Crisi energetica: il coraggio di tornare indietro

I nostri ragionamenti sul quadro macroeconomico dell’Italia del 2023 postulavano uno scenario autunnale scosso da una crisi economico-sociale catastrofica, generata dall’impennata di un’inflazione anomala sviluppatasi sul fronte dell’offerta, anziché della domanda, a causa dall’aumento incontrollato del costo delle materie prime, a cominciare da quelle energetiche. Ci sbagliavamo: l’autunno è già qui. Il peggio sta accadendo ora e non c’è segno che la situazione possa migliorare a breve. Il premier Mario Draghi lo aveva intuito da tempo e per questo motivo ha brigato per tagliare la corda prima che gli eventi lo travolgessero. Ma ha commesso il nostro stesso errore valutando che il Paese avrebbe retto fino al momento della sua uscita di scena. Non è così. La speculazione finanziaria è saltata addosso alle economie dell’Unione europea e le sta divorando. La pavida Commissione europea, succube di quei poteri transnazionali che il professor Giulio Sapelli definisce “i poteri situazionali di fatto”, è pressoché inerme. Le cancellerie occidentali, a corto di soluzioni efficaci, si sono affidate alla giaculatoria contro il cattivo Vladimir Putin e la cattiva Russia, indicati come causa prima dei guai. Come se raccontarsi bugie servisse a nascondere gli errori commessi. Bisogna dirsi la verità: abbiamo sfidato il gigante russo e stiamo miseramente perdendo la partita.

Ora, lasciando da parte la polemica su chi sia stato ad accendere la miccia della crisi ucraina, dobbiamo prendere atto che la strategia delle sanzioni, realizzata per stroncare Mosca, ha messo in ginocchio noi. Oggi sono tutti smemorati, non ricordano come i leader europei si compiacessero, sei mesi orsono, del modello di blitzkrieg escogitato per mettere l’orso russo con le spalle al muro. Non si sono resi conto che provare a maneggiare una guerra-lampo, sebbene soltanto economica, porta una sfiga pazzesca. Seppure a denti stretti, anche i grandi giornali dell’Occidente cominciano ad ammetterlo. Scrive l’Economist: “Sino ad ora la guerra delle sanzioni non sta andando come previsto”. L’offensiva finanziaria aveva come obiettivo abbattere il Prodotto interno lordo russo del 15 per cento nel 2022. Il Fondo monetario internazionale, invece, stima che la riduzione sarà del 6 per cento. Ed è una previsione ottimistica per gli occidentali. Si ipotizzava che la drastica interruzione degli scambi commerciali portasse la Russia alla fame, invece a Mosca e a San Pietroburgo si vedono ristoranti e bar affollati, oltre a negozi di alimentari ben forniti. Nessuno ha messo in conto la capacità della Cina di sostituirsi agli europei nel partenariato commerciale con Mosca. E, ciò che è peggio, nessuno ha calcolato che la spirale dell’aumento dei prezzi del gas, innescata dalla speculazione, avrebbe avvantaggiato il fornitore russo. Che strepitoso risultato!

Mentre nel resto del Vecchio Continente la crisi energetica sta scatenando la recessione, in Russia, con il prezzo del gas oltre i 300 euro a megawattora, è previsto un surplus commerciale di 265 miliardi di dollari. Si è contato sul crollo valutario del rublo che, di riflesso, avrebbe dovuto generare una crisi occupazionale senza precedenti. Invece, il Washington Post ci informa: “L’iniziale calo di valore del rublo si è rapidamente invertito, dopo che lo Stato ha limitato le transazioni valutarie e dopo che le importazioni della Russia sono crollate, calmando i timori del pubblico su una crisi valutaria. La disoccupazione, poi, non è aumentata in modo evidente”. Siamo al paradosso: prima erano gli occidentali a minacciare l’interruzione degli acquisti di gas da Mosca, adesso è il Cremlino a tenere la mano sul rubinetto del gas, pronto a chiuderlo definitivamente. Se ciò accadesse, per l’Italia sarebbe il disastro.

Gli economisti del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), in caso di stop totale del gas russo, stimano un impatto sul Pil del nostro Paese intorno al 2,5 per cento. La salita incontrastata del prezzo dell’energia, per Confcommercio, comporta la chiusura di 120mila aziende del terziario e la perdita di 370mila posti di lavoro. Fa male anche al comparto dell’industria manufatturiera. Secondo i dati dell’Inps relativi al periodo gennaio-luglio, la Cigs (Cassa integrazione guadagni straordinaria) è a + 45,65 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021, interessando soprattutto industria (+35,81 per cento) ed edilizia (+34,88 per cento). La previsione dell’Istituto previdenziale per il post-Ferragosto è che il ricorso prolungato all’ammortizzatore sociale sarà una necessità per le imprese particolarmente esposte al combinato disposto dell’impennata del costo delle materie prime e dell’innesco della spirale inflazionistica. Non vi è dubbio che, alla distanza, le sanzioni potrebbero sortire effetti sugli andamenti dell’economia russa. Ma la triste verità è che tutto ciò forse accadrà domani, dopodomani, o a data da destinarsi mentre alle nostre comunità il peggio sta accadendo ora.

