Ballottaggi: una giornata particolare

Il centrodestra ha perso ai ballottaggi. Tutte le grandi città, con l’eccezione di Trieste, vanno al centrosinistra. Quali indicazioni i risultati offrono agli sconfitti? Molte e significative. In primo luogo, la disfatta del centrodestra non consegna totalmente la vittoria al centrosinistra, giacché il vincitore assoluto di questa tornata elettorale è stato il partito dell’astensione. Al riguardo, tutta la politica dovrebbe riflettere sul preoccupante fenomeno. Dei 12.147.040 chiamati alle urne, ha votato il 54,64 per cento al primo turno e il 43,93 per cento al secondo. Se ne ricava che i sindaci siano stati scelti da meno di un elettore su due. Nelle grandi città, l’affluenza alle urne è stata superiore nei centri urbani, abitati dalle fasce medio-alte della popolazione, mentre è stata inferiore nelle periferie dove vivono operai, lavoratori autonomi, micro-imprenditori, pubblici dipendenti, oltre alle fasce di popolazione meno abbienti e a forte disagio economico e sociale.

In termini di resa elettorale, non v’è dubbio che il centrodestra sia stato penalizzato dall’assenza del voto delle periferie. Tuttavia, il dato odierno non compromette l’appeal della destra sulla maggioranza degli italiani. Il primo ad averlo compreso è stato il segretario piddino, Enrico Letta, il quale, nel discorso autocelebrativo per il successo elettorale, ha tenuto a ribadire l’intenzione (astuta) di non volere un ritorno anticipato alle urne delle politiche. Segno che “l’onda lunga” di cui si parla evidentemente non sia tale da consentirgli di preconizzare una vittoria certa del centrosinistra nella sfida per il Governo del Paese. Enrico Letta non ha torto a preoccuparsi. A questa tornata è stato interessato meno dell’11 per cento del corpo elettorale. Si è votato nelle grandi città dove, storicamente, il centrosinistra raccoglie maggiori consensi, a differenza della destra che prevale nel voto della provincia italiana. Quindi, non c’è alcun elemento fattuale che consenta di attestare lo slittamento del Paese a sinistra. Semmai, l’esito del voto deve essere interpretato come una dura lezione al centrodestra, al quale adesso serve di comprendere perché l’elettorato gli abbia voltato le spalle disertando le urne. E non sarà semplice, visto che gli opinionisti d’area hanno già cominciato a manipolare la realtà neanche fosse plastilina, per adattarla ai propri punti di vista. In particolare, ve n’è una quota che collega la sconfitta all’assenza di una svolta moderata del centrodestra. Se così fosse, come si spiegherebbero i casi dei candidati dichiaratamente moderati – come a Torino – che le hanno buscate ugualmente dagli avversari del centrosinistra?

Le prime analisi sui flussi indicano che le urne sono state snobbate dal popolo degli arrabbiati, in special modo da coloro che in passato si erano rivolti ai Cinque Stelle e dai quali si sono sentiti traditi non perché questi abbiano inasprito la lotta al sistema ma, al contrario, perché ne sono stati squallidamente risucchiati. Anche la Lega ha subìto un’emorragia di consensi. Ma quali? Quelli che Matteo Salvini era riuscito a intercettare praticando una politica, nazionale ed europea, di contrasto intransigente alle logiche e agli interessi dell’’establishment. Adesso che la Lega è diventata una gamba del Governo Draghi, è un fatto che non peschi più fra i colpiti dalla crisi pandemica e i penalizzati dalla globalizzazione. C’è poco da fare: se esiste un luogo in cui non si possono avere insieme la moglie ubriaca e il barile pieno, quello è la politica. Vale per Salvini, ma la questione si estende all’intero centrodestra.

