ripudiare la camicia di forza dell’alleanza ovunque col Pd del “nuovo centrosinistra” teorizzato dal filosofo caro a Nicola ZingarettiGoffredo Bettini, di presentarsi come il vero leader in un M5S dove Giuseppe Conte è nella palude provocata dal casaleggismo di ritorno, il buon Vito Crimi è in archivio mentre il mitico Alessandro Dibba Di Battista sembra in tutt’altre faccende affaccendato.

Non è da poco questo exploit di Di Maio, tanto più che il brusco cambio di candidato del Pd non riguarda uno qualsiasi ma quello Zingaretti le cui suggestioni bettiniane devono essere di colpo calate, anche perché la mossa di Di Maio provoca una negativa reazione a catena per le imminenti elezioni ammnistrative mettendo nei guai un Enrico Letta che, a giudizio di non pochi osservatori, non sembra aver colto in pieno il cagionevole stato di salute di un Pd il cui orizzonte politico, da anni, è chiuso nel recinto del potere, asfittico, fine a se stesso, inanimato. Privo di visione.

Per ironia della sorte l’ultima strategia zingarettian-bettiniana in una alleanza organica coi pentastellati col pensiero di sottrargli voti pro domo sua, si è ribaltata nel suo rovescio grazie alla strategia uguale e contraria di Di Maio, che ha messo uno stop a sogni e illusioni, benché sia forse prematuro un cantare vittoria in successi più ampi nel futuro, giacchè la mossa pro Raggi è più distruttiva per il Pd che risolutiva per la tenacemente illusa sindaca uscente.

La storia insegna che si può vincere una volta sola su “quelli di prima” perché, diventando entrante, proprio tu sarai uno di loro. Appunto la Raggi, quella di prima. Intanto, però, chi ha vinto è Di Maio. Che sia il più bravo?

Aggiornato il 12 maggio 2021 alle ore 09:39