Casamicciola: piove sul bagnato

mercoledì 30 novembre 2022


Attribuire colpe a chicchessia per le conseguenze di un cataclisma, quando la ricerca delle vittime è ancora in corso, è inopportuno. Sarebbe più salutare tacere e attendere tempi migliori, prima di imbarcarsi in fumose discussioni su possibili responsabili da colpire con l’implacabile scure della giustizia. È un invito rivolto a tutti, media compresi, perché castronerie e giudizi sommari non aiutano la causa della verità. La frana che ha colpito il Comune di Casamicciola Terme, sull’isola d’Ischia, ha cause complesse la cui individuazione non può essere affidata alla “tuttologia” di coloro che nel volgere di alcuni mesi si sono presentati all’opinione pubblica prima da esperti virologi, per dire la loro sul Covid, poi si sono trasformati in strateghi militari, pur di pontificare sulla guerra russo-ucraina. E oggi, con immutata sicumera, strologano da consumati idrogeologi sulle cause della frana.

Un po’ di senso del pudore, no? Neanche il tempo di capire cosa fosse accaduto, che gli “esperti” mediatici hanno puntato il dito contro l’abusivismo edilizio di cui l’isola flegrea è vittima. Ora, che il problema esista non v’è dubbio. Stavolta, però, l’abusivismo non c’entra. Almeno non è la causa diretta della frana che si è generata dal crollo di un costone del Monte Epomeo, alla quota di 700 metri, dove case e manufatti umani non ci sono. I morti vi sono stati perché la valanga d’acqua, massi e fango nella sua corsa verso il basso ha travolto delle abitazioni. La domanda è: quelle case potevano stare lì o erano abusive? Prima di sparare sentenze, occorrerebbe consultare gli atti in possesso delle autorità comunali per verificare se le licenze edilizie fossero state concesse o meno. Bisognerebbe accertare se sulle costruzioni pendessero istanze di condono e se le medesime fossero ubicate nella cosiddetta “zona rossa”, cioè a più elevato rischio sismico e idrogeologico.

Ribadiamo: erano o no in zona rossa? In effetti, lo si scopre consultando la piantina allegata all’ordinanza comunale numero 102 del 5 febbraio 2018 che definisce la nuova perimetrazione della “zona rossa” del Comune di Casamicciola Terme, rielaborata in seguito agli eventi sismici del 2017. Per non tirare a indovinare, c’è un responsabile della procedura, che l’ordinanza comunale individua nel capo dell’Area tecnica del Comune di Casamicciola Terme, a cui chiedere per avere la risposta giusta. Capirete bene che non è irrilevante stabilire se le case sepolte dal fango fossero a norma con i regolamenti edilizi e se, quindi, fossero fuori dalla famigerata zona rossa. In caso affermativo, la critica sguaiata di queste ore avrebbe sbagliato bersaglio. A ingarbugliare la matassa è intervenuto l’ex premier Giuseppe Conte, che con sorprendente vigliaccheria ha tentato di allontanare da sé ogni responsabilità per l’emanazione del decreto legge del 28 settembre 2018, numero 109, meglio noto come “Decreto per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova”. Il provvedimento prevede, al capo III, “Interventi nei territori dei Comuni di Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell’Isola di Ischia interessati dagli eventi sismici verificatisi il giorno 21 agosto 2017”. In particolare, i fari dei media sono stati puntati sul contenuto dell’articolo 25 del decreto, poi convertito in legge, che reca in rubrica “Definizione delle procedure di condono”. Apriti cielo! Qualcuno avrebbe detto: ma che c’azzecca Ischia con la ricostruzione del ponte caduto a Genova? Nulla. Gli opinionisti da bar dello Sport ci sono andati a nozze: trovato il colpevole dei morti della frana ischitana. È lui, Giuseppe Conte, il responsabile dell’odierna tragedia, avendo consentito, a esclusivo beneficio degli ischitani dei Comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno, di riaprire di fatto i termini del condono edilizio tombale del 1985.

