Guerra in Medio Oriente: la disinformazione a sinistra

Ogni “guerra” è anche guerra di parole, di propaganda e di disinformazione. Non fa eccezione in questi giorni tra Israele e Hamas. Quello che sorprende è la sfacciataggine con cui vi partecipano alcuni giornalisti e gruppi politici italiani di sinistra. È un’ulteriore conferma che oggi l’antiebraismo alligna solo a sinistra dove si presenta con la maschera di anti-israelismo e di “anti-sionismo”.

Gli sfratti

La prima informazione falsa è sulla causa del nuovo conflitto. Molti giornali e tv hanno scritto o detto che la riacutizzazione del conflitto sarebbe stata originata dalla decisione “degli israeliani” di sfrattare alcune (quattro, ma le cause pendenti sono qualche decina, ndr) famiglie di palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme. Non è stato però il governo israeliano a decidere gli sfratti, ma la magistratura, per la precisione la Corte Suprema dello Stato di Israele. Quest’ultima il 6 maggio scorso si era pronunciata in favore degli sfratti, perché le famiglie palestinesi si erano impossessate di quelle case dopo la fuga dei proprietari ebrei nel corso della guerra del 1948 e si rifiutavano di pagare l’affitto. La questione è giuridicamente complessa. Gli sfratti, comunque, non sono stati eseguiti, ma erano rinviati al primo agosto e la Corte Suprema aveva fissato un’altra udienza per il 10 maggio, poi rinviata di alcune settimane. Si trattava dunque di una controversia giuridica tra privati su cui il Governo israeliano non aveva messo bocca né poteva, dato che Israele è uno Stato di diritto anche se sono evidenti le implicazioni storiche, politiche ed emotive, oltre che economiche per gli sfrattati.

Ma tanto è bastato però perché il 7 maggio alcune centinaia di palestinesi (forse legati ad Hamas) imbastissero delle proteste virulente e bruciassero alcune vetture. Sono seguiti scontri con la polizia che avrebbero provocato il ferimento (dovuto a pallottole di gomma) di 163 palestinesi (secondo l’agenzia Mezzaluna Rossa) e di 6 poliziotti israeliani. Era l’ultimo venerdì del Ramadan e gli scontri sono avvenuti nella spianata di fronte alla moschea di al-Aqsa, particolarmente sacra sia per i musulmani, sia per gli ebrei dato che si trova proprio sul muro del pianto e sulle rovine sepolte dell’antico tempio di Salomone. Anche la decisione del Governo israeliano di chiudere uno dei più importanti varchi daccesso alla spianata “per evitare assembramenti per via dell’epidemia di Covid” ha esacerbato ulteriormente gli animi dei palestinesi. I conflitti intorno alla questione degli insediamenti in Israele datano da decenni. È almeno dal 1972 che le organizzazioni di coloni israeliani cercano di insediarsi in terre e case.

Da quando nel 2000 è stata approvata la legge sulla proprietà, le controversie si svolgono nei tribunali. Nel 2002 solo 43 famiglie erano state sfrattate dal quartiere di Sheikh Jarrah. Nulla lasciava dunque prevedere che la questione degli sfratti avrebbe provocato addirittura una guerra. Essa deve essere considerata solo un antefatto e non la vera motivazione che ha scatenato il lancio, dal territorio di Gaza, da parte di Hamas, di migliaia di missili e razzi contro il territorio di Israele avvenuto a partire da lunedì11 maggio. Invece, molti commentatori hanno fatto risalire questi missili agli sfratti, come ha fatto Hamas e come ha fatto, tra gli altri, il conduttore della trasmissione Atlantide mercoledì 19 maggio, Andrea Purgatori. Una tesi peregrina e improbabile è stata diffusa a molti commentatori da Purgatori: che il conflitto sia stato provocato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu per prolungare di qualche settimana o mese il suo mandato, in crisi sia per ragioni politiche, sia per ragioni giudiziarie (essendo egli sotto accusa di corruzione). Ma questa tesi viene contraddetta dai fatti, a meno di pensare che Hamas abbia voluto “fare un favore” a Netanyahu. Ipotesi assolutamente fantapolitica, eppure diffusissima. Purgatori comunque è stato contraddetto con competenza nel corso della stessa citata trasmissione dal direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, che ha tenuto a sottolineare la sconnessione e la sproporzione tra sfratti e missili.

Le vere domande

La prima vera domanda che occorrerebbe farsi è quali siano state le vere ragioni per cui Hamas abbia lanciato più di 3500 missili contro Israele, pur nella certezza che la rappresaglia non sarebbe mancata e sarebbe oltretutto stata durissima. Perché poi Hamas ha posto delle “condizioni” per un cessate il fuoco? Invece di porsi queste essenziali domande, molti commentatori insistono sulla violenza degli attacchi israeliani e minimizzano le sofferenze delle popolazioni israeliane. Non sono esseri umani anche loro? Molinari, un vero esperto di Medio Oriente, ha avanzato l’ipotesi più plausibile. E cioè che il vero obbiettivo di Hamas fosse quello di lanciare un chiaro segnale che è Hamas – e non l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) – l’organizzazione egemone che “guida il gioco” e “dà le carte” a Gaza e in Cisgiordania, anche se qui Hamas non ha ottenuto l’appoggio e la partecipazione che si aspettava (e che non c’è stata a parte qualche sparuta reazione).

