Ue: la pacchia è finita

Ci sono parole che, ad ascoltarle, fanno bene al cuore. Vi sono pensieri che i leader politici debbono esprimere perché glielo chiede il proprio popolo. Giorgia Meloni alcune di quelle parole le ha dette e noi siamo felicissimi che lo abbia fatto. È accaduto di recente, all’affollato comizio della presidente di Fratelli d’Italia la scorsa domenica in Piazza Duomo, a Milano. Argomento: la sinistra insinua che a Bruxelles siano preoccupati per una vittoria del centrodestra il prossimo 25 settembre. La Meloni ha risposto: “In Europa sono tutti preoccupati per la Meloni al Governo e dicono: cosa succederà? Ve lo dico io cosa succederà, che è finita la pacchia e anche l’Italia si metterà a difendere i propri interessi nazionali come fanno gli altri, cercando poi delle soluzioni comuni”.

Era ora che qualcuno trovasse il coraggio di dire pubblicamente ciò che milioni di italiani pensano circa il modo inaccettabile con il quale le istituzioni comunitarie si approcciano al nostro Paese. Per anni la destra si è sentita accusare di antieuropeismo per il solo fatto di manifestare un disagio per gli atteggiamenti arroganti avuti dai leader dei cosiddetti Paesi forti dell’Unione. Per anni, a Bruxelles come nelle principali capitali europee, hanno lavorato per fregare l’Italia e noi siano rimasti a guardare, silenti e arrendevoli, solo perché chi ci governava (il centrosinistra) lo faceva mostrando un ignobile servilismo verso lo straniero. Non abbiamo dimenticato ciò che la Francia di Nicolas Sarkozy ha fatto, nel 2011, con il colpo di mano in Libia consumato con il preciso obiettivo di ledere gli interessi economici e strategici italiani nel Mediterraneo. Né dimentichiamo l’assalto, nella maledetta estate dello stesso anno, ai titoli del debito pubblico italiano, partito dalle banche tedesche su input del Governo della signora Angela Merkel. A parole si sono sempre dichiarati amici dell’Italia, salvo poi fare a gara a pugnalarci alle spalle.

Non abbiamo dimenticato il male che l’Europa ci ha procurato lasciandoci da soli a fronteggiare l’invasione degli immigrati clandestini dalle coste del Nordafrica. Bruxelles, con la complicità del Governo di Matteo Renzi, ha anche provato a comprarci per pochi spiccioli perché – mediante la sciagurata operazioneTriton” – trasformassimo da noi stessi l’Italia nel più affollato hotspot del mondo. Non abbiamo dimenticato la pretesa di portarci via i pezzi migliori del nostro apparato produttivo e, nello stesso tempo, la chiusura a riccio praticata quando un’azienda italiana ha cercato di farsi spazio in casa d’altri in Europa. Le barricate issate dall’Eliseo per impedire a Fincantieri di rilevare i bacini di carenaggio di proprietà della Stx France a Saint-Nazaire in riva alla Loira continuano a tornarci alla memoria. Per non parlare del trattamento riservato da Bruxelles al comparto della pesca italiana e, in generale, alle produzioni del “made in Italy”, in particolare dell’agroalimentare. Ancora oggi tocca combattere contro l’introduzione del sistema d’etichettatura europea dei prodotti alimentari Nutriscore. Praticamente, una pistola puntata alla tempia dei produttori italiani. Ci siamo legati al dito gli insulti ricevuti. Come quando, nel 2017, l’allora presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, disse in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) che i Paesi meridionali dell’Eurozona, e prima tra questi l’Italia, spendevano i soldi europei per alcool e donne.

La solidarietà comunitaria? Una farsa. Dov’erano i “fratelli” europei quando l’Italia, da sola, ha dovuto subire il trattamento oltraggioso del Governo indiano nella vicenda dei nostri militari, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone? I due marò, imbarcati come militari di scorta sulla nave Enrica Lexie, il 15 febbraio 2012 furono illegittimamente arrestati dalla polizia indiana con l’accusa (falsa) di aver provocato la morte di due pescatori. Quel calvario durato anni, tra l’indifferenza dei sodali europei e il fastidio della sinistra nostrana nemica giurata di qualsiasi cosa si accosti all’idea di patria, è stato soltanto italiano.

