Il multiculturalismo ha fallito, ma continua a erodere la cultura occidentale

“Questi barbari violenti dovrebbero tornare a casa loro” dicono molti quando un terrorista islamico, di solito nato, cresciuto in Europa, si fa esplodere uccidendo persone a caso, o decapita un prete o un professore, o, alla guida di un camion travolge i passanti, al grido di “Allah è grande”.

“Questa gente non è integrabile perché la loro cultura tribale è barbara ed incompatibile con la nostra” dissero molti quando in aprile scorso si apprese che la giovane Saman Abbas di Novellara, in provincia di Reggio Emilia, era stata uccisa e fatta a pezzi dai familiari solo perché non voleva sposare un cugino scelto dalla e preferiva vivere all’occidentale sposando chi voleva lei. Molti hanno allora colpevolizzano la cultura pakistana ed araba e la religione islamica, anche perché un destino analogo avevano subito in Italia, per le stesse ragioni, altre ragazze di origini pakistane musulmane come Hina Saleem di Sarezzo nel 2006 e Sanaa Dafani nel 2009 a Pordenone e lo stesso destino hanno avuto decine di altre giovani figlie di famiglie musulmane immigrate in altri paesi europei.

Si è trattato di reazioni comprensibili e giustificate, ma che omettono le responsabilità ideologiche dei “multiculturalisti” in quegli episodi. Analoghe reazioni hanno avuto molti quando hanno letto sui giornali che nelle centinaia di “no-go zone” sparse in Europa, dominano con la violenza i musulmani salafiti. Da quelle zone vengono fuori la maggior parte dei terroristi che risultano per lo più giovani benestanti nati e cresciuti in Europa. In quelle zone vigono costumi tribali e la versione più fondamentalista della shari’a islamica, si diffonde la poligamia, le donne sono segregate in casa e sono vittime di violenza (domestica e no) o circolano solo se coperte da capo a piedi. In quelle zone, le ragazzine e persino le bambine vengono sottoposte spesso segretamente a mutilazioni genitali e sono oggetto di costrizioni varie, di matrimoni forzati combinati dalle famiglie. Alcune di loro, magari perché ribelli o disobbedienti, sono talvolta spedite dai genitori nei loro Paesi di origine, di dove non tornano più e non se ne sa più nulla.

Tutto questo provoca giustamente orrore, ma pochi comprendono che sono le prove del fallimento della teoria e del progetto multiculturalista. Ai più non viene nemmeno in mente che quei ghetti, territori europei perduti, quelle zone della sharia (che non esistono più neppure nella gran parte dei Paesi musulmani) sono stati programmaticamente ceduti dalle autorità europee alle culture più tribali, primitive e violente del mondo. Pochi riflettono sul fatto che quei “barbari” sono stati incoraggiati proprio dai multiculturalisti europei, i nostri “barbari interni”, a rifiutare l’integrazione (da essi stigmatizzata come “eurocentrica”) e a conservare invece, in nome dell’“inclusione”, gli antichi usi tribali dei loro antenati, come si trattasse di reliquie preziose intoccabili. Il multiculturalismo è stato, infatti, innanzitutto un tradimento dell’integrazione e della normale evoluzione storica delle culture tradizionali nella modernità, che gli stessi multiculturalisti chiamano “progresso”.

Barbari interni

In sostanza, molti se la prendono solo con il “barbaro” esterno, mentre, a rigore, dovrebbero prendersela anche e soprattutto con il “barbaro interno”: e cioè il multiculturalista. È lui il vero e più pericoloso nemico della convivenza tra persone di diverse etnie e culture e per la stessa democrazia liberale e la società aperta in Europa. È lui che ha teorizzato che gli immigrati dovevano poter vivere in Europa “come a casa loro” e che tutte le etiche e le culture avrebbero un “eguale valore” e avrebbero perciò non solo diritto di cittadinanza in Europa, ma anche un diritto ad un “eguale rispetto” morale e giuridico. La democrazia liberale non sarebbe sufficiente e solo riconoscendo e includendo la sua cultura – anche sul piano giuridico – un immigrato potrebbe – secondo il multiculturalista – sentirsi davvero a casa sua ed essere davvero, cioè, “in maniera sostanziale”, libero e uguale. Le responsabilità dei multiculturalisti sfuggono a molti, anche perché il multiculturalismo è un’ideologia sofisticata, sconosciuta ai più, ma molto diffusa tra le classi dirigenti euro-occidentali, soprattutto intellettuali e politici di sinistra, che si ammantano di iper-gentilezza verso “l’altro”, di iper-liberalismo e di iper-democrazia.

Società multietnica o multiculturale?

