Le metamorfosi della Repubblica: oltre il sistema kafkiano

Chi ha paura di esaltare “l’Identità” del popolo e della Nazione? Tutta la grande stampa nazionale di sinistra, senza alcun dubbio. Anche se, in questi ultimi tempi, il Corriere della Sera appare aver assunto un atteggiamento più neutrale e distaccato rispetto ad altre grandi testate nazionali, quali La Repubblica e La Stampa. La suddetta tendenza a una maggiore equidistanza è avvalorata dalle argomentazioni colte e raffinate di editorialisti di primissimo piano, come Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia e Antonio Polito, che hanno formulato un’aperta critica nei confronti delle politiche e della natura polimorfica, proteiforme e indistinta del Partito Democratico, che oggi si configura come una sorta di “Cosa” indecifrabile e una tela di ragno per catturare nel suo “campo largo” quante più vittime (politiche) possibili.

Anche in caso di vittoria (molto improbabile) del centrosinistra andrebbe ricordato che, storicamente, le coalizioni elettorali e poi di Governo tra le varie sfumature di rosso dei post e neo-comunisti non portano bene, ripercorrendo la vicenda del Prodi-I, che cadde nell’ottobre del 1997 per mano del suo sodale Fausto Bertinotti, a causa del suo rifiuto di approvare la legge Finanziaria dell’epoca. Qualcuno (Enrico Letta) dovrebbe per tempo spiegare ai suoi potenziali elettori perché stavolta, malgrado le dichiarazioni “programmatiche” di Nicola Fratoianni, le cose dovrebbero andare in futuro diversamente, essendo comunque il prossimo Esecutivo tenuto a rispettare gli impegni del Pnrr e della fantomatica Agenda Draghi (ma Mario Draghi ce l’ha?). A meno di una seria trattativa con l’Europa, come già dichiarato dalla stessa Giorgia Meloni, per un piano di rescheduling delle scadenze concordate, fortemente motivato dall’impennata dei costi delle materie prime e dell’energia, che rischiano di far andare deserte la stragrande maggioranza delle gare d’appalto, per la realizzazione dei progetti del Pnrr.

Vale la pena di ricordare che il Pd è, cronologicamente, l’ultimo successore di quel Partito Comunista italiano storicamente risparmiato dal ciclone giustizialista di Mani Pulite dei primissimi anni Novanta, che fece tabula rasa dei due partiti popolari, come Democrazia Cristiana e Partito Socialista italiano. E tutto ciò avvenne malgrado il Pci fosse obiettivamente molto più colpevole degli altri due, avendo rappresentato la conclamata ruota di scorta e la quinta colonna europea del marxismo-leninismo sovietico fino agli anni Settanta. E da allora sempre alla ricerca di una sua identità precisa, dopo la dissoluzione della Cortina di Ferro nel 1991. In realtà, vi fu una profonda coerenza in quel progetto di lasciare indenne il Pci, estromettendo tutti gli altri Partiti dalla subentrante Seconda Repubblica. Questo perché, in base a quanto osserva Galli della Loggia nel suo articolo “Le due gambe del Pd: partito del conflitto e dello Stato”, il Pci venne ribattezzato come un partito “speciale, unico custode delle pubbliche virtù, promosso di fatto al nobile ruolo di Partito serio e onesto “a prescindere”, di garante per vocazione delle istituzioni, si direbbe un vero e proprio partito dello Stato in servizio permanente effettivo sul quale ad esempio il Quirinale poteva e ha sempre potuto contare”.

Così, gli ex comunisti hanno potuto vivere di rendita dagli anni Novanta fino a oggi, prima grazie alla demonizzazione del berlusconismo e, poi, dopo il 2011, con la scusa del contrasto all’avanzata dei sovranismi e dei nazionalismi. Quindi, in buona sostanza, il Pd si è sentito investito delle funzioni storiche di argine ideologico al fascismo senza fascisti e di difensore maximo dello Stato-Istituzione, ritenendosi così autorizzato a permeare capillarmente, a ogni livello Governo, tutti i posti di comando da affidare ai propri fedelissimi. L’intervento di Galli della Loggia è particolarmente incisivo (a netto vantaggio del partito dei Conservatori italiani) su questa natura, come si è già detto, polimorfica, proteiforme e indistinta del Pd e della sinistra progressista, dato che la “Cosa” viene indicata come il grande imputato reo confesso dell’imminente, devastante sconfitta elettorale. Un fronte quello di sinistra, in buona sostanza, già completamente franato, ridottosi alla semplice invettiva antifascista. E che mostra tutta la sua arroganza e aggressività verso chi una casa politica integra ancora ce l’ha. Ma quel mandato storico ottenuto per via giudiziaria si è rivelato un’illusione, denuncia Galli della Loggia, data l’insostenibilità della pretesa del Pd di essere al contempo il partito dello Stato e delle Istituzioni, per un verso, e il partito del conflitto e del riformismo sociale sul versante opposto, fautore dei diritti sindacali e pioniere della lotta al privilegio. “Così come un’illusione si è rivelata l’idea togliattiana che a tenere assieme tutto e il contrario di tutto bastasse, come in passato, il continuo richiamo alla “Costituzione antifascista”, ambigua depositaria anch’essa di tutto e del contrario di tutto (…) È proprio per nascondere simili contraddizioni che allora bisogna ricorrere ogni volta al Fronte popolare: sperando che ci sia qualcuno che scambi Giorgia Meloni con Adolf Hitler”. Un pasticcio, come si vede, che è sotto gli occhi di tutti.