Israele demonizzato

Nella stessa trasmissione di Purgatori, a differenza degli altri intervenuti, la giornalista di origini palestinesi, Rula Jebreal ha avuto uno spazio e un tempo di oltre 20 minuti per una appassionatissima invettiva contro Israele. “I palestinesi-israeliani sono ostaggi di una politica fatta solo di bombe, segregazione e violazione dei diritti umani. Oggi 3 bambine palestinesi sono rimaste uccise!” ha gridato con voce stentorea, accusando persino Israele di “odio etnico-religioso”. Purgatori taceva e annuiva. Senza chiedere: quali bombe? Solo quelle israeliane? Non quelle di Hamas? Chi viene segregato in Israele? E poi c’è davvero “odio etnico-religioso” in Israele? E dove, quando? Non in Hamas? Jebreal non ha biasimato né nominato per nulla Hamas, ma ha invitato l’Europa e tutti coloro “che stanno dalla parte della democrazia e dei diritti umani a parlare adesso”. Ovviamente – è inteso – per fermare la rappresaglia di Israele e in sostanza a favore di Hamas.

I bambini

Purgatori per almeno due volte ha ricordato la presunta uccisione di “oltre 60 bambini palestinesi”, ad opera degli israeliani. Se è vero, e fosse pure uno solo, piango con i loro genitori. Ma Purgatori non ha mai precisato che quel numero è solo la versione di Hamas e da prendere quindi con le doverose pinze, come avrebbe fatto qualunque giornalista. Macché! Anzi, il conduttore definiva senza esitazione “un crimine” il bombardamento dell’edificio di Gaza dove erano alloggiate le redazioni di alcuni media come la Ap e Al Jazeera. Un bombardamento avvenuto con un preavviso israeliano di ben un’ora per non creare vittime.

Sulla rivista Il Mulino è apparso un articolo a firma di Marina Calculli, fortemente anti-israeliano che stigmatizza in particolare la morte di bambini palestinesi durante gli scontri dei giorni scorsi. Forse, però, a Calculli andrebbe ricordato quanti bambini ebrei siano stati massacrati dai sugli autobus, alle fermate dei pullman e in altre circostanze in nel corso dei decenni. Anche almeno un bambino israeliano è rimasto ucciso nei giorni scorsi. I bambini israeliani contano meno di quelli palestinesi?

Anche la stampa cattolica ha seguito la corrente. Su l’Osservatore Romano negli ultimi tre giorni di seguito sono state pubblicate foto di bambini e di anziani palestinesi presentati come vittime degli israeliani. Su l’Avvenire, l’esperto di Medio Oriente, il commentatore e docente all’Università cattolica, il libanese e cristiano maronita Camille Eid, è al centro di una polemica perché sui social si è augurato che Tel Aviv venga bombardata per i prossimi sei mesi, e ha pubblicato vignette che equiparano Israele al nazismo.

Molto spazio hanno avuto sulla stampa italiana i politici avversi ad Israele. Laura Boldrini ha tuonato: “La Comunità internazionale imponga al governo di Netanyahu di fermarsi”. Le Sardine sui loro social invitano alle manifestazioni contro “l’apartheid” praticato da Israele, esattamente la parola d’ordine dei fondamentalisti di Hamas. Michela Murgia ha pontificato: “Il problema è un Paese guidato da una destra ultranazionalista, suprematista e razzista”. Il direttore Alessandro Sallusti ha notato che questi ed altri personaggi e gruppi che sostengono di fatto sia Hamas sia il Ddl Zan contro l’omotransfobia forse non conoscono il trattamento riservato a Gaza da Hamas agli omosessuali ed ai transessuali. Forse ignorano che perfino uno dei capi militari più in vista dell’organizzazione, Mahmoud Ishtiwi, nel 2016 fu giustiziato dopo sevizie inenarrabili a causa della sua “turpitudine morale”. Risposta “sproporzionata”?

