Immigrati: il passato che non passa

Ci risiamo. Con il caldo e il bel tempo, sulle nostre coste sono ripresi gli arrivi massicci di immigrati irregolari dal Mediterraneo centrale. A ieri il Cruscotto statistico del ministero dell’Interno segnalava 13.008 persone sbarcate in Italia da inizio anno. Solo nella giornata del 10 maggio ne sono arrivate 1.950. Così non va. La ministra Luciana Lamorgese si dice preoccupata e fa bene a esserlo. Perché, di questo passo, nei mesi estivi i picchi stagionali degli arrivi ci porteranno indietro al triennio drammatico del 2015-2017 quando l’Italia fu letteralmente presa d’assalto da un’invasione migratoria irregolare.

Qui non stiamo a tirare fuori dall’armadio le bandiere del tifo, precedentemente accantonate per non intralciare l’opera del “salvatore della Patria”, Mario Draghi. Neanche si può fare finta di nulla. Il problema c’è e interroga la natura effimera e contradittoria di un Governo-marmellata nel quale si trovano mescolate sensibilità sul senso identitario e visioni del futuro affatto opposte. È l’ingannevole rifrazione sensoriale del governo-di-tutti (o quasi) che provoca una pericolosa ambliopia della realtà. La Lega, con Matteo Salvini, invoca il blocco dei flussi migratori. In controcanto, Enrico Letta dal fortino del Partito Democratico lancia la proposta (lunare) di convertire “la missione militare europea di fronte alle acque libiche per lo stop al commercio delle armi in una missione che consenta di gestire il salvataggio in mare”. Un’idea stupida e impraticabile che sembra coniata apposta per indispettire l’alleato (indesiderato) di Governo. Tocca al premier trovare una soluzione che superi il muro d’inconciliabilità che spacca il campo della politica e vada incontro alle aspettative degli italiani su questo tema. Tuttavia, l’ostacolo che impedisce anche al Governo Draghi di connettersi con la coscienza profonda del Paese è costituito dallo scollamento che esiste tra l’idem sentire della gente comune e la sua proiezione (falsata) all’interno dell’istituzione parlamentare.

Il macigno si chiama Cinque Stelle. È il primo partito, in termini numerici, all’interno del Palazzo che di fatto condiziona le scelte di governo, ma non lo è nel rappresentare l’effettiva volontà della maggioranza degli italiani. La colpa grave di tale anomalia sappiamo benissimo di chi sia e non stiamo qui a ripuntare il dito contro il Colle, come facciamo puntualmente dalla velenosa estate del Papeete, per non essere inutilmente ripetitivi. Se Mario Draghi vuole provare a risolvere il problema deve guardare principalmente alla gente e preoccuparsi meno del bilancino con il quale tenere in equilibrio la sua maggioranza.

La domanda che un pragmatico del suo rango deve porsi è: gli italiani realmente desiderano che le frontiere vengano abbattute e si accolga il mondo in casa? Si sorprenderebbe dallo scoprire che ciò che sta nelle corde della sinistra collida frontalmente con la volontà della maggioranza dei cittadini. È di soluzioni radicali, nel senso della difesa dei confini marittimi, che si avverte il bisogno. Per essere ancor più chiari, la quadra non è quella che rincorre la ministra dell’Interno quando dice di voler chiedere aiuto all’Europa per un’equa e solidale ripartizione degli irregolari sbarcati in Italia. Da questo orecchio i Paesi partner nell’Unione europea non sentono. E fanno bene a restare sordi perché non è con la redistribuzione indiscriminata degli immigrati che l’Europa salva se stessa. Per chi non ha diritto a stare dentro lo spazio dell’Unione europea non c’è posto.

