I due lapsus freudiani geopolitici della Annunziata

Per una volta, anzi due, anche una giornalista apparentemente severa e predominate come Lucia Annunziata potrebbe avere indotto più di un telespettatore a un istintivo moto d’animo di tenerezza, complici proprio due distinti lapsus freudiani venuti fuori – una volta si sarebbe detto “dal sen fuggiti” – in “Mezz’ora in più”, domenica 27 febbraio, quando l’argomento obbligato in qualsiasi studio televisivo era la guerra scatenata dalla Russia di Vladimir Putin contro l’Ucraina.

Più precisamente, parlando con interlocutori sia in studio che in collegamento e con un esperto americano che era a capo delle forze armate Usa in Europa fino a qualche anno fa, ha chiesto pareri sulla “inattesa ritardata presa di Kiev da parte degli americani”. E si è subito corretta, con un sorriso ovviamente autoironico, con “russi”. Ed erano circa le 14,30. Sette minuti dopo, ha promosso altro analogo giro di opinioni agli astanti evidenziando, lei, il fatto sempre “inatteso” della “avanzata americana in Ucraina che rallenta”. Ed erano appena le 14,37. Era quindi la seconda volta che un qualche diavoletto maligno, forse di pavloviana memoria, faceva uscire il lemma aggettivante “americana” al posto di “russa”.

Si è di nuovo corretta stavolta quasi sbottando in una risatina: “Oggi ce l’ho con gli americani”. Già, oggi. E ieri? Su due lapsus freudiani quasi compulsivi, usciti in una trasmissione in diretta del servizio pubblico a una giornalista di quello spessore ed esperienza, ci si potrebbe ricamare per un bel po’. Senza però starla a fare troppo lunga, uno strizzacervelli sia pure di terz’ordine avrebbe forse puntato il dito – piuttosto che sul riflesso condizionato degli intellettuali di sinistra un tempo più o meno organici a essersi nel tempo abituati a un cattivo esercito “yankee” contrapposto, di volta in volta, a un eroico movimento resistente, possibilmente guerrigliero e comunista – sulla “nostalgia canaglia” dei “bei tempi”. Quelli in cui era pressoché automatico che fossero per l’appunto gli eserciti dei poco amati “yankee” a doversene tornare alla propria “home”. Lasciando naturalmente ai popoli terzomondisti, di volta in volta rappresentati da questo o quel movimento armato di “liberazione”, il sacrosanto diritto di autodeterminarsi, purché sotto il confortevole ombrello sovietico o maoista.

Adesso che a casa invece dovrebbero tornarsene i sia pur indegni eredi dell’Unione Sovietica, ecco affacciarsi come per incanto (grazie anche a quella parte del sistema parasimpatico che fa uscire parole e opinioni che “non si condividono”) in rapida successione i due affabili lapsus freudiani di cui sopra. È talmente dura da digerire l’idea che stavolta l’aggressore non sia americano – o magari, perché no, anche israeliano – che le parole giuste fanno fatica a uscire. La “nostalgia canaglia” di quei citati “bei tempi” non provoca un groppo in gola ma questi piccoli e teneri incidenti linguistici “di percorso”.

Aggiornato il 28 febbraio 2022 alle ore 10:05