Una Lega per il futuro: la colonizzazione del sistema solare/1

Il mondo in cui vivremo

La percezione del futuro condiziona il presente quanto e più del ricordo del passato. L’idea che ce ne facciamo, le prospettive che intravediamo, i sogni e le paure che portiamo con noi, determinano il nostro modo di sentire e vivere qui e oggi, proprio come quello che decidiamo ora condizionerà il mondo di domani, che ancora non c’è, ma in parte almeno dobbiamo cercare di progettare. Il Mondo, così come sembrava essersi assestato dopo il secolo più rapido e convulso della nostra storia e che le feste per il nuovo millennio celebravano in un apparente panorama di valori formalmente accettati, non è durato per più di un decennio. La storia sembra essersi rimessa in moto e ad un ritmo ancor più accelerato. Il fenomeno della globalizzazione, per le fortissime e crescenti resistenze che ha generato, non ha condotto solamente all’aumento delle cosiddette guerre asimmetriche, ma anche all’apparire di sviluppi economici non più solo squilibrati, ma altamente asimmetrici anch’essi. Accanto a realtà nazionali ancora escluse o autoescluse dall’evoluzione, ve ne sono di proiettate in una fuga in avanti precipitosa e vi è anche una iniziale divaricazione tra finanza sempre più globalizzata e un esteso commercio internazionale, che comincia invece a essere contestato da richieste protezionistiche difensive crescenti. La complessità dei problemi etici legata agli sviluppi bio-medici e quella legata alla sicurezza, in un mondo pieno di esplosivi e aperto come mai prima agli spostamenti, aggiungono una serie di nuovi problemi, mentre l’emergere impetuoso di nuove potenze, rende l’equilibrio di potere esistente non più adeguato e difficile da aggiornare, anche perché ormai condizionato da tradizioni culturali e religiose riemerse, ben diverse da quelle tradizionali occidentali.

Il sovrappopolamento e la sua modificazione regionale, insieme a un inizio di rarefazione di beni vitali agricoli e materie prime, complicano il quadro, senza contare la proliferazione, la varietà e la crescente pericolosa criticità, degli strumenti di distruzione di massa. È essenzialmente la velocità con cui problemi così nuovi si presentano a rendere difficili le soluzioni, è la mancanza di schemi di riferimento conosciuti a rendere le classi dirigenti inadeguate, è l’aver raggiunto i confini del mondo ad averlo reso piccolo. Piccolo e soprassaturo di tensioni, perché siamo o temiamo di diventare, troppi. E il risultato è di aver messo a rischio l’espansione, cioè lo strumento che negli ultimi due secoli ha assicurato insieme progresso, giustizia sociale e soprattutto quel valore a cui ci siamo ormai abituati, come se fosse nostro da sempre: la Libertà. Tuttavia, lo Spazio a noi più vicino è lì e, per la prima volta, a portata di mano. Forse è nello Spazio la garanzia del futuro e della nostra Libertà.

Prevedere per governare: progresso o crescita zero

La Lega, movimento nuovo nella storia politica, ma fortemente legato alle tradizioni italiane, si pone, da tempo e metodicamente, il problema del nostro futuro, perché, non dandolo affatto per scontato o del tutto inconoscibile, rifiuta un fatalismo rinunciatario e sfiduciato – molto poco occidentale – ed è determinata nel provare a dare, anche per l’avvenire, un’impronta umana e liberale al mondo che verrà. Queste note personali sono così un contributo al dibattito. La riflessione centrale, la scelta di fondo da cui derivano molte delle conseguenze per immaginare e provare a costruire il futuro, verte su di una alternativa essenziale, che è politica, economica e financo etica e che, pur tra compromessi e contraddizioni, si impone su tutte le altre: quella tra progresso continuo o una “crescita zero”, perché è questo il principale problema. Se l’evoluzione sembra indicare come tendenza obbligata l’espansione dell’umanità verso lo spazio e i pianeti del sistema solare, per il continuo aumento del nostro numero e la diminuzione delle risorse, ciò non pertanto vi sono non poche persone che, per intima preferenza filosofica o convinzione politica, sono partigiani della cosiddetta crescita zero. Accanto alle motivazioni attuali (nel senso di suggerite dall’esperienza di ciò che avviene oggi) si potrebbe obiettare alla crescita zero il fatto che mai nella storia se n’è visto un solo esempio e questo per qualunque cosa esistente o concetto pensabile. Tutto, corpi celesti, specie animali, piante, religioni, teorie filosofiche, ha sempre mostrato uno sviluppo continuo ed evolutivo, unica alternativa allo sviluppo essendo la decadenza, la morte e la scomparsa.

