Allarme dei militari: “In Francia cova la guerra civile”

“In Francia cova una guerra civile perché lo Stato si è arreso ai musulmani radicali”. L’allarme di circa 2000 militari in servizio, contenuto in una “petizione” al presidente Emmanuel Macron pubblicata sulla rivista Valeurs Actuelles, è solo l’ultimo di una serie di allarmi lanciati da gruppi di militari francesi.

Il 21 aprile scorso 20 generali in pensione avevano indirizzato allo stesso presidente un “appello” (pubblicato dalla stessa rivista conservatrice) in cui affermavano che in seguito alla “disintegrazione della Francia” e alla “islamizzazione” prima o poi i militari sarebbero stati chiamati, loro malgrado, a intervenire. I 20 generali erano stati seguiti quattro giorni dopo da altri generali e ufficiali – circa 1200 – che avevano inviato al Parlamento un documento nel quale era scritto tra l’altro: “Ci è stata dichiarata una guerra ibrida e multiforme che finirà nel migliore dei casi con una guerra civile e nel peggiore con una sconfitta crudele senza futuro”.

La leader della destra sovranista, Marine Le Pen, aveva appoggiato i firmatari e li aveva invitati a sostenere la sua politica e la sua candidatura per la presidenza francese nelle elezioni previste per il 2022 attirandosi la definizione di “figura pericolosa da parte del governo di Parigi”. Anche il capo di Stato maggiore delle forze armate, il generale François Lecointre, aveva minacciato i firmatari dell’appello: un procedimento disciplinare e quindi la radiazione o il pensionamento.

Nonostante queste minacce delle massime autorità, è giunta domenica scorsa la nuova “petizione” a Macron dei 2000 militari in servizio, che hanno comprensibilmente preferito restare anonimi. Essi tengono a fare sapere di avere servito in Africa e in Afghanistan e di avere preso parte all’Operazione Sentinel (le pattuglie antiterrorismo nelle strade francesi dopo le stragi del 2015) e tengono anche a chiarire che non si tratta di un “pronunciamento”.

“Se scoppierà una guerra civile, i militari manterranno l’ordine sul territorio solo perché sarà chiesto loro di farlo. Nessuno può desiderare una situazione così terribile, ma la guerra civile si sta preparando in Francia e voi lo sapete perfettamente. Agite, signore e signori… ne va della sopravvivenza del nostro Paese, del vostro paese”. I 2000 militari puntano poi il dito chiaramente contro i politici: “Vediamo l’odio per la Francia e la sua storia diventare la norma… mentre voi abbandonate, senza reagire, interi quartieri del nostro Paese alla legge del più forte”. La petizione è stata subito sottoscritta da oltre 109mila francesi.

Il capo di Stato maggiore delle Forze armate francesi, il già citato generale Lecointre, questa volta si è limitato a invitare i sottoscrittori anonimi dell’appello a “lasciare l’Armée” e a “difendere le loro opinioni da uomini liberi dai doveri di riservatezza imposti dall’uniforme”. La maggioranza dei francesi sembra però concordare in molte opinioni con i militari che lanciano quegli appelli. Il 28 aprile scorso, a pochi giorni dal clamoroso appello dei 20 generali in pensione, l’Istituto di sondaggi Harris Interactive ha condotto un’indagine da cui è risultato che ben l’86 per cento dei francesi pensa che le leggi della Repubblica non si applichino nell’intero territorio, l’84 per cento è d’accordo sull’aumento della violenza, il 74 per cento pensa che l’antirazzismo esasperato provochi il razzismo e il 73 per cento che la società francese si stia disgregando. Il dato che ha inquietato di più l’Eliseo e i palazzi della politica e che quasi un francese su due (il 49 per cento) si dichiari favorevole all’intervento dell’esercito anche “senza che gli venga ordinato di farlo per garantire l’ordine e la sicurezza in Francia”. Persino l’ex presidente, il socialista François Hollande ha ammesso già mesi fa nel suo libro “Un president ne devrait pas dire ça” che il pericolo di uno “smembramento” (“partition”) della Francia è reale.

Per capire i neri umori francesi bisogna ricordare che in Francia vi sono ufficialmente (senza contare cioè i numerosi sans papier clandestini) circa 4,1 milioni di musulmani (il 6 per cento del totale), ma che tra i giovani fra 19 e 29 anni è identico il numero di quelli che si dichiarano cattolici e quelli che si dichiarano musulmani. Tra i giovani musulmani prevalgono poi in maniera molto preoccupante le opinioni estremiste, fondamentaliste e salafite e sono già 10.500 i musulmani, prevalentemente giovani, schedati come “elementi pericolosi” e cioè terroristi attuali o potenziali. La Francia è in un processo di progressiva islamizzazione parallelo alla sua decristianizzazione. I cattolici praticanti in Francia sono solo il 5 per cento.