I morti di Gaza sono una tragedia. Tanto più quella di bambini. Quanti siano in realtà forse non lo sapremo mai. Ma non si può tacere – come fanno molti – che essi sono da attribuirsi in toto all’organizzazione terroristica Hamas che vieta ai civili, adulti e bambini, di mettersi al riparo nei rifugi (riservati ai membri di Hamas) e posizionando il proprio arsenale militare, missili compresi, davanti a scuole, ospedali, case private, persino moschee. Solo pochissimi commentatori sottolineano il fatto che quello israeliano sia l’unico esercito al mondo che avvisi i civili palestinesi un’ora prima dei bombardamenti con volantinaggi dagli aerei e con altoparlanti in arabo. Ascoltando la tv, leggendo i giornali e i social l’espressione più diffusa è “risposta israeliana sproporzionata”. Secondo questi commentatori Israele dovrebbe usare le stesse armi e gli stessi metodi e obbiettivi di Hamas per essere al loro livello? Ma vogliamo chiederci: se Israele lanciasse centinaia di missili al giorno contro Gaza senza preavviso e con la stessa logica del “ndo cojo, cojo” quante vittime civili ci sarebbero? Senza dire poi che le risposte di Israele non sono mai – e potrebbero esserlo – sproporzionate. L’obbiettivo di Israele è infatti “la rappresaglia a fini di deterrenza, di dissuasione” – come sostiene lo stesso Molinari –non di vittoria totale, come potrebbe (iper-realisticamente e malauguratamente!) essere.

Due Stati?

Molti commentatori continuano poi a ripetere la formula dei “due Stati” come “unica soluzione” del conflitto israelo-palestinese. Ma finora si è trattato solo di una formula vuota, che in molti hanno cercato nel tempo di concretizzare, ma senza alcun risultato. Il nodo, insormontabile, non è solo quello di Gerusalemme la cui valenza simbolica come “Città santa” per ebrei, cristiani e musulmani, rivendicata sia dagli israeliani sia dai palestinesi come capitale incedibile e soprattutto indivisibile rende impossibile un accordo. Tanto più da quando il nazionalismo religioso di Hamas ha soppiantato quello laico dell’Olp. Per la teologia musulmana, infatti, una terra una volta che sia stata islamica una volta lo è per sempre, per l’eternità. È inutile quindi che si continui a sperare nel dialogo tra le parti, nella diplomazia e nel negoziato di pace, come molti commentatori continuano a fare. “In Medio Oriente non esiste la prospettiva della pace, ma solo quella della tregua che interrompe, ma non mette mai fine allo stato di guerra permanente. Il conflitto mediorientale non ha soluzioni” ha puntualizzato Lucio Caracciolo nella ormai citatissima trasmissione del buon Purgatori.

Cosa vuole Hamas?

Basta leggere lo statuto di Hamas, che è ormai egemone in Palestina, dato il declino dell’Olp e quello anche fisico del suo 85enne leader, Abu Mazen. All’articolo 8 lo Statuto, cita Hasan al-Banna, il fondatore del movimento dei “Fratelli musulmani”: “Israele sorgerà, e rimarrà in esistenza, finché l’Islam non lo annienterà, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui”. Uno dei passi più tristemente noti nello Statuto è l’adith e dice: “O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo”. Ciò significa chiaramente la distruzione dello Stato di Israele e l’assassinio degli ebrei ovunque si trovino. All’articolo 13 si legge: “Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad. Quanto a iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini”. Tra Islam, Cristianesimo ed Ebraismo “pace e sicurezza sono possibili solo all'ombra dell’Islam”. In breve, conclude lo Statuto, “il jihad è l’unica via alla liberazione (della Palestina).

La sinistra e Israele

Nonostante tutto questo, passa tra i politici di sinistra la linea di una presunta e insostenibile equivalenza etico politica tra Israele e Hamas che nasconde una propensione di fatto per Hamas ed un’avversione per un reale diritto di Israele all’autodifesa. Enrico Letta l’11 maggio scorso ha partecipato a Roma alla manifestazione di solidarietà a Israele insieme a Matteo Salvini, Antonio Tajani, Maria Elena Boschi, Giovanni Toti e Virginia Raggi. Molti sono rimasti sorpresi della presenza di Letta a favore di Israele. Ma già due giorni dopo Letta ha sostanzialmente corretto il tiro: “Gli attacchi di Hamas vanno stigmatizzati, ma chiediamo oggi ad Israele di fermarsi, di non andare oltre la legittima difesa”. Dopo poche ore ha twittato: “Apro la direzione del Partito Democratico con la richiesta che l’Italia e l’Europa intervengano per fermare l’offensiva israeliana”.

L’odio per l’Occidente

In conclusione, si pone una domanda: perché i commentatori e i politici di sinistra – e persino i prelati cattolici – mostrano una malcelata e istintiva ostilità per lo Stato di Israele, fino al punto di propendere e fare il gioco di un’organizzazione terrorista (tale la considera la stessa Unione Europea) e jihadista come Hamas fino al rischio di apparire surrettiziamente antiebraici se non antisemiti? L’unica possibile spiegazione è che spesso, inconsapevolmente, percepiscono Israele come una parte – e per di più la meno remissiva – dell’Occidente. L’odio per l’Occidente e la sua anima cristiana e liberale è la carta di identità della sinistra post-comunista e in parte anche di un certo terzomondismo cattolico oggi in auge con Papa Bergoglio al soglio pontificio. L’avversione spesso inconsapevole ed istintiva per Israele è spiegabile, soprattutto, con l’avversione per la civiltà occidentale, che è anche un odio di sé dell’Occidente.

Aggiornato il 21 maggio 2021 alle ore 12:15