Sembra insomma che la natura semplicemente non contempli la possibilità di una crescita zero, sì da troncare il discorso alla radice, ma non è solo questo, ancorché piuttosto convincente, che rende la crescita zero una via non proponibile, vi è anche una precisa preferenza intellettuale da prendere in considerazione e un preciso pericolo. In fondo, qual è l’ipotesi culturale dei fautori della crescita zero? La rinuncia. La rinuncia al nuovo in favore del conosciuto, la rinuncia al progresso (economico e sociale) in favore dell’esistente, la rinuncia all’avventura in favore della paura, la rinuncia a provare a tenere il destino nelle nostre mani, la rinuncia a cogliere la mela nel giardino dell’Eden. Ciò di cui in fondo i partigiani dell’opzione zero veramente si rammaricano è il peccato originale. Non è nuova nella storia dell’Umanità, non è nuova questa nostalgia del paradiso terrestre, ma del pari continua a essere sbagliata la prospettiva che essa sembra suggerire. Non possiamo tornare a uno stato di innocenza originaria (che in realtà non c’è mai stato), abbiamo conosciuto e conosciamo il bene e il male e dobbiamo camminare sulle nostre gambe, non c’è un padre per fissarci il cammino, ci può essere solo un’etica per indicarcelo.

Con la scienza abbiamo raddoppiato l’età media degli uomini, ridotto drasticamente la mortalità infantile, diminuito la fatica fisica e, come risultato, ora abbiamo sette miliardi di uomini sulla terra al posto dei 500 milioni dell’inizio del Settecento e non possiamo più nutrirli, come facevamo allora, senza un ciclo industriale. No, l’umanità è obbligata a essere maggiorenne e a sforzarsi di conoscere e comprendere, ma, se tutto ciò non è privo di rischi e di dolori, non vi è solo pena nel futuro. Almeno a partire da quando l’uomo ha scoperto come tramandare i suoi ragionamenti, sappiamo che un pensiero ha costantemente attraversato la sua mente, espresso dalle eterne, fondamentali questioni: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Nessuno può ovviamente dire che nel futuro troveremo una risposta, ma certo è che nel passato non l’abbiamo trovata e che quindi solo andando avanti possiamo sperare di incontrarla. Di tale risposta tutti abbiamo bisogno (o almeno abbiamo bisogno di non rinunciare a cercarla) anche i credenti, dato che in niente tale ricerca contrasta con la fede religiosa, poiché, anche per il credente vi è la speranza di “conoscere”, oltre a “credere” e nessuna contraddizione esiste tra le due cose.

