Chi non vuole le armi non vuole la libertà

Vorrei riprendere la questione della libertà di difendersi e di possedere armi che ho già avuto modo di trattare in un editoriale di lunedì scorso, aggiungendo ulteriori riflessioni a quelle precedenti. Sento di doverlo fare, non fosse altro che l’offensiva sinistroide sull’argomento non si placa, unitamente alle proteste delle comunità immigrate che, dopo i fatti di Voghera, si sentono minacciate dalla sempre maggior diffusione di armi da fuoco tra gli italiani. Quando all’orizzonte si addensano le nubi della tirannide è un preciso dovere morale di tutti gli uomini e le donne liberi reagire per difendere e presidiare la loro libertà minacciata.

Ora, di argomentazioni sgangherate se ne sono udite tante in questi giorni. Tuttavia, quella che maggiormente mi ha impressionato è quella relativa al fatto che la diffusione di armi renderebbe le nostre città ancora più pericolose di quanto già non siano, quando è vero l’esatto contrario. In un contesto in cui la maggior parte dei cittadini possiede un’arma ed è libero di usarla per proteggere se stesso, i livelli di sicurezza aumentano notevolmente: questo perché, se tutti sono armati e capaci di difendersi, i criminali e i delinquenti ci pensano bene prima di infastidire le brave persone, consapevoli come sono che potrebbe finire male per loro. Al contrario, la delinquenza prospera e ha gioco facile laddove gli onesti non vengono lasciati liberi di reagire in maniera appropriata.

A dimostrazione del fatto che a una maggiore diffusione di armi corrisponde un più elevato livello di sicurezza, si potrebbero citare i dati delle nazioni più armate d’EuropaSvizzera, Finlandia, Islanda e Norvegia – nelle quali il tasso di criminalità e l’incidenza di reati sono tra i più bassi d’Europa in rapporto alla popolazione. Un motivo ci sarà.

Ma l’idea di una cittadinanza che si difende da sola, ovviamente, non piace allo Stato: men che meno se lo Stato in questione è un Leviatano socialista come quello italiano. Lo Stato moderno rivendica il monopolio legittimo della forza: il principio sul quale basa la sua stessa esistenza. Secondo questa visione, il potere pubblico è l’unico a potersi occupare di sicurezza e lotta alla criminalità.

Ora, che lo Stato sia un’organizzazione naturalmente monopolista, cioè poco propensa a competere con altre agenzie, è cosa nota e fin troppo ovvia. Ma se le riforme ispirate ai principi del liberalismo sono state capaci di abbattere molti vecchi monopoli – anche se non tutti – non si capisce perché non si dovrebbe far cadere, almeno in parte, anche quello sulla sicurezza.

Non c’è ragione per cui lo Stato non dovrebbe accettare la concorrenza o la collaborazione in via “residuale” delle agenzie private o dei cittadini armati anche da questo punto di vista: una sorta di “laissez-faire” sicuritario, insomma, in maniera simile a quanto già avviene in ambito giudiziario con l’istituto della mediazione o con le agenzie di arbitrato, cui ci si rivolge al posto dei tribunali per la soluzione delle controversie. Questo, ovviamente, implica che assieme alla liberalizzazione della produzione di sicurezza, vi sia anche quella relativa al possesso di armi, oltre che una vera legge sulla legittima difesa – altra roba rispetto a quello che c’è in Italia – che escluda ogni coinvolgimento giudiziario per chi ha sparato per respingere un ingiusto aggressore o perché messo nelle condizioni di temere seriamente per la sua vita, per la sua integrità fisica o per quella delle persone a lui care.

Certo, per qualunque Stato è arduo riconoscere ai suoi cittadini il diritto di portare armi e di usarle per difendersi, perché nessun governo è immune dalla tentazione del potere assoluto, e avere cittadini capaci di rovesciare i despoti e di destituire i tiranni è un limite ancor più invalicabile di qualunque dettato costituzionale: una Costituzione può essere sospesa e violata da un governo sufficientemente spregiudicato e assetato di potere, ma nessuno può fermare un popolo in armi e intenzionato a difendere la sua libertà.

Il timore per le armi e per la difesa personale non sussiste nel caso in cui lo Stato sia nato da una rivoluzione o da un’insurrezione e che quella cultura rivoluzionaria non sia stata conservata nelle istituzioni giuridiche: esattamente com’è avvenuto negli Stati Uniti. Ma anche l’Italia è un Paese nato sulle armi. Siamo figli del Risorgimento e della Resistenza tanto cara alle sinistre: entrambi insurrezioni armate contro il potere dispotico e l’occupazione straniera. Come avremmo combattuto per fare dell’Italia la nazione libera e democratica che è ora, se non avessimo avuto pistole e fucili? Come avremmo respinto gli invasori senza sparare? Come avremmo combattuto contro i nazifascisti? Siamo liberi grazie alle armi, con buona pace delle sinistre. Prima che le nostre libertà trovassero tutela costituzionale, abbiamo dovuto sparare per affermarle e per farle valere. Per questo motivo, i “trinariciuti”, le mammolette piddine, le anime belle che parlano sprezzantemente dei “pistoleri leghisti” e che vorrebbero privarci del diritto di difenderci e di portare armi, tradiscono i valori della Resistenza cui sono tanto devoti (a parole).

Ecco la differenza tra noi e gli amici americani: per questi ultimi, la ribellione contro il giogo dell’Inghilterra è ancora oggi il cuore pulsante della loro cultura politica e civile. Per noi la Resistenza è diventata una parola vuota; una bandierina ideologica da sventolare contro questo o quell’altro leader di destra, anche se un certo spirito fascista sembra essere proprio anche della “regressive left” nemica del libero pensiero (oltre che della libera economia); un’idealità astratta da usare per dividere e non per unire; un fatto storico di cui la sinistra si è ingiustamente appropriata – quando avrebbe dovuto essere patrimonio comune di tutti gli italiani – dimenticando colpevolmente che alla Liberazione di questo Paese contribuirono anche liberali, monarchici e cattolici: i cosiddetti “partigiani bianchi”, vergognosamente rimossi dalla memoria collettiva e dai libri di storia.

Dunque, conserviamo gelosamente il nostro diritto di difenderci e di essere armati, perché anche da questo dipende la nostra libertà. Chi non può difendersi non è padrone della sua esistenza, e chi non è padrone della sua esistenza non è un individuo libero. Non sorprende che le sinistre vogliano meno armi in giro: loro la tirannia ce l’hanno nel sangue, come tutti i socialisti. Come non sorprende che le comunità immigrate prendano parte a questa lotta per il “disarmo” dei cittadini italiani: non si tratta di pacifismo o di spirito non violento, ma di una tappa necessaria verso l’islamizzazione.

Aggiornato il 02 agosto 2021 alle ore 10:19