Ogni due settimane in Francia nasce una moschea e scompare una chiesa, ha detto solo pochi giorni fa Edouard de Lamaze, presidente dell’Observatoire du patrimoine religieux di Parigi. Il numero di moschee e sale di preghiera musulmane è raddoppiato negli ultimi venti anni ed esse oggi sono circa 2500.

Il consigliere del presidente Macron sull’Islam, Hakim El Karoui ha scritto nel suo libro L’Islam, une religion française, che l’Islam è già la prima religione praticata in Francia: “Ci sono più musulmani praticanti, tra 2,5 e tre milioni, che cattolici praticanti, 1,65 milioni”. La Francia ha poi avuto in sei anni ben 265 morti per mano di jihadisti e 17 attacchi contro le forze dell’ordine. L’ultima vittima è stata proprio una poliziotta, Stephanie Monfermé, sgozzata il 29 aprile, senza ragioni particolari, da un fanatico musulmano a Rambouillet. Nel 2005 la Francia sperimentò un assaggio di guerra civile con la rivolta delle banlieue in cui si univano in una miscela esplosiva istanze sociali e motivazioni identitarie etnico-religiose. Nel territorio francese vi sono circa 150-200 “aree sensibili” a maggioranza di immigrati nordafricani controllate da gruppi islamisti salafiti spesso armati che in quelle zone “no go” dettano legge anche perché sono state abbandonate dalle autorità al loro dominio.

Nonostante tutto questo sono attivi in Francia alcuni gruppi di intellettuali e di giovani francesi che si dicono “anti-razzisti”, ma esprimono un’ideologia, detta “razzialista”, cioé anti-bianca, antifrancese e ovviamente anti-occidentale. Essi affermano chiassosamente di battersi “contro l’islamofobia” e per la “decolonizzazione” culturale, cioè del linguaggio, del pensiero e degli scritti, ma fanno da scudo e supporto ai gruppi islamici estremisti. Questi gruppi sono molto aggressivi e si sono specializzati all’unisono con i gruppi salafiti, nell’accusare di islamofobia gli intellettuali e i giornalisti che esprimono opinioni critiche verso i fondamentalisti islamici anti-laici e intolleranti concentrati nelle banlieue che cercano di imporre la loro ideologia salafita agli altri musulmani e ai francesi. Il risultato è che decine di personalità vivono blindate e sotto scorta e che in Francia molti abbiano paura di esprimere liberamente le proprie opinioni su questioni riguardanti la religione musulmana.

Nel frattempo il Consiglio di Stato ha deliberato qualche giorno fa che la canzone “Jésus est pedé” (Gesù è gay) trasmessa da France Inter “nonostante la sua natura oltraggiosa” non eccede “i limiti della libertà di espressione”, essendo anzi intesa “a criticare gli atteggiamenti discriminatori”. Alcuni mesi fa, 80 intellettuali hanno pubblicato su vari giornali un documento dal titolo Decolonialismo, una strategia egemonica. Tre settimane fa, 80 psicanalisti hanno lanciato l’allarme contro il pericolo dell’ideologia decoloniale, pubblicato sul giornale Le Monde: secondo loro, la piovra decoloniale starebbe sostituendo quella islamista, che a sua volta ha sostituito la piovra comunista.

Diversi commentatori hanno ricordato che il generale Charles de Gaulle spiegò ad Alain Peyrefitte il suo sostegno all’indipendenza dell’Algeria dicendogli: “Altrimenti il mio villaggio non si chiamerà più Colombey le due chiese, ma ‘Colombey le due moschee. Il caso francese mostra che basta una proporzione di circa il 6 per cento della popolazione per fare registrare un’intensa aggressività dei gruppi fondamentalisti islamici e per diffondere una percezione di una molto problematica invasione e una parallela islamizzazione della società, tanto da indurre gli ambienti militari a prevedere una guerra civile e a paventare che un giorno non lontano saranno chiamati, loro malgrado, a ristabilire l’ordine pubblico in Francia. Sarebbe una situazione che di necessità avrebbe delle ripercussioni anche in Italia. È una lezione su cui anche la classe dirigente italiana – se ce n’è una e se tale si possa chiamare – è chiamata a riflettere.

Aggiornato il 14 maggio 2021 alle ore 09:21