Certamente su un piano astratto si può ipotizzare uno sviluppo parziale, stop politico a certe tecniche come le biotecnologie e campo libero ad altre, come ad esempio alle energie definite erroneamente (per l’enormità dei manufatti che devono impiegare) rinnovabili, ma tutto ciò è poco avvertito e poco serio, non si può avere nessun progresso a lungo termine imponendosi d’ignorare certe o certe altre linee di ricerca, la conoscenza umana è un insieme che solo come tale, sul lungo periodo, può davvero evolvere ed espandersi. Per esempio, la filosofia moderna è impensabile al di fuori di uno stretto rapporto con la fisica, le scienze sociali sarebbero diverse senza il computer. Nel processo a Galileo, infine, si discuteva non solo di religione o di scienza o di libertà politica, ma di tutto ciò assieme. In realtà la crescita zero, al di là di alcune asserzioni di semplice buon senso (ma perciò stesso banali e comunemente accettate, come che so, quelle sulla necessità dei depuratori, del riciclo delle scorie o di studi ambientali) riflette l’antica paura umana della conoscenza, il timore di avere osato troppo, ma è perciò stesso estremamente pericolosa, perché potrebbe ritardare le decisioni sulle cose da fare, ritardo che potrebbe essere fatale.

Perché, a lungo termine, è inevitabile che siano le enormi energie scatenate dalla scienza a determinare l’esito dei problemi di sovrappopolazione, resi possibili dalla più bella conquista della scienza stessa (la sua capacità di difendere la vita) o in un senso umano, modificando completamente le condizioni al contorno attraverso la conquista di un maggiore spazio (sì da creare un’ambiente sufficiente al nuovo sapere e potere dell’uomo) oppure, temo, in un altro, riducendo drasticamente tale potere con il crollo delle strutture industriali e la drastica diminuzione del numero di uomini attraverso uno spaventevole olocausto, nucleare, industriale o di altra natura.

Il proporre oggi di seguire la logica inerente lo sviluppo scientifico e tecnologico, significa non solo credere che l’uomo debba e possa tenere il futuro nelle sue mani (rifiutando di cedere semplicemente, ad esempio, alla fame o al cancro) ma significa anche (proprio al contrario di quello che pensano gli zerofili) ricuperare la possibilità di continuare una vita come quella che tradizionalmente l’uomo ha vissuto. La visione tradizionale dell’uomo, con la scarsa densità di popolazione, era infatti basata su di un nucleo privato – la famiglia, il borgo, la sfera dei propri interessi ed affetti – ma sentito come inserito nell’infinito, era basata sul senso di illimitata vastità della Terra, sulla fiducia nella crescita (crescete e moltiplicatevi), sulla voglia di eternità (Dio, l’Aldilà).

Ora il progetto zero, per avere un senso, deve annullare completamente il senso di avere un grande spazio disponibile, deve imporre limiti anche sulle cose più private e vitali per ognuno, dai figli, alla casa, alla professione, negare l’idea stessa di proprietà, frustrare il senso di espansione individuale, perché ci prospetta un mondo di vita sempre più stretto, deve cioè capovolgere la visione tradizionale del Mondo e il tradizionale modo di vivere, molto di più di quanto non comporti il lasciare libero sfogo all’espansione. L’opzione zero deve necessariamente assumere insomma, le caratteristiche storiche del totalitarismo.

Al posto del “crescete e moltiplicatevi”, il “fare figli è asociale”, al posto “dell’Andate all’Ovest”, il “restate a casa”, questo chiede la crescita zero, ma può l’uomo vivere così o non rischia di impazzire per sensazione di claustrofobia, fino proprio a far deflagrare quella grande guerra che tutti dicono essere possibile solo in una “crisi di irrazionalità”? Perché proprio di questo si tratta, il progetto di crescita zero è pericoloso. Una volta che si sia fissato il numero di figli “consentito” (oggi dalla semplice pressione sociale, domani, se non bastasse dalla legge), il numero di metri quadrati disponibili pro capite, la professione consentita e così via, che cosa resta della libertà dell’uomo, ma ancora egli è disponibile o anche solo adattabile a vivere in siffatta maniera o non c’è rischio che impazzisca? E chi fisserà e farà rispettare i tassi di sviluppo consentiti alle varie nazioni, alle varie etnie? (già oggi i Paesi del terzo mondo rifiutano tali imposizioni, viste come finalizzate agli interessi occidentali). E inoltre tutto ciò non dovrebbe durare per un periodo limitato (si sono già viste limitazioni in guerra) ma per sempre.