E la politica italiana? Esibisce, suo malgrado, tutta la sua inanità. Siamo nel pieno della campagna elettorale e assistiamo alla patetica fiera dei “pannicelli caldi”, alla quale nessun partito o leader si sottrae. Tutti invocano l’intervento dell’Unione europea, perché imponga un tetto al prezzo del gas fingendo d’ignorare che, nei mesi passati, Bruxelles non ha mosso un dito per evitare la catastrofe. É la solita storia, vecchia quanto il mondo, che parla di governanti incapaci e corrotti e di masse umane carne da cannone. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Peccato che stavolta i saguntini siamo noi. Vi sono Paesi dell’Unione che stanno guadagnando fortune grazie alla speculazione finanziaria, perciò è prevedibile che a Bruxelles di tetti al prezzo del gas non se ne farà niente, a meno che non decida la Germania che per l’Unione sia giunto il momento d’intervenire. Comunque si dovrà attendere il 9 settembre il Consiglio straordinario dei ministri europei dell’energia per sperare che l’Unione europea ritrovi nella solidarietà tra i Paesi membri la ragion d’essere dello stare insieme. I nostri politici, per fare cassa elettorale, si accontenterebbero di sganciare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, come si ostina a chiedere il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Quest’ultimo propone al Governo di garantire all’industria manifatturiera una quota nazionale di produzione da fonti rinnovabili a costo amministrato. Gli imprenditori premono su Mario Draghi perché il Governo italiano, motu proprio, fissi un tetto nazionale al prezzo del gas. Il Governo nicchia. Sa che è una strada colma d’insidie. Con la fame di gas che c’è in Europa, una stretta sui prezzi imposta da Roma spingerebbe i fornitori a spostarsi su mercati più redditizi. Matteo Salvini invoca uno scostamento di bilancio di 30/40 miliardi di euro per fare fronte alla differenza tra la quota di prezzo del gas sostenibile per imprese e famiglie e il prezzo di mercato. Sarebbe altro debito pubblico che, se difficilmente sopportabile come spesa spot, è follia immaginare di replicarlo periodicamente in base alle oscillazioni del prezzo di mercato. Come se poi il problema riguardasse solo il gas e non le altre materie prime. Secondo Coldiretti, l’impennata dei prezzi dei beni alimentari provoca il rischio fame per 2,6 milioni di italiani. Ecco perché di pannicelli caldi non sappiamo cosa farne.

Serve un drastico cambio di strategia che ci tiri fuori dall’abisso in cui siamo precipitati. La soluzione accarezzata da questi governanti inetti e miopi? Il razionamento. Un bel modo di chiudere in bellezza settant’anni di storia di un’economia nazionale prospera e coraggiosa che ha dato al Paese riscatto sociale, progresso tecnologico e benessere diffuso. Perché, non pendiamoci in giro, razionare l’energia alle imprese equivale a una condanna a morte dell’apparato produttivo. Tra meno di un mese avremo un nuovo Parlamento. Occorrerà molto coraggio ai nuovi eletti perché prendano l’unica decisione utile a salvare il salvabile: revocare le sanzioni alla Russia e ritornare al tavolo negoziale per trattare un accordo di pacifica coesistenza con il gigante eurasiatico. Le guerre si possono fare a patto, però, che una precondizione venga rispettata: si combatte quando si hanno i mezzi e le risorse per farlo. In mancanza, si cercano strade alternative. Mario Draghi, negli anni alla Banca centrale europea, e poi nei mesi alla guida del Governo italiano, è stato paragonato a grandi figure del passato. Il fatto non deve scandalizzare, certi rimandi alla storia sono inevitabili quando si valuta l’opera di uno statista. Per il comportamento arrogante tenuto sulla crisi ucraina, anche a noi Mario Draghi ricorda qualcuno, segnatamente Benito Mussolini e il suo tracotante “spezzeremo le reni alla Grecia”. Quella buffonata sappiamo com’è finita. E questa come finirà? Purtroppo, lo stiamo scoprendo a nostre spese.

Aggiornato il 30 agosto 2022 alle ore 09:23