Al contrario del Corriere della Sera, negli editoriali di punta de La Repubblica e de La Stampa la strategia di delegittimazione della destra incontra il suo asintoto, che sposta all’infinito l’attenzione sulla persona e sulla storia della Meloni per allontanare allo stesso modo il vero nodo della questione sottostante. Ovvero: quei potenziali sette-otto milioni di cittadini che voteranno (in base a tutti i recenti sondaggi) per Fratelli d’Italia sono tutti “utili idioti” dei post-fascisti, o di fatto ne condividono legittimamente l’analisi delle criticità della società italiana contemporanea e il tipo di soluzioni politiche che il partito della Meloni si è impegnato a realizzare? E poi, quando alcuni importanti dirigenti del partito di FdI hanno ricoperto incarichi di rilievo all’interno dei passati governi di centrodestra, si sono forse comportati da post-fascisti, o da moderni amministratori della Res publica? Infine: le migliaia di proposte di legge firmate dai parlamentari di FdI, da quando gode di una rappresentanza autonoma in Parlamento, sono state forse caratterizzate da idee e matrici nostalgiche e post-fasciste?

Ma, forse, è ora di dirsi, come fa lo stesso Galli della Loggia nel suo articolo dal titolo “La storia d’Italia e le ombre del passato”, che l’Italia moderna del XX secolo è nata per una sua parte significativa dal succedersi e dal sovrapporsi di due populismi autentici, come il fascismo prima e il comunismo poi, per il riscatto delle masse: la piccola borghesia urbana e agraria, nel primo caso; il proletariato operaio, nel secondo. Laddove la centralità assegnata all’elemento popolare e al suo riscatto storico fu, rispettivamente, “trasfigurato nell’ideologia della Nazione, in un caso, e della Rivoluzione nell’altro”. Il più esplicito di tutti, tuttavia, nel denunciare il trucco della pozione magica avvelenata dell’antifascismo è l’insospettabile professor Giovanni Orsina, con il mini-saggio pubblicato da La Stampa, dal titolo “Ma io vi dico che l’antifascismo è ormai morto”. Nel suo intervento, Orsina pone al lettore una domanda epica: a chi spetta davvero stabilire che siamo di fronte a un ritorno del fascismo e come si definisce oggi quest’ultimo? La risposta è che un ampio fronte autodefinitosi “progressista” ha avocato a sé questo diritto, ma senza elaborare strumenti oggettivi e “scientifici” a sostegno, dilatando per di più il concetto ben oltre i suoi limiti e confini storici. Confondendo così, molto spesso, i simboli con i contenuti puntualmente inesistenti. E facendo persino coincidere l’antiberlusconismo con l’antifascismo.

Ma, invocare al lupo fascista a ogni piè sospinto, significa de-sensibilizzare la società bersaglio dall’accorgersi tempestivamente del suo ritorno. Tanto più che l’unico Governo in venti anni scelto dagli italiani è stato proprio quello di Silvio Berlusconi del 2008-2011, rivelatosi pienamente democratico e scevro da qualsiasi tentazione cesarista! Lo stesso Berlusconi che un decennio prima, nel 2001, aveva per la seconda volta stravinto le elezioni, malgrado il “vade-retro-Satana”, invocato da Umberto Eco con il suo invito al voto contro il centrodestra unito, al motto: “Referendum morale”. Fin troppo facile, così facendo, che l’elettore rimanga nauseato da questo antifascismo a scopo elettorale. Tanto più che da nessuna parte si sono visti prodromi di manifestazioni violente di piazza a fini politici e antidemocratici, per dare un alibi a eventuali denunce di derive totalitarie. Lasciamo, quindi, che – come giusto – siano gli elettori a dare il giudizio finale sull’esistenza di un “rischio fascista”. Affidiamo, cioè, la Storia alla storia. Il futuro, invece, è tutto da tracciare. Liberandosi, sia gli uni che gli altri, dai reciproci fantasmi del passato!

Aggiornato il 26 agosto 2022 alle ore 09:22