La ghigliottina montata al Quirinale

C’è chi vorrebbe un secondo mandato al Colle di Sergio Mattarella. Che questo possa essere il sogno proibito della sinistra, che dalla permanenza di un suo uomo al Quirinale ha tratto tutti i vantaggi possibili, ci sta. Ma che a desiderarlo sia qualche anima bella del centrodestra è da non credere. La compagine anti-sinistra dovrebbe stare a contare non le ore ma i minuti che ci separano dalla fine di un settennato ostile alle forze liberali, conservatrici e sovraniste del panorama politico italiano. Mancano poco più di sessanta giorni al momento in cui le Camere si riuniranno per eleggere il nuovo capo dello Stato. Ma c’è da scommettere che l’uscente prima di fare i bagagli lascerà un ultimo segno del suo passaggio sulla pelle piagata degli italiani. E visto che siamo al settimo anno di presidenza, prendendo a prestito un simbolismo dell’Apocalisse di Giovanni, chiediamoci quale sarà il “Settimo sigillo” della presidenza Mattarella. Si tratta del Trattato di cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia, noto come Trattato del Quirinale.

Una sorta di oggetto misterioso del cui contenuto si sa nulla. È un’iniziativa che nasce nel 2018 con il Governo di Paolo Gentiloni. Lo stesso Gentiloni che, nel 2015, da ministro degli Esteri del Governo Renzi avrebbe voluto cedere acque territoriali italiane dei mari di Sardegna, Toscana e Liguria alla Francia (accordo bilaterale di Caen firmato dai governi italiano e francese il 21 marzo 2015). Fortuna che l’accordo non fu ratificato dal nostro Parlamento per cui non se fece nulla. Chiusa la parentesi del Governo Gentiloni, il Trattato del Quirinale finì in archivio con il Conte I. La presenza alla guida del Paese di una forza sovranista come la Lega di Matteo Salvini aveva raffreddato i bollenti spiriti dei filo-francesi di casa nostra. Ma già con il Conte II, nato dall’innaturale connubio tra Partito Democratico e Cinque Stelle, il Trattato ha ripreso quota per arrivare in questi giorni al traguardo della firma. Non senza le pressioni che giungono dal Colle su Palazzo Chigi, perché il testo venga siglato entro la fine dell’anno.

Fuori da ogni prassi democratica la stesura dell’accordo è stata affidata, per parte italiana, a un pool di legali. Il Parlamento è stato esautorato: non può mettere becco nell’affaire. I francesi sono entusiasti per la conclusione di ciò che per loro, a sentire i giudizi di chi ha avuto la ventura di esaminare le bozze riservate, sarà un ottimo affare. Tanto che il presidente Emmanuel Macron, come riferisce il quotidiano francese Les Echos nell’edizione on-line dell’8 ottobre 2021, “avrebbe voluto firmarlo già ad ottobre, ma la parte italiana ha voluto effettuare i controlli costituzionali e la cerimonia si svolgerà probabilmente a novembre”. Lo si definisce Trattato del Quirinale, sempre secondo Les Echos, per “una forma di omaggio al lavoro di Sergio Mattarella, per il quale Emmanuel Macron ha grande stima”. Stima confermata da Marc Lazar, che dirige il gruppo di ricerca sull’Italia contemporanea presso il Centre d’histoire de Sciences Po di Parigi, secondo il quale “il presidente francese è particolarmente grato al capo dello Stato italiano per aver agito costantemente, soprattutto quando erano al governo la Lega di Salvini e il Movimento Cinque Stelle, per mantenere l’impegno europeo dell’Italia”.

Chiaro il concetto? Ma, domandiamoci, perché qualcosa che vada bene ai francesi dovrebbe necessariamente andare bene anche a noi? Se i contenuti dell’accordo in via di stipula fossero noti potremmo argomentare un’opinione esaustiva. Visto che non possiamo, dobbiamo affidarci alle considerazioni di quei pochi che sono riusciti a leggere il documento. Come il politologo ed economista Carlo Pelanda, di cui abbiamo particolare stima. Ora, se lui, in un’intervista rilasciata a Il Sussidiario.net, dichiara che lo scenario peggiore che si verrebbe a determinare per l’Italia con la firma del Trattato sarebbe “quello di sancire un’auto-annessione alla Francia, industriale e strategica. Edulcorata ma sostanziale”, lo prendiamo sul serio. Ciò che a Pelanda è balzato agli occhi esaminando il carteggio è l’asimmetria tra le aspettative francesi e quelle italiane. Dice Pelanda: “I tecnici francesi mostrano di sapere benissimo cosa vogliono, mentre quelli italiani sono spaesati, cercano di fare controproposte che sono deboli perché prive di prospettiva. C’è un’asimmetria palpabile e imbarazzante”. In linea di principio, non è sbagliato stringere un patto di cooperazione con uno Stato amico.