Le tre forze coalizzate devono decidere da che parte stare, se impugnare la bandiera della difesa dei deboli e dei dimenticati, a qualsiasi latitudine geografica e sociale essi si collochino, oppure se vuole rappresentare gli interessi dei ceti garantiti. In tal caso, deve mettersi in fila perché c’è già il Partito Democratico, con le formazioni ancillari dei “renziani” e dei “calendiani”, a cui si è accodato il moncone “contiano” del fu Movimento Cinque Stelle, a proteggere le classi agiate. Al centrodestra, comunque, non basterebbe proclamare di stare dalla parte di chi non ce la fa. È necessario che la coalizione ritrovi una coerenza strategica che è andata smarrita con la decisione delle sue componenti di dividersi sul sostegno al Governo Draghi. L’opinione pubblica, tenendosi lontana dalle urne, ha mostrato di non credere all’efficacia di un progetto politico i cui promotori vanno ciascuno per proprio conto. Il gioco di sponda di Lega e Forza Italia dentro a difendere Draghi, e di Fratelli d’Italia fuori in solitario a sparare a palle incatenate sul Governo, non funziona. Il rischio è che il centrodestra si “francesizzi”. Oltralpe, il muro d’incomunicabilità eretto tra la destra neogollista e quella sovranista-identitaria di matrice lepenista ha consentito alle forze della sinistra moderata e a quelle centriste di tenersi strette le leve del potere. Per evitare una fine ingloriosa, il centrodestra deve darsi un federatore, come per anni è stato Silvio Berlusconi, che sappia tenere insieme una visione condivisa e credibile di futuro del Paese.

Male hanno fatto Matteo Salvini e Giorgia Meloni a farsi concorrenza spicciola nell’odierno frangente, dimostrando entrambi di non essere maturi per ereditare il ruolo che è stato del vecchio leone di Arcore. Ora però diano ascolto al blocco sociale che si propongono di rappresentare. I due leader devono prendere atto che l’elettorato non li ha seguiti sulla battaglia contro il Green pass obbligatorio. Sono stati in tanti coloro che, a destra, non hanno giudicato l’introduzione della certificazione, in particolare nei luoghi di lavoro, un attentato alla libertà individuale. I politici, piaccia o no, non possono ignorare ciò che l’opinione pubblica ritenga sia giusto fare, perché poi s’incappa nella sensazione popolare: la perdita di consenso. Discorso diverso per Forza Italia. Il partito di Berlusconi sbaglia a nascondersi dietro i risultati positivi alle Regionali calabresi e alle Comunali di Trieste: entrambe sono state vittorie colte in contesti che prescindono dall’adesione convinta all’offerta politica forzista. In realtà, il dato medio nazionale segna una quasi scomparsa del partito berlusconiano. I voti alle liste non mentono. A Roma, Forza Italia ha raccolto il 3,59 per cento e nessun consigliere, visto che l’eletto Marco Di Stefano è in quota Udc; a Milano, patria del berlusconismo, è scesa al 7,8 per cento, con 3 consiglieri. Ormai i tempi d’oro della prima volta a sindaco di Gabriele Albertini – era l’aprile del 1997 – quando Forza Italia raccolse 192.814 voti, pari al 29,76 per cento, e 25 consiglieri a Palazzo Marino, sono uno sbiadito ricordo.

Berlusconi non è più quello di un tempo, e la classe dirigente azzurra? Rassegnarsi a fare i cortigiani di “Re Draghi” non paga politicamente. D’altro canto, si può essere un Brighella o un Arlecchino, più furbi o più sciocchi, ma sempre servi si è. Il centrodestra ora più che mai ha bisogno di uomini liberi e di spessore, che sappiano guardare oltre l’orizzonte definito dei personali destini. Silvio Berlusconi, quando nel 1994 scese in campo, puntò a dare voce al “popolo delle partite Iva”, che non era propriamente il milieu dell’industria e della finanza di casa nei “salotti buoni”. Ai piani alti del potere il “Cav” non era gradito perché si rappresentava come l’ultimo “populista” del secolo, nell’immaginario collettivo, in lotta contro i poteri forti. Sono passati quasi trent’anni, ma quel popolo d’inascoltati è ancora lì in cerca di un leader carismatico nel quale riconoscersi e al quale affidare le proprie speranze di futuro. Ma quell’uomo della Provvidenza non può essere più Berlusconi, per ovvie ragioni anagrafiche. Tanto meno potrà essere un “Papa straniero” investito dall’alto, senza un’effettiva partecipazione del popolo di centrodestra alla sua individuazione. Allora che fare? Archiviata la sconfitta, al centrodestra non resta che stare tra la gente e darle voce. E nulla sarà perduto. Neanche la comparsa sulla scena del nuovo capo carismatico.

Aggiornato il 21 ottobre 2021 alle ore 09:30