Primati italiani e privilegi della sinistra: il perché di una sconfitta e i presupposti di una vittoria

L’ennesima sconfitta elettorale dovrebbe indurre i leaders del centrodestra a riflettere sulle dinamiche “strutturali” della politica italiana; e meglio farebbero a scegliere un convento di frati trappisti, lontano dal trambusto cittadino. Nel silenzio montano potrebbero rendersi conto che una lunga serie di sconfitte, pur in presenza di pesantissimi bilanci amministrativi di “controparte”, non può trovare spiegazioni “congiunturali” e occasionali, anche se le concause momentanee hanno sempre la loro parte. Nel nostro piccolo, potremmo offrire alcuni spunti di meditazione, tutti riconducibili a un’idea di fondo: nel mondo occidentale l’Italia vanta il primato assoluto di social-comunismo e non da oggi, sicché la strada per la nostra libertà è lunga e impervia. Bisogna essere pienamente consapevoli di quanto profonde siano le ferite inferte alla nostra vacillante democrazia dai “tristi primati” italiani, per dare inizio a un nuovo “risorgimento”.

Se l’Italia vanta il primato della più alta tassazione, ciò significa che i cittadini italiani godono della minore libertà (nel mondo occidentale) di scegliere i propri fini e assecondare le proprie inclinazioni. Quanto più lo Stato si appropria del frutto del lavoro dei cittadini, tanto più sottrae loro i mezzi necessari per realizzare i propri fini e dunque comprime la libertà di ciascuno. Eppure, non ho mai sentito un leader di centrodestra affrontare la questione in questi termini.

Abbiamo un altro invidiabile primato: un numero esorbitante di “salvatori della Patria”, imposti dall’alto agli ignari cittadini. Mi riferisco alla lunga serie di governi non investiti da alcun consenso elettorale. Nella Repubblica, fondata sul “lavoro” (dei percettori del reddito di cittadinanza), nella quale la sovranità appartiene al popolo, la lunga serie di eccezioni alla sovranità popolare dovrebbe destare notevole allarme. Se tutto questo appare “normale”, è lecito dubitare dell’autentico carattere liberale e democratico del mainstream?

Senza dubbio vantiamo anche il primato, nel mondo occidentale, di processi penali ad alto tasso di politicizzazione.  Ciò è tanto vero che le banche adottano procedure specifiche, controlli più accurati e vincoli più restrittivi per le persone “politicamente esposte”. Il che ovviamente è conseguenza del maggiore rischio penale di costoro. Ovviamente le banche, nella loro neutralità istituzionale, non differenziano i “politicamente esposti” di sinistra da quelli di destra, ma sappiamo tutti molto bene che gli “esposti” di destra risultano graditi ai Tribunali della Patria, molto più che gli “esposti” di sinistra.  Magari, alla fine dell’ospitalità concessa dal Tribunale, il povero Cristo “politicamente esposto” di destra verrà assolto, ma nel frattempo si sarà celebrato l’ennesimo “processo del secolo” (ma quanto dura questo secolo?), a beneficio dell’opinione pubblica.

Il carattere “strutturale” di tale triste primato mondiale viene sapientemente occultato dalla stampa di regime, riducendo tutto a un incidente di percorso. Il termine suggestivo “sistema Palamara”, entrato nel lessico comune, sta a significare che l’occasionale anomalia è destinata a morire con Palamara; e ovviamente l’opinione pubblica si acquieta, perché il buon Palamara è ormai fuori gioco. In verità non di “sistema Palamara” si tratta, bensì di “sistema Italia”, insediato da lunga pezza (basta pensare alle vicende del presidente Giovanni Leone, ingiustamente accusato nell’affare Lockheed e costretto alle dimissioni) e destinato a durare all’infinito, se non si interviene sul privilegio tutto italiano del pubblico ministero assimilato al giudice; sul morbo tutto italiano della carcerazione preventiva, chiamata benevolmente “custodia cautelare”, quasi a significarne gli effetti benefici per il “custodito”; sulla composizione del Consiglio superiore della magistratura, che dovrebbe garantire, per disposizione costituzionale, l’autonomia, non necessariamente l’autogestione del corpo istituzionale della magistratura.