Se si guarda alla crescita zero un po’ più da vicino, l’idea bucolica di questa società ecologica rischia di cedere il passo alla visione apocalittica di un mondo poliziesco divenuto soprassaturo di pressioni psicologiche ed economiche, pronto, a causa di questo super vincolo, a scoppiare in una spaventosa deflagrazione, passando così dalla improbabile crescita zero alla “decrescita fulminea”. Questo scenario catastrofico non è ovviamente detto che abbia realmente a verificarsi, ma è però più credibile di quello idilliaco, poiché in quel caso si parla di qualcosa di inesistente in natura e, anche se ogni ipotesi è possibile, ci sono però le più o meno probabili. Certo gli ecologi zerofili possono vagheggiare l’uomo di “tipo nuovo” per salvare la loro teoria, ma, a parte gli storici disastri di tutti i regimi che volevano fare l’uomo nuovo, è corretto pensare che sia assai più facile e ragionevole, anziché l’uomo, cambiare la teoria. Quello che si può e si deve ipotizzare, come prodotto di puro buon senso, è invece l’idea di una crescita non zero, ma indirizzata, di un uso più accurato e senza sprechi delle risorse economiche, di una più accurata politica contro gli inquinamenti; tutto ciò però visto non come a sé stante, ma in unione con una prospettiva di fondo di espansione futura, per la quale già da oggi si comincino a prendere le prime misure. In tal modo, senza fughe in avanti verso una soluzione solo futuribile e senza le chiusure di una visione riduttiva (e a lungo termine impossibile e innaturale), si cominciano a delineare gli elementi di una prospettiva ben bilanciata, che, unendo provvedimenti per l’oggi e iniziative per il domani, in un preciso quadro di riferimento unitario, ha le caratteristiche di quella che si può chiamare una “politica”.

Prima però di continuare nell’individuazione dei punti di una politica valida per questo periodo, che segna l’inizio del terzo millennio della nostra civilizzazione cristiana (con la carica evocativa che ne consegue) occorre cercare di mettere più a fuoco quegli elementi che derivano da condizioni continentali particolari, poiché molto se ne può desumere anche per la formazione di un quadro d’assieme di regole generali. In pratica, si può considerare ognuna delle aree rilevanti in cui il mondo è diviso, come sede di un diverso esperimento, dal cui esito (positivo o negativo) le fasi successive dell’evoluzione dell’Homo Sapiens saranno inevitabilmente marcate, si potranno così tentare delle extrapolazioni, per cercare di trovare moduli di comportamento anche per i problemi di tipo nuovo.

Ma, se le tendenze dalle tessere del mosaico possono indicare l’evoluzione nel medio periodo, è dal mondo che bisogna partire per immaginare gli scenari a lungo termine, con un metodico ricorso a previsioni verificabili, perché le dimensioni dei problemi del prossimo futuro sono tali da aver bisogno di impostazioni generali. Occorre prevedere per un futuro umano. Fin da oggi. Quello stesso progresso culturale e tecnico, che ha fatto diventare così rapidamente variabile il mondo, rispetto alla lenta evoluzione dei secoli passati, rende a un tempo necessario e possibile, interrogarsi sugli scenari futuri, quelli in cui l’uomo si troverà a vivere. La disponibilità di dati e statistiche su moltissimi aspetti della vita organizzata, l’uso di strumenti analitici per scoprire una tendenza, la coscienza delle nuove responsabilità umane, rendono questo ipotizzabile. Il bisogno esistenziale dell’uomo di interrogarsi sul proprio futuro, è oggi più forte che in passato per la drammatica accelerazione dei processi, ma non è solo una esigenza psicologica a spingere a ciò, è anche la necessità di collocare le previsioni in un quadro generale e dotare le autorità di modelli di riferimento.