Il progetto muliculturalista è anti-liberale perché trasformerebbe la società liberale multietnica, ma monoculturale, in una società multiculturale, un concetto da non confondere come spesso si usa fare, con quello di società multietnica (che è liberale). La prima ha un sistema giuridico-politico fondato sull’universalità illuminista (e cristiana) dei diritti umani naturali individuali e sul principio liberale dell’eguaglianza di tutti gli individui a prescindere da razza, sesso, religione. La società multiculturale, invece, riconosce diritti comunitari alle diverse culture altrui, comprese le loro norme, leggi e costumi e conferisce loro un “eguale rispetto” e cioè una pari vigenza, anche se in conflitto con le norme, leggi e costumi locali.

La società liberale presuppone uno Stato che tratti i cittadini allo stesso modo, prescindendo dalle differenze di razza o di religione mentre la società multiculturale crea uno Stato in cui le persone dovrebbero essere trattate in maniera diversa, a seconda delle proprie caratteristiche e differenze culturali. Corollario di ciò sarebbe, pertanto, l’abbandono dell’idea di eguaglianza dei diritti universali è l’assunzione al loro posto dell’idea dei diritti differenziati. Ed è proprio quello che è avvenuto in diversi paesi europei. La conseguenza, però, è che i criteri di giusto e ingiusto, criminale e barbarico, scompaiono di fronte al criterio assoluto del “rispetto per la differenza”.

Le classi dirigenti occidentali

Le posizioni multiculturaliste sono state per decenni non solo una filosofia e una teoria, ma un vero e proprio progetto culturale e politico praticamente rivoluzionario, adottato dalle classi dirigenti di sinistra nel continente americano (soprattutto in Canada), in Australia e in Europa, in specie nei Paesi nordici, ma anche nei maggiori Stati europei. Per molti intellettuali europei è stato un surrogato del marxismo (anche per le sue connessioni con il terzomondismo) perché consentiva di continuare erodere e decostruire la cultura liberale e individualistica occidentale e prospettava un’alleanza in chiave occidentale tra gli intellettuali e i politici, ormai orfani della rivoluzione comunista, e i popoli oppressi del terzo mondo, che furono visti come il nuovo proletariato dei dannati della terra. Per decenni le classi dirigenti di sinistra euro-americane hanno pensato: “Dobbiamo essere iper-gentili con gli extra-occidentali includendo le loro culture e permettendo loro di vivere come a casa loro. Loro, in cambio, saranno gentili con noi e per di più e daranno alla sinistra i loro voti o per lo meno non ci ammazzeranno”.

Il presupposto – e per taluni il pretesto- era anche un tentativo di evitare ad ogni costo uno scontro di civiltà, di culture e anche di religioni in Europa, anche al prezzo di rinunciare alla difesa dei principi della propria civiltà, cultura (e religione) che comunque “meritava di perire” perché civiltà colpevole. Questo calcolo di appeasement non era privo di pusillanimità e celava un disprezzo ed un’ostilità verso la propria civiltà occidentale. È comunque si è rivelato tragicamente sbagliato, come dimostrano i fatti citati e la cronaca di tutti i giorni.

Immigrazione

I multiculturalisti affermavano che con le loro teorie e le loro pratiche si sarebbe risolto innanzitutto il problema dell’“affondamento demografico” europeo per cui bisognava aprire i rubinetti dell’immigrazione. Inoltre, intendevano risolvere in maniera “non eurocentrica” i nuovi problemi di convivenza posti dalle migrazioni verso occidente di sempre maggiori numeri di individui da Paesi extra-euro-occidentali. Questi erano portatori di culture diverse e, nel caso dell’Islam, erano portatori di una cultura teocratica e anti-individualista difficilmente compatibile e anzi in potenziale conflitto permanente con la cultura euro-occidentale laica, liberale e cristiana. Occorreva venire a patti con essa.

Per l’esattezza il multiculturalismo è nato negli Usa nella seconda metà del secolo scorso come un’ alternativa alla tradizionale teoria e pratica del “melting pot” statunitense, il “crogiuolo” multi-etnico, ma monoculturale, dove gli individui venivano accolti come individui e potevano mescolarsi e fondersi, conservando le manifestazioni della loro religione, i loro costumi e la loro cultura anche nello spazio pubblico, ma alla condizione che non entrassero in conflitto con la legge e la Costituzione americana che doveva vigere per tutti. In Europa il multiculturalismo si diffuse dopo la decolonizzazione come alternativa all’assimilazionismo alla francese che richiedeva di confinare la religione nella sfera privata, mentre nella sfera pubblica pretendeva un’adesione alla religione civile repubblicana e laicista, nella quale consisterebbe l’identità e la cittadinanza francese.

Il crogiuolo e la macedonia

Al “crogiuolo”, all’americana o alla francese, il multiculturalismo, sulla base del relativismo radicale che suppone le varie etiche e culture come universi in-comunicanti e di “eguale valore”, opponeva, al fine illusorio di evitare gli scontri di civiltà, il modello della “macedonia”. Le varie culture non si sarebbero dovute fondere sotto l’egemonia di una sola cultura, come avviene in tutti i Paesi del mondo, ma dovevano essere conservate e convivere una accanto all’altra conservando tutte le loro caratteristiche specifiche. In sostanza, secondo i multiculturalisti le norme etiche e giuridiche e i costumi di tutte le culture “altre” avrebbero dovuto vigere in Occidente anche quando fossero in patente ed insanabile contrasto con le norme ed i costumi vigenti in Occidente.

