Centrodestra ai raggi X: la sfida dell’autosufficienza energetica

E la barca (del centrodestra) va. Almeno dovrebbe, alla luce della sfilza di autogoal che il Partito Democratico sta accumulando. Sembra che la vocazione del maggior partito della sinistra sia quella di perdere la sfida elettorale. Non è tafazzismo. Enrico Letta e compagni sono troppo scaltri per immaginare che si vogliano fare male da soli. La verità è che stavolta vincere le elezioni significa beccarsi una patata bollente. Dal prossimo autunno a fare il premier c’è da rimetterci le penne. Ragione per la quale nessuno scommette più sulla vittoria del centrodestra, data per scontata il prossimo 25 settembre, ma si punta tutto su quanto e se resisteranno Giorgia Meloni e soci al timone della nazione durante la tempesta economica e sociale che sta per investire l’Italia. Non si tratta di gufare, ma di guardare in faccia la realtà.

Chi attende da anni che la democrazia in Italia sia ripristinata nella sua pienezza e che l’azione di Governo venga riannodata alla volontà sovrana dei cittadini deve potersi fidare del centrodestra. Come essere certi che la coalizione reggerà l’impatto della sfida di Governo? Stavolta l’album delle figurine Panini con le facce dei candidati-cooptati non serve a offrire rassicurazioni sulle qualità e sulle competenze della prossima classe politica. Quello che è stato definito dai media il bagno di sangue nella composizione delle liste elettorali non interessa agli italiani. Il “Rosatellum” ha negato loro il diritto di scegliersi i rappresentanti attraverso il meccanismo delle preferenze. Ora, perché mai dovrebbero disperarsi se quel tal candidato sia finito paracadutato in un collegio anziché in un altro o se invece sia stato bellamente “trombato”? È aritmetica della politica: cambiando l’ordine degli addendi, la somma della qualità dell’offerta non cambia.

A fare la differenza, invece, è il contenuto del programma con il quale le coalizioni si presentano al voto. Allo stato, tutto il materiale propagandistico circolante è carta straccia. I proponimenti dei singoli partiti, presenti nelle coalizioni, sono specchietti delle allodole enunciati a bella posta per attrarre i creduloni, che nell’ampio spettro dell’universo elettorale non mancano. Vale per tutti: per la sinistra, per la destra e per quei simpatici “nani da giardino” dell’isolotto calendiano-renziano. Giacché gli esiti al momento sono scontati, preoccupiamoci di cosa abbiano concordato gli alleati del centrodestra, perché sarà ciò su cui si fonderà l’azione di Governo tra sessanta giorni.

L’accordo quadro di programma a cui aderiscono Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e il rassemblement centrista di Noi Moderati, ha un titolo dal retrogusto patriottico: “Per l’Italia”. Il documento è articolato in 15 punti, a ognuno dei quali corrisponde una macroarea programmatica. Dalla collocazione dell’Italia sullo scenario internazionale allo sport, passando per l’ambiente, l’economia, la sicurezza, il lavoro e la difesa del Made in Italy, c’è tutto. Il testo è redatto in forma sintetica, 17 pagine copertina inclusa. Il che è un bene. Sarà pure una questione psicologica ma la sensazione di serietà trasmessa da un documento asciutto che sintetizza in punti ciò che si vuole dire non teme paragoni con i mattoni programmatici di cui il centrosinistra è notoriamente campione. E chi le dimentica le 278 pagine del capolavoro letterario “Per il bene dell’Italia”, programma di Governo della coalizione “L’Unione” di Romano Prodi alle elezioni del 2006?

Ma essere stringati non basta, occorre che ciò che viene scritto abbia un senso, una praticabilità e rappresenti una risposta adeguata alle istanze dell’elettorato. Si obietterà: un programma serve a innescare un processo riformatore che si dispiega sull’intero arco della legislatura. Vero. Tuttavia, l’eccezionalità della congiuntura che stiamo vivendo impone alle forze politiche che si candidano a guidare il Paese di fornire soluzioni immediate e stringenti a problemi che non possono attendere mesi o anni per essere risolti. È la ragione per la quale, nel passare al setaccio le carte programmatiche del centrodestra, proveremo a capire cosa sia destinato al “qui e ora” e cosa invece vada classificato alla voce “faremo”.