Ad esempio, le statistiche sulle materie prime, sul loro consumo e le loro riserve, se interpretate, conducono a previsioni a medio termine sulla sostituzione con succedanei o sull’uso di tecnologie alternative, ma queste conclusioni possono essere anche ribaltate, se, sul più lungo periodo, si ritiene che i principali manufatti che tali materiali impiegano siano destinati a scomparire. Prendendo un esempio specifico, in passato scrivevo che riserve di piombo stimate in cent’anni, avrebbero portato a prevedere la sostituzione a breve delle batterie automobilistiche – principale fonte di consumo – con altre fino all’ottanta per cento più leggere (grazie all'uso di aria compressa in luogo dell'avviamento elettrico) ma forse poche aziende avrebbero provveduto agli investimenti necessari, se lo scenario a più lungo termine avesse contemplato la scomparsa del motore a scoppio e l’uso di batterie completamente alternative (che è proprio quello che pare profilarsi).

Il campo delle previsioni a lungo termine, utili per immaginare, ma anche per prendere decisioni qui ed oggi, copre praticamente tutto l’arco delle attività umane e gli scenari che ne possono derivare influenzano fortemente le programmazioni a lungo termine. Una chiara indicazione di un futuro telematico che veda i cittadini svolgere il loro lavoro prevalentemente a casa, sconsiglia di rivoluzionare completamente l’urbanistica delle città per adattarle all’automobile, mentre uno studio sulla poca resistenza di coltivazioni ad alta resa, porta a tutelare anche la conservazione di più povere, ma più robuste, piante tradizionali, per non rischiare la scomparsa di un’intera specie. Allo stesso modo, se si conclude che l’aumento medio della temperatura terrestre, che, oltre a produrre rarefazione dell’acqua dolce, può portare al parziale scioglimento delle calotte polari con conseguente sommersione delle zone costiere, è davvero strettamente legato alla sovrapproduzione di anidride carbonica per la produzione di energia elettrica da fonti fossili, allora va riconsiderato, anche da parte di chi l’aveva abbandonato, l’uso pacifico dell’energia nucleare, di gran lunga la più ecologica in tal senso.

E ancora, la rapidità e la frequenza dei viaggi intercontinentali con la veloce diffusione di malattie per contagio, ci porrà in sempre maggior rischio (si pensi ad Ebola, all’Aids e, oggi, naturalmente al Covid), oppure al contrario daremo vita, col tempo, alle generazioni più immunizzate – perché già contaminate – della storia ? (si pensi solo agli aborigeni Hawaiani, uccisi dal semplice raffreddore all’arrivo del primo occidentale). Il diritto privato, che regola la libera contrattazione tra soggetti indipendenti, potrà avere un suo reale futuro, o tutto sarà per forza ricondotto (come in Italia per l’equo canone) a regole generali e, in tal caso, che fine farà la libertà individuale? Resteremo a lungo confinati nel nostro pianeta (che in tal caso ci sembrerà sempre più stretto) oppure il sistema solare (cominciando da Marte, Venere e le stazioni orbitanti) sarà il teatro della prossima espansione della umanità e vedremo un quadro di relazioni internazionali simile al “modello navale” della civilizzazione Britannica?

E in questa prospettiva quale sarà l'evoluzione, prima psicologica e poi politica, del comune sentire, riterremo ineluttabile un futuro sempre più regolamentato a causa della sovrappopolazione di una Terra di dimensioni finite o apriremo la mente, i cuori e le leggi a nuovi spazi di libertà personale? Tanti sono i campi in cui previsioni sul futuro sembrano a un tempo fattibili e necessarie, tanti quanti i settori che richiedono scenari per le pianificazioni a lungo termine, praticamente tanti quanti sono i settori dell’attività umana. L’estrapolazione dei dati statistici ed il confronto comparativo delle opinioni degli esperti, sono i metodi di cui è possibile avvalersi, nella consapevolezza che nel tempo le previsioni potranno essere modificate, anche radicalmente, da nuovi fatti via via intervenuti o da fattori che si rivelassero sottovalutati, ma anche con la consapevolezza che, se il metodo di formazione di una certa previsione è rigoroso e soprattutto espressamente indicato, essa contiene già in sé degli elementi per essere mantenuta o modificata.