La conseguenza è che si prefigurava una convivenza nella stessa società di ordinamenti giuridici paralleli e talvolta in conflitto tra loro e quindi sulla diseguaglianza nei diritti individuali, in considerazione della loro etnia o della religione di appartenenza. Tipico esempio è la poligamia, che sarebbe stato per alcuni cittadini un reato e per altri una possibilità del tutto lecita.

Un progetto eversivo dell’ordine liberale

Si tratta evidentemente di un progetto eversivo dell’ordine democratico liberale (basato su diritti fondamentali uguali per tutti) che persegue non l’integrazione ma la disintegrazione sociale perché parcellizza la società in una serie di comunità parallele e in-comunicanti, ciascuna chiusa nei suoi ambiti interni, animate da culture e norme diverse ed opposte e perciò in conflitto permanente tra loro. I risultati di decenni di politiche ispirate al multiculturalismo sono stati catastrofici, come era ampiamente prevedibile e come era stato previsto da molti suoi critici.

In Europa ha portato, infatti, alla nascita di diverse centinaia di énclave, cioè di ghetti vere e proprie, spesso ai margini delle grandi capitali che sono in sostanza territori perduti alla civiltà europea. La più famosa è Molenbeek, a Bruxelles di dove sono usciti i terroristi che nel gennaio del 2015 attaccarono Parigi. In Francia sono chiamate “zones urbaines sensibles” e secondo il ministero dell’Interno transalpino ce ne sono oltre 750 e ci vivono cinque milioni di musulmani. In Germania ce ne sono diverse decine e le chiamano “aree problematiche” (Problemviertel). Si tratta di aree con grandi concentrazioni di migranti, elevati livelli di disoccupazione e dipendenza cronica dal welfare, abbinati al decadimento urbano, incubatori di anarchia e islamismo. La stessa cosa avviene in Olanda e Belgio. Ci sono aree simili nelle grandi città inglesi come Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leeds, Leicester, Liverpool, Luton, Manchester, Sheffield, Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale. Da questi ghetti sono usciti quei lupi solitari che hanno insanguinato Londra ed altre città inglesi.

“Il multiculturalismo ha provocato delitti d’onore, mutilazioni genitali femminili e legge della sharia”, ha affermato l’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey. In quelle zone gli immigrati, comunque non vivono come a casa loro. Il paradossale effetto del multiculturalismo è che la shari’a da tempo non viga più nella gran parte dei Paesi musulmani e prosperi invece proprio in quei territori perduti dell’Europa. Paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Francia riconoscono i matrimoni poligamici se sono stati contratti all’estero. Downing Street stima che ogni anno avvengano circa tremila matrimoni forzati. In Svezia si parla di oltre 70mila ragazze musulmane non libere di sposare chi vogliono.

In Europa risultano “scomparse” migliaia di ragazze musulmane già cittadine europee. Di solito partono per un viaggio all’estero e non tornano più a scuola o sul posto di lavoro. A queste vanno aggiunte le “vergini suicide”, le ragazze che si uccidono per sfuggire a un matrimonio forzato. Secondo l’Unicef, in Europa ci sono almeno mezzo milione di ragazzine che hanno subito la pratica della mutilazione genitale. L’aspetto più paradossale del multiculturalismo è che diventa un razzismo surrettizio degli anti-razzisti. Congela e cristallizza le culture tradizionali e più primitive per cui africani, arabi, pakistani e musulmani sono imprigionati nella loro storia e nelle loro tradizioni e, in pratica, non riconosce loro gli stessi diritti fondamentali che sono retaggio comune degli occidentali e – per il liberalismo –di tutti gli uomini.

Il fallimento di un’illusione

Insomma, il multiculturalismo è fallito sia come teoria che come progetto pratico come hanno riconosciuto tra gli altri David Cameron, Angela Merkel ed altri leader europei. Tuttavia, esso sopravvive come ideologia in molti intellettuali e giornalisti come un dogma duro a morire, che è divenuto parte integrante di quell’ideologia antioccidentale che è il pensiero unico politicamente corretto. Per questo esso sta provocando la rinascita di reati d’opinione, legati alla cosiddetta islamofobia: un’accusa che tende a criminalizzare chiunque critichi l’Islam e consente, soprattutto in Francia, a gruppi militanti di trascinare in tribunale decine di giornalisti e scrittori, e di organizzare contro di loro delle vere campagne mediatiche di demonizzazione. In definitiva, il multiculturalismo acuisce i conflitti culturali che voleva evitare, non protegge le persone che vorrebbe tutelare ed erode la civiltà liberale occidentale alle sue radici. È perciò da considerare un’arma ideologica nelle mani dei nemici dell’Occidente.

Aggiornato il 02 novembre 2021 alle ore 09:07