E che dire dell’altro grande primato, in fatto di violazioni arbitrarie del diritto di proprietà? Solo le espropriazioni bolsceviche sopravanzano, per numero e dimensione, quelle realizzate in Italia. Nel nostro amato Paese, può accadere che la più grande industria italiana (Ilva) venga sottratta ai legittimi proprietari, i quali non hanno commesso alcun reato. E accade pure che sia paralizzata l’attività di una delle più grandi aziende italiane (Eni), in assenza di reati. Anche questa è una sorta di espropriazione, giacché l’amministratore è nient’altro che la longa manus del proprietario e la “sospensione” dei diritti dell’uno restringe i diritti dell’altro; ovviamente senza alcun indennizzo. E abbiamo forse dimenticato che il povero Rizzoli non si sa come e perché, non avendo commesso alcun reato, fu “derubato”, ovviamente con tutti i crismi della legalità, dei suoi beni aziendali? E non parliamo poi delle confische preventive, nominalmente antimafia, ma di fatto dirette ai danni di persone colpevoli di nulla. Anche qui, il giornalismo di regime riduce tutto al “sistema Saguto”; dovrebbe parlare invece di “sistema Italia”, giacché solo in questo lembo di Occidente, sempre più orientato a Oriente, accade che sia confiscata la proprietà di chi non ha commesso alcun reato.  E perché? Per “prevenire”.

Se riflettessimo, magari nel silenzio claustrale dei frati trappisti, su questi grandi primati (se non esclusività) d’Italia, non ci stupiremmo dei numerosissimi “primatini” consequenziali. Siamo stati i numeri uno per intensità e durata del lockdown, peraltro con risultati inferiori agli altri Paesi; siamo i primatisti mondiali di banchi a rotelle inutilizzati; oggi siamo gli unici (o comunque in ristrettissima compagnia) a imporre il cosiddetto Green pass perfino per lavorare. Ci può consolare solo il fatto che il più bel progetto di hub vaccinale sia italiano; il primato della migliore primula del mondo non ce lo toglie nessuno; e peccato che sia poi venuto un militare che non apprezza il bello.  Insomma, siamo sempre i primi e più entusiasti a restringere la libertà dei cittadini, i primi a fare delle eccezioni la regola e gli ultimi ad assecondare la libera dinamica dei rapporti sociali ed economici.

Lontani dallo stordimento quotidiano dei microfoni aperti, nel silenzio claustrale dei frati trappisti, i nostri leaders di centrodestra farebbero meno caso agli ingannevoli numeri dei sondaggi e potrebbero finalmente rendersi conto che tutte le “particolarità” menzionate (e le altre innumerevoli, correlate) hanno un nome e un cognome patronimici: quello che Alberto Ronchey chiamava “fattore K”. La cultura politica social-comunista, necessariamente vocata alla “tutela” di Stato, ha determinato la crescita smisurata dell’apparato burocratico di Stato, con immensi costi economici e correlativi restringimenti della nostra libertà. La consapevolezza, acquisita dopo lunghe passeggiate nel chiostro, di quanto sia radicata, e direi perfino dominante, la cultura statalista del socialcomunismo, potrebbe suggerire ai nostri leaders i punti essenziali della svolta liberale da imprimere ai programmi politici. Direi che tutto si può riassumere in una formula: ritorno alle origini e strategia d’attacco.

I programmi della nostra identità liberale e conservatrice (difesa della proprietà, valorizzazione della libera iniziativa economica, riduzione della tassazione, difesa dei valori della famiglia e delle radici cristiane dell’Occidente) dovrebbero essere declinati con proposte chiare, condivise da tutti i partiti del centrodestra, in modo che gli avversari politici siano costretti a dare le loro risposte, in posizione difensiva. Provo a fare qualche esempio, partendo dall’assunto che, direttamente e indirettamente, tutte le situazioni di privilegio fanno capo alla sinistra. Si dovrebbe proporre l’abolizione di tutti i privilegi delle cooperative rosse e dei sindacati. Dovrebbero essere le sinistre a spiegare al popolo italiano perché mai le cooperative (Conad e similari) debbano usufruire di vantaggi fiscali (derivanti dalla maggiore deducibilità delle spese) negati agli altri operatori economici; e perché mai i sindacati non debbano sottoporsi ad alcun controllo e perché mai i cittadini italiani debbano finanziare i patronati di Cgil, Cisl e Uil. Parimenti si dovrebbe proporre l’eliminazione di tutte le differenze tra la res publica e la res privata in ogni campo delle relazioni; nel contenzioso tributario; davanti al famigerato Tar; nei rapporti di debito/credito della Pubblica amministrazione. La strategia d’attacco, diretta a eliminare rendite e privilegi, a mio avviso, sarebbe la più efficace e la più convincente per la maggioranza degli italiani.

Aggiornato il 19 ottobre 2021 alle ore 17:14