E gli scenari, che tali previsioni compongono, risulteranno tanto più efficaci quanto più conterranno in sé i dati oggettivi e verificabili su cui si basano, perché una modifica di tali dati conduce direttamente a scenari alternativi. Rimane una differenza di fondo. Se nel breve termine è l’avvenimento eccezionale a poter falsare le previsioni, sul lungo periodo è invece la stessa individuazione delle tendenze ad essere incerta, perché i dati di partenza sono di regola insufficienti e perché è naturale aspettarsi che più eventi eccezionali abbiano occasione di presentarsi. L’uno o più eventi imprevisti, eccezionali nel breve periodo, nel lungo periodo sono invece da considerare normali. Le previsioni a lungo termine non possono perciò sfuggire alla regola di essere continuamente riviste e aggiornate, è il prezzo che bisogna pagare, ma ben più alto sarebbe il prezzo a non farle: sarebbe la rinuncia a conoscere per provare a governare gli avvenimenti, per provare a costruire un futuro migliore.

Un futuro per avere un presente

Ricordiamo i principali punti di crisi : l’enorme quantità di energia esplosiva accumulata (sotto forma anzitutto di bombe termonucleari ); la complessità e conseguente fragilità dei sistemi economici (che funzionano sempre più secondo un flusso che prevede la concentrazione, nelle aree di trasformazione, di materie prime, semilavorati e generi alimentari provenienti da ovunque e quindi la loro redistribuzione nel mondo come prodotti lavorati); l’enorme aumento della popolazione mondiale (non più sostentabile senza un ciclo industriale complesso); la sempre maggior diffusione di tecnologie chimiche e biologiche (con la conseguente capacità di produrre e immagazzinare aggressivi biochimici potentissimi ); la contemporaneità di sistemi politici molto diversi, antitetici o addirittura non commensurabili ( con le incomprensioni e le tensioni derivanti); la concentrazione di poteri quasi assoluti in poche mani di governanti ( talvolta incolti ed esaltati, con la carica di emotività e irrazionalità che ne consegue); il rapido esaurirsi delle risorse (con la conseguente lotta per il loro controllo). Queste, in rapido riassunto, le ragioni principali che fanno del nostro mondo un vulcano, o meglio, una polveriera e, dell’equilibrio in cui viviamo, un equilibrio altamente instabile. In queste condizioni, il primo e più generale fine da porsi, per poter pensare poi ad altri traguardi, è quello di raggiungere, nel più breve tempo possibile, le condizioni che possano assicurare comunque (e cioè qualunque cosa, umanamente prevedibile, accada) la sopravvivenza della specie umana e, se possibile, della nostra civilizzazione, rendere insomma questo precario equilibrio mondiale, radicalmente più stabile. Per fare ciò occorrono rimedi a breve, medio e lungo termine, ed occorrono tutti assieme, poiché gli uni senza gli altri sarebbero inefficaci. Cominciamo dai rimedi a lungo termine, che, pur se ipotizzabili oggi solo come soluzioni in prospettiva futura, sono quelli nel cui quadro gli altri si inseriscono e sono i soli a poter risolvere radicalmente il problema centrale del nostro tempo, un problema che può essere definito come quello di un mondo divenuto troppo piccolo e soprassaturo di pressioni, che gli stati si sforzano di contenere ed ordinare, ma che non possono impedire di crescere a dismisura.