E mentre gli altri Governi, che siano di destra o di sinistra non fa differenza, sono implacabili nell’interdizione degl’ingressi illegali, da noi braccia aperte. Dobbiamo essere impazziti se pensiamo che Paesi come la Francia, la Spagna, l’Austria, Malta, per citare quelli a noi geograficamente più vicini, ci seguano sulla strada delle porte spalancate. Si dirà: ma è l’Italia la piattaforma continentale protesa verso la sponda settentrionale dell’Africa, se è da lì che arrivano non li si può lasciare morire in mezzo al mare. Certo che no. Ma, per evitare che anneghino, occorre che non partano. Come fare? La soluzione più ovvia è di stringere accordi seri con i Paesi da cui si originano le rotte del flusso migratorio e con quelli da cui prendono il mare i barconi.

In particolare, Libia e Tunisia. Anche un bambino capirebbe che non c’è un’incapacità strutturale di tali Paesi a impedire le partenze, mentre c’è di sicuro uno sporco gioco al ricatto per ottenere più denari dai ricchi Stati europei. Siamo al cospetto di una patente estorsione. Come ci si comporta in questi casi? Esistono due possibilità: si cede e si paga, oppure si reagisce e si usano le maniere forti. Al riguardo, consiglieremmo un approccio “laico” al problema, cioè non vincolato a pregiudizi ideologici, per quanto sia irrealistico immaginare una tregua negoziata tra sinistra e destra sulle politiche dell’accoglienza. Pagando i libici e i tunisini si bloccherebbe il traffico di esseri umani nel Canale di Sicilia? Se la risposta è affermativa si paghi e facciamola finita perché diecimila e passa clandestini al giorno non ce li possiamo permettere.

Diversamente, pur sborsando montagne di quattrini il flusso non si arresta? Fatta eccezione per il naviglio delle potenze globali, abbiamo la flotta da guerra migliore e più moderna che incroci nelle acque del Mediterraneo, usiamola! Non piace l’idea del blocco navale perché è tecnicamente e giuridicamente impraticabile? Lo si chiami pattugliamento rafforzato, Pippo, Pluto o Paperino, non ha importanza. Ciò che conta è fermarli e rispedirli indietro da dove sono partiti. Non sarà bello, non sarà misericordioso, non sarà umanitario, ma da quando gli Stati difendono la loro prosperità e il loro diritto sovrano con le buone maniere, la misericordia e l’umanitarismo? A maggior ragione adesso, con il virus che continua a circolare. Si dirà: li mettiamo in quarantena appena sbarcati. E dove? Dal prossimo luglio le quattro navi noleggiate dallo Stato per svolgere il servizio della quarantena non saranno più disponibili. Il che significa ritornare agli hotspot-gruviera da dove si entra e si esce a mo’ di sala d’aspetto di una stazione ferroviaria.

Come poi dare torto ai cittadini esasperati che inscenano blocchi stradali per impedire ai migranti l’accesso ai centri di accoglienza ubicati all’interno dei propri territori? Sarebbero loro, i cittadini arrabbiati, i razzisti e gli xenofobi se provano a non caricarsi sul groppone l’ennesimo problema come se in questi mesi di reclusione forzata non ne avessero avuti a sufficienza? Comunque sia, per trattare in modo convincente con i Governi dei Paesi africani interessati al fenomeno dei flussi migratori bisognerebbe avere un ministro degli Esteri all’altezza del compito.

L’Italia ha Luigi Di Maio. Che non è il meglio che si possa sperare nella vita. É come avere Roberto Speranza al ministero della Salute a fronteggiare la pandemia. Ma noi ce l’abbiamo Speranza alla Sanità. Perdinci, siamo messi male! Non ci resta che sperare in Mario Draghi che somiglia sempre più al gigante buono di un Carosello che negli anni Settanta pubblicizzava una nota marca di dolciumi. Il fortunato slogan che lo rese celebre ai suoi tempi suonava così: “Gigante, pensaci tu!”. La sensazione è che quel fantastico spot bisognerebbe ripescarlo dalle teche Rai e rimandarlo in onda. Perché in tempo di nani, elfi e folletti in politica, un gigante serve. Eccome.

Aggiornato il 14 maggio 2021 alle ore 09:21