La domanda regina è: l’accordo quadro del centrodestra regge? Scopriamolo. Nella valutazione di un capitolo programmatico per volta non partiremo dall’ordine numerico dei punti dell’accordo quadro ma procederemo tenendo conto di quelle che gli italiani, stando ai sondaggi, ritengono siano le priorità da affrontare in autunno. Al primo posto troviamo le preoccupazioni per il caro-bollette. Ciò vale indistintamente per le imprese e per le famiglie. La ricetta del centrodestra compare al punto 11 dell’accordo quadro, al titolo “La sfida dell’autosufficienza energetica”. Cosa propone? In primis, transizione energetica sostenibile. Un’ovvietà, a meno che non si voglia considerare l’espressione una sorta di differenziazione dalla sinistra che, a parere del centrodestra, vorrebbe una transizione ecologica a prescindere dalla sua sostenibilità in termini di costi economici e di riflessi sociali e occupazionali. In tal caso, la sottolineatura ci sta. Poi, si vuole l’aumento della produzione di energia rinnovabile. Intento lodevole, ma vago. Non basta desiderare un mondo più pulito, bisogna spiegare come lo si ottiene. Si punta sul fotovoltaico installato a terra? Va bene, ma come la mettiamo con il consumo di suolo che tale fonte energetica richiede per raggiungere un’economia di scala?

Le previsioni dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) indicano “un importante aumento nei prossimi anni di questa tipologia di consumo, stimato in oltre 50mila ettari, circa 8 volte il consumo di suolo annuale. Ce lo possiamo permettere adesso che sul tavolo c’è anche il rafforzamento dell’autosufficienza alimentare? Si parla di pieno utilizzo delle risorse nazionali “anche attraverso la riattivazione e nuova realizzazione di pozzi di gas naturale” ma lo si farà in un’ottica di utilizzo sostenibile delle fonti. Cosa diamine significa? Il gas lo tiriamo su dal sottosuolo o no? Per essere sostenibile ne succhiamo solo un po’? Questa roba ce la dovete spiegare perché così com’è scritta è incomprensibile. È previsto un piano di efficientamento energetico. Bello, ma non è chiaro se lo Stato ci debba mettere altri denari dopo l’emorragia finanziaria causata dai bonus ad hoc erogati a pioggia dal Governo Conte bis. Si parla di “Sostegno alle politiche di price-cap a livello europeo”. Questo è politichese puro. Facciamo a capirci. Il price-cap è una regolazione imposta al prezzo del gas. Lo si vuole a livello europeo. Giusto. Ma che significa: sostegno alle politiche di…? Quel che capiamo è che nel centrodestra non c’è accordo a farsi capofila nel pretendere in sede europea l’assunzione di provvedimenti da economia di guerra visto che siamo stati catapultati, nostro malgrado, in uno stato di guerra. Così non funziona, bisogna essere più lineari se si vuole partire col piede giusto. Stesso dicasi per l’ultimo punto del capitolo dedicato alla sfida energetica: “Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito”. Ma come? I leader del centrodestra vanno in televisione a dire che occorre ripensare all’opzione del nucleare, la vendono come una cosa che, con loro al Governo, si farà dovesse cascare il mondo e poi, quando c’è da mettere nero su bianco, salta fuori un ambiguo “valutando anche…”. Ragazzi! Così non va. Questa è furbizia lessicale di basso conio. Nei piani del centrodestra, il nucleare di ultima generazione c’è o non c’è?

Il capitolo si chiude qui. Non un cenno su come il centrodestra intenda da subito abbattere strutturalmente, e non con interventi spot, la spirale dell’aumento incontrollato dei prezzi del gas e dell’energia elettrica. Cosa si pensa della tassazione sugli extraprofitti delle grandi imprese del comparto dell’energia? La si applica o no? Si fa come suggerisce Giulio Tremonti, azzerando l’imposizione fiscale sul costo del gas? Si riesce a scorporare il costo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello delle fonti fossili? Viene il sospetto che vi sia un non detto. Non è che per evitare la paralisi ancor prima di cominciare a governare il centrodestra vittorioso abbia in mente un maxi-scostamento di bilancio per pagare in deficit la speculazione sul costo dell’energia, nella speranza di pareggiare successivamente i conti convincendo i partner dell’Ue a una seconda edizione del Recovery interamente dedicata a ripianare la voragine provocata nei conti pubblici? Lo si dica chiaramente agli italiani. Cosa che, al momento, non è accaduta. Ora, sulla scorta di quanto abbiamo letto, e soprattutto di ciò che non vi abbiamo trovato, sul punto 11 dell’accordo quadro di programma il nostro voto è 5. Sotto la sufficienza.

Aggiornato il 25 agosto 2022 alle ore 09:43