La sopravvivenza dell’umanità, così come la conosciamo e cioè non prendendo in esame l’ipotesi di un crollo biblico e di una successiva lentissima ripresa, sul lungo periodo deriverà (o non deriverà) da delle condizioni specifiche: un reale miglioramento del rapporto popolazione e territorio, come di quello capacità distruttiva e territorio; una forte diminuzione dei poteri assoluti degli Stati; un recupero di una società organica capace di assicurare l’armonica convivenza senza ricorso continuo a divieti imposti. Il problema di avere una credibile prospettiva di sviluppo futuro è legato ovviamente in maniera stretta alle scelte del nostro presente, ma è vero anche l’opposto e cioè la forte influenza del futuro (di come ce lo immaginiamo) sul nostro presente, perché la percezione del futuro ci condiziona nelle nostre scelte, come e più del passato. Sia che ce ne rendiamo conto o no, noi sempre decidiamo quello che ci riguarda, qui e oggi, tenendo conto di quelle che saranno le conseguenze nel futuro, che si tratti di scegliere individualmente la casa che dovrà arrivare anche ai nipoti, oppure – collettivamente – una forma di riscaldamento meno inquinante per l’ambiente, noi facciamo discendere le scelte dell’oggi anche dalle loro conseguenze per il domani.

Ecco perché, al di fuori di una prospettiva politica chiara e dichiarata di espansione anche al di fuori del nostro pianeta, noi rischiamo di perdere la nostra libertà presente, perché se consideriamo che tra cent’anni saremo troppi, dovremo limitare oggi le nascite, se pensiamo che finiremo le materie prime, dovremo limitare oggi i consumi, se riteniamo che non avremo spazio, dovremo cominciare oggi a contingentarlo e se infine prevediamo che non avremo più crescita economica, avremo i poveri del mondo che non attenderanno più un loro proprio progresso nazionale, ma chiederanno, subito, di dividere i frutti del nostro lavoro di occidentali, anche con la forza. E per questa via che si rischia di perdere la libertà ed anche la pace. Ed i segni già si vedono, dalla sempre maggiore limitazione dei diritti individuali, alla pressione di decine di milioni di uomini alle frontiere di tutto il Nord del mondo.

E allora l’espansione, fisica, economica e psicologica è l’unica risposta. Non credo sia per caso, che noi definiamo l’era moderna a partire dalla scoperta dell’America, perché credo che, senza la scoperta dell’America non avremmo avuto una “Era moderna”. Senza la conoscenza che esistevano altre terre da conoscere, esplorare, conquistare, non avremmo avuto, io credo, la fioritura cinquecentesca, senza la trionfale conferma Colombiana delle idee di Copernico, la scienza sarebbe rimasta una semplice superstizione di “maghi” nella considerazione della gente, senza la sensazione di spazio e di ottimismo che quella scoperta ci diede e l'attività imprenditoriale che perciò sviluppò, la società sarebbe rimasta chiusa e l’idea di libertà politica non sarebbe germinata.

Il Rinascimento stesso sarebbe insomma probabilmente abortito, perché è solo del Cinquecento la consapevolezza della sua portata e l’invenzione stessa del suo nome – Rinascimento – scelto a significare la fine della chiusura dei secoli bui, della società statica, del potere giustificazione di se stesso, della penuria accettata come fatto naturale. E la rivoluzione della cultura e dei costumi in Europa, non si produsse quando l’America fu davvero significativamente abitata dagli Europei ( il ché accadde veramente solo nel sette/ottocento ) ma due, tre secoli prima, a dimostrazione di come questo fatto cambiò l’intera prospettiva del mondo, su di un piano psicologico e culturale, molto prima della vera colonizzazione Americana, proprio a dimostrazione di come la percezione del futuro condizioni il presente. Ecco perché lo Spazio: per vivere, per crescere, per non tornare nei secoli bui.

(1/Continua)

Aggiornato il 14 dicembre 2021 alle ore 09:52