Giustizia, la grande assente della campagna elettorale

C’è una grande assente in questa campagna elettorale che ci porterà al voto del 25 settembre: la giustizia. Pandemie, guerre e recessioni hanno spostato questo tema sullo sfondo delle priorità percepite dai cittadini (o dai mezzi d’informazione?) in questo scorcio di millennio. Eppure, sarebbe il caso di fare uno sforzo per riportare la questione al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica.

Dopo l’esplosione del “caso Palamara”, per qualche mese, è sembrato che il tema potesse ritrovare una propria centralità nel dibattito politico. Ma è stato un fuoco di paglia. La vicenda è stata velocemente derubricata a “caso isolato”, l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati è stato sacrificato sull’altare dell’opinione pubblica, qualche magistrato se l’è vista brutta per un paio di settimane, ma poi tutto è tornato come prima. Nel silenzio (con qualche, isolata eccezione) di intellettuali e mezzi di informazione. Tanto che i referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali (castrati, non a caso, di quello relativo alla responsabilità civile diretta dei magistrati) sono praticamente passati sotto silenzio.

È forse vero che il tema della giustizia o quello delle carceri non portano voti, ma è anche vero che il grado di civiltà di una nazione si misura soprattutto in base al proprio sistema giudiziario (e penitenziario). Ce ne siamo accorti immediatamente dopo Tangentopoli, quando la giustizia è stata utilizzata – da una parte della magistratura e dai suoi referenti politici – come arma contundente per arrivare dove i normali strumenti della democrazia non riuscivano ad arrivare. Per distruggere un’intera classe politica (soliti noti a parte) e per innescare una fase storica di dissennato giustizialismo i cui effetti ancora affliggono la nostra martoriata nazione.

Ne scrisse, nel lontano 1996, il nostro compianto direttore Arturo Diaconale in “Tecnica postmoderna del colpo di Stato: magistrati e giornalisti”, nel quale l’operazione fu disvelata in tutto il suo cinismo e in tutta la sua pericolosità per la tenuta del sistema democratico. Eppure, dopo un quarto di secolo, siamo ancora alla prima casella di questo estenuante gioco dell’oca: la giustizia viene ancora utilizzata a scopi politici; il sistema carcerario è sull’orlo del collasso; la nostra povera Italia (una volta culla della civiltà giuridica) è ostaggio di una guerra tra bande, fuori e dentro la magistratura.

Il risultato più evidente è che gli italiani sono terrorizzati dal “sistema giustizia”, che può impiegare più di un decennio per arrivare alla conclusione di un iter processuale. Senza nessuna garanzia che questa via crucis porti, concretamente, a un risultato in grado di “garantire” i diritti degli imputati o quelli delle vittime.

Ecco perché L’Opinione delle Libertà, a partire da ieri, darà vita ogni settimana a un numerospeciale” sulla giustizia e sulle carceri che si occuperà di temi che non sembrano più essere in grado di solleticare l’interesse dei cittadini, ormai anestetizzati dalla notte grigia del “Gattopardo”, in cui tutto cambia affinché nulla cambi. Ma andare “controcorrente” non ci spaventa: lo dobbiamo alla nostra storia, alle nostre idee e al futuro dei nostri figli.

Aggiornato il 12 luglio 2023 alle ore 13:34