D’altro canto, è già successo tra francesi e tedeschi con il Trattato dell’Eliseo stipulato nel 1963 e rinnovato, nel 2019, con la firma del Trattato di cooperazione e di integrazione franco-tedesco ad Aquisgrana. Eppure quell’accordo a due ha preoccupato non poco i partner europei che vi hanno letto il manifestarsi della volontà di dominio dell’asse carolingio sull’Unione europea. Anche ammettendo che il Trattato possa essere cosa buona in sé, la conditio sine qua non per il suo corretto funzionamento è che rispetti il criterio di reciprocità nel rapporto costi-benefici. Ma da quanto è dato sapere, il Trattato in preparazione in questi giorni non è equo. Vi sono fattori di contesto che lo rendono squilibrato. La Francia, al momento, ha un forte disavanzo nella bilancia commerciale; la sua economia, plasmata sul cosiddetto modello renano, è in crisi; la finanza transalpina, grazie alla penetrazione nel sistema bancario italiano, drena risorse dal nostro risparmio privato per ripianare i propri debiti; sul fronte energetico è in corso una guerra senza quartiere tra l’italiana Eni e la francese Total, che ha epicentro nello sfruttamento dei giacimenti libici e in quelli della fascia sub-sahariana in Africa.

Sul fronte della cantieristica, l’Eliseo ha fatto di tutto, riuscendoci, per impedire l’acquisizione dei Chantiers de l’Atlantique da parte della nostra Fincantieri. Mentre sono di questi giorni le pressioni di Parigi e Berlino su Roma perché la ex Oto Melara, azienda controllata del Gruppo Leonardo, attiva nel comparto della Difesa, non venga venduta a Fincantieri. Alle viste c’è un consorzio franco-tedesco pronto a portarsi via l’ennesimo gioiello dell’industria italiana.

C’è poi una questione di geopolitica da considerare. Un vincolo stretto con la Francia che margini di manovra lascerebbe all’Italia nel decidere una propria politica estera? La sensazione, pessima, è che la strategia di Macron preveda di servirsi del potenziale italiano allo stesso modo con cui l’impero coloniale nostrano si serviva degli ascari per fare il lavoro sporco nei territori occupati. Non intendiamo criminalizzare un possibile asse privilegiato Roma-Parigi – sempre che Berlino lo permetta – ­­­anche se, a proposito del progetto d’integrazione europea, verrebbe da chiedersi parafrasando il titolo di una celebre canzone di Charles Trenet: Que reste-t-il de nos amourseuropéens”? Il multilateralismo, tanto caro a Mario Draghi, con la sottoscrizione di questo pezzo di carta finirebbe al macero. Ha ragione il professore Giulio Sapelli nel dire che “l’Italia deve riequilibrare un rapporto che ad oggi è gravemente sbilanciato, subalterno. La Francia continua a intervenire nella nostra vita economica, e ci riesce anche” (intervista a Formiche.net).

Non sono poche isolate voci a sostenere che questo Trattato non sia nell’interesse nazionale e perciò non vada firmato. Il quotidiano ItaliaOggi ha intrapreso un’autentica crociata contro il Trattato del Quirinale. Sono tutti pazzi o pericolosi sovranisti? E poi, contro chi dovremmo misurare il nostro grado di sovranismo? Contro la Francia, che è campionessa mondiale di sciovinismo? Un presidente della Repubblica in scadenza di mandato, nel pieno del “semestre bianco”, spinge perché il premier firmi un’annessione celata dell’Italia alla Francia. Una nefandezza che non ha eguali. Ma l’impronta sull’arma del delitto non sarà quella dell’inquilino (in uscita) del Quirinale ma di colui che sta a Palazzo Chigi. Mario Draghi che farà? Firmerà a scatola chiusa, contando sul fatto che nella prossima legislatura non ci saranno i numeri in Parlamento per ratificare il Trattato o prova adesso a metterci mano per aggiustarlo come meglio si può? Siamo proprio messi bene. Hurrà!

Aggiornato il 19 novembre 2021 alle ore 09:15