Per tacere poi di ciò che accade oggi: lo spettacolo indecente che l’Unione europea sta offrendo con la vicenda della guerra russo-ucraina. Ci hanno costretto dal 2014 ad adottare contro Mosca il pugno duro delle sanzioni economiche, ben consapevoli che la reazione russa avrebbe colpito alcuni Paesi membri della Ue più di altri. Noi abbiamo ubbidito in nome dei supremi valori dell’europeismo e dell’atlantismo. Tuttavia, l’Italia tra gli Stati europei è quella che sta pagando il prezzo più alto. Logica avrebbe voluto che in sede comunitaria scattasse una gara di solidarietà tra gli Stati membri per sostenere i danneggiati. Invece, si sta verificando l’esatto contrario: il trionfo del becero egoismo nazionalista di cui sono campioni i più devoti assertori del finto europeismo. Preveniamo l’obiezione: l’Europa ci ha aiutato finanziando con una montagna di quattrini il Piano nazionale di ripresa e resilienza per portare l’Italia fuori dalla crisi scatenata dalla pandemia. Occhio, che non è così che stanno le cose. Qui nessuno regala niente a nessuno. Spiegarlo adesso sarebbe molto complicato. Perciò, fidatevi sulla parola: ci sono altri soggetti nazionali che ci guadagnano dai denari imprestati all’Italia.

Per chi è di destra l’Unione europea era un sogno, ma si è trasformata in un incubo. Come è stato possibile? La risposta è semplice: in questa lunga stagione siamo stati governati da forze politiche di sinistra che scientemente hanno perseguito l’obiettivo di fare dell’Italia una sorta di discount per gli interessi stranieri. Questo è propriamente l’europeismo come lo intendono dalle parti del Nazareno e le sue formazioni ancillari del tipo +Europa di Emma Bonino. Oggi, però, una leader di centrodestra ci comunica che tutto questo può cambiare. Il nostro Paese può imboccare un’altra strada per stare in Europa, che passa dalla difesa dell’interesse nazionale. Nutrire questo legittimo auspicio ci rende meno europeisti? Assolutamente no. La storia che la destra sia contro l’Europa è una balla colossale. Va bene tutto quando c’è campagna elettorale, ma la mistificazione che la sinistra fa sul tema dell’europeismo è disgustosa.

E l’adesione di Giorgia Meloni ai principi dell’Unione europea e dell’atlantismo? Non può essere messa in dubbio. La leader di Fratelli d’Italia proviene dalla tradizione del Movimento Sociale italiano, che nella sua storia ha coltivato un europeismo ante litteram. Tralasciando le aspirazioni dei giovani missini alla costruzione dell’“Europa nazione”, è una verità incontrovertibile che la destra italiana, fin dagli anni immediatamente successivi alla fine del Secondo conflitto mondiale, fosse orientata alla costruzione di una realtà interstatuale continentale che bilanciasse la potenza sovietica radicata a Est. Per la memoria: nel 1957, mentre il Partito Comunista italiano votata contro la ratifica del Trattato di Roma, costitutivo del Mercato comune europeo (Mec), il Movimento Sociale italiano, guidato da Arturo Michelini, si esprimeva a favore. Altrettanto accadde nel 1978, in occasione dell’adesione italiana al Sistema monetario europeo (Sme), quando a guidare il partito della Fiamma tricolore era Giorgio Almirante. I dubbi sul modello d’integrazione europea sorgono a destra con l’avvento della globalizzazione. Le preoccupazioni per l’insorgere di problemi sociali e di nuove disparità a livello comunitario, originati da una precipitosa cessione di sovranità a organismi burocratici sovranazionali, sono alla base dell’articolata opposizione missina alla ratifica del Trattato di Maastricht.

Le motivazioni del cambio di strategia rispetto al processo d’integrazione europea sono spiegate da Maurizio Gasparri in un articolo pubblicato da Il Secolo d’Italia l’8 dicembre 1992. Scrive Gasparri: “In troppe occasioni la retorica europeista, ben diversa da un’organica Europa delle patrie (…) sia servita da alibi, nel caso italiano, ad una classe dirigente che non ha saputo difendere l’identità e l’indipendenza della nostra nazione”. Ebbene, Giorgia Meloni politicamente nasce e matura all’interno di questo solco valoriale. Si tratta di un diverso europeismo, vissuto nel tempo dalle generazioni di destra. Parliamo di uomini e donne che hanno ritrovato il loro orizzonte di senso in un romanticismo europeista maggiormente incline alla spiritualità che al crudo materialismo economicista. L’europeismo di Giorgia Meloni, che è anche il nostro, cammina di pari passo con il diritto-dovere di difendere e sostenere nell’ambito comunitario l’interesse nazionale. Ciò genera mal di pancia a sinistra, come in qualche ufficio a Bruxelles? Se ne facciano tutti una ragione, perché se arriva Giorgia la pacchia è finita.

Aggiornato il 15 settembre 2022 alle ore 09:44