La Repubblica di TikTok (Tac)

Imbarazzante. È l’unica parola che ci viene in mente osservando lo spettacolo desolante della politica che invade TikTok nel goffo tentativo di raccattare qualche voto.

È un’invasione in piena regola ad opera di un branco di immigrati clandestini provenienti dal Parlamento che, attraverso la rete, sbarcano sul social più amato dai giovanissimi pensando di plagiarli con quattro manfrine o addirittura di insegnar loro con arroganza come si campa. E lo fanno con degli arnesi retorici talmente vecchi da ricordare molto, sempre a proposito di immigrati, l’abbigliamento dei poveri cristi che negli anni Novanta sbarcavano in Italia dalle ex colonie sovietiche con tagli di capelli improbabili e pantaloni a zampa.

Uno spettacolo pietoso che, al netto dell’aspetto comico, mette in evidenza qualcosa di drammatico: la nostra classe dirigente, mai come in questo momento, dei giovani non sa nulla, nemmeno quali siano le argomentazioni opportune per entrarci in contatto. Però ha l’ardire di intrufolarsi con protervia con la pretesa di essere adulata e ascoltata prima di ascoltare.

Una volta i partiti avevano nei movimenti giovanili un formidabile punto di ascolto (oltre che un prezioso vivaio) in grado di evitare lo scollamento con la società. I movimenti giovanili contavano molto nelle organizzazioni politiche mentre oggi sono, nella maggior parte dei casi, poco più di uno sfogatoio per portatori di acqua che puntualmente si vedono scavalcare dalle solite vecchie carampane che, ove impossibilitate, prenotano lo scranno per amici e parenti manco fosse un tabacchino che si tramanda di padre in figlio.

E così, goffi come un elefante in una cristalleria, i politici si sono presentati – nell’ilarità generale – su TikTok: qualcuno ha anche suggerito di cambiare il nome (tik-tok-tak) mentre altri, se solo avessero saputo, si sarebbero anche umiliati a parlare in corsivo pur di prendere qualche voto. Tutti hanno bofonchiato quattro puttanate in stato di visibile imbarazzo perché poi alla fine dei giovani non gliene frega una cippalippa. E allora via con le frasi fatte sulla formazione, sul bisogno di lavoro, sull’accesso alla prima casa e via blaterando. Sarebbe bello se questi marziani provenienti dal Parlamento comprendessero quanto ai giovani interessi conciliare la vita privata con il lavoro (la migliore forma di welfare con buona pace delle mancette), mettersi in proprio potendo contare su un sistema infrastrutturale (fiscale e creditizio) degno di questo nome, partecipare a una vita pubblica non incrostata dalle solite lobby, sfruttare al massimo le nuove tecnologie per uscire dalle logiche ottocentesche e fordiste, avere metropoli sicure e funzionanti, avere pari opportunità e libertà di esprimere i propri talenti nell’ambito di un sistema meritocratico. Se solo la politica comprendesse tutto ciò, arguirebbe che il problema dei giovani è la politica stessa, zeppa di vecchi tromboni, giovani incompetenti, nani, ballerine e trasformisti.

Aggiornato il 05 settembre 2022 alle ore 09:52