Quale gigantesca idiozia! Per quanto del signor Conte, capo dei Cinque Stelle, pensiamo tutto il male possibile, questa volta non sarebbe leale gettargli la croce addosso, anche se lui con il pusillanime tentativo di svignarsela ha fatto di tutto per apparire colpevole. In primo luogo, quella norma – surrettiziamente introdotta in un decreto d’urgenza riguardante tutt’altra vicenda – fu un escamotage della politica per dare risposta a un problema concreto che, se non risolto tempestivamente, avrebbe tagliato fuori dal pacchetto di aiuti – stanziati dal Governo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 2017 – la stragrande maggioranza delle abitazioni private e delle strutture imprenditoriali presenti nel Comune di Casamicciola. Il provvedimento comprensivo del contestato articolo 25 fu approvato da tutto il Movimento Cinque Stelle, con qualche insignificante eccezione. E non solo. Ebbe il voto della Lega che, in sede regionale, aveva combattuto la battaglia per l’applicazione delle norme sul condono edilizio del 2003, non riconosciuto in Campania dall’allora Giunta regionale guidata da Antonio Bassolino. Sulla stessa posizione si schierarono Forza Italia e Fratelli d’Italia. Unica forza a opporsi fu il Partito Democratico, tenuto a difendere la decisione di Antonio Bassolino.

Ma l’abusivismo a Ischia si rappresenta alla stregua di una matrioska. Esiste una singolarità isolana che s’inserisce in una più ampia specificità campana che, a sua volta, s’inquadra nella generalità del fenomeno nazionale. L’abnorme presenza di domande di condono su un territorio delimitato, quale quello dell’isola d’Ischia, rispecchia la volontà degli isolani di sentirsi padroni della loro terra, anche a dispetto delle normative che imporrebbero vincoli stringenti all’esercizio del diritto alla proprietà privata. Chi conosce la psicologia dell’isolano, sa che la percezione che gli ischitani hanno dell’istituto del condono edilizio è l’opposto della realtà: l’atto sanatorio non è vissuto come un’occasione straordinaria per mettersi in regola con le normative vigenti. Al contrario, è inteso come l’opportunità che lo Stato concede a se stesso di riconciliarsi con la legittima pretesa degli ischitani di godere, pienamente, di ciò che gli appartiene in via esclusiva per diritto di nascita. La ragione dell’esasperata lentezza nell’evadere le istanze di condono non va ascritta alla burocrazia, ma alla necessità di garantire l’equilibrio tra gli interessi degli isolani, i doveri delle istituzioni pubbliche e la cogenza delle norme dell’ordinamento giuridico. Ne è prova la difficoltà nel procedere alla ricostruzione dopo il sisma del 2017, non per la farraginosità della Pubblica amministrazione ma per la pretesa dei danneggiati dal terremoto di non subire alcuna delocalizzazione e di poter ricostruire le abitazioni distrutte esattamente dov’erano situate prima dell’evento catastrofico, indipendentemente dal fatto che quelle aree fossero insicure.

Come mostrano le immagini, le case travolte non erano baracche abusive coperte da lamiere ma abitazioni di pregio, il cui valore di mercato è decuplicato dalla presenza di un panorama tra i più belli al mondo. Gli ischitani lo sanno da sempre e per questo si oppongono con ogni mezzo al cambiamento dello status quo, anche se ciò dovesse comportare un rischio mortale. Un imprenditore isolano della logistica, in auge alcuni decenni orsono, era solito affermare che, nascendo a Ischia, si diventava di diritto azionista di una grande spa. Aveva ragione. L’economia del luogo ha funzionato secondo logiche del tutto avulse da quelle che governano l’economia nazionale. È stato giusto consentire che si coltivasse un sentimento di separazione dal contesto nazionale così forte? No, e la politica ha le sue colpe. Avere assecondato nel tempo la natura monotematica dell’economia isolana, totalmente vocata al comparto turistico e al suo indotto, ha creato i presupposti perché i fenomeni catastrofici potessero abbattersi sulla popolazione. Il vero colpevole della frana dei giorni scorsi è rappresentato dall’incuria riservata alle terre alte dell’isola. La necessità di cristallizzare, come in un’oleografia ottocentesca, la natura selvatica dei luoghi, per accrescere il fascino esotico dell’isola, ha distolto le istituzioni pubbliche dal dovere di garantire la pulizia continua del sottobosco, la sistemazione degli alvei, la creazione di vasche d’espansione per contenere le acque pluviali e di canaloni per consentirne il regolare deflusso verso il mare. La necessità di intensificare l’urbanizzazione delle zone costiere dell’isola ha tolto spazio ai rii e ai ruscelli, funzionali alla decongestione della montagna. Più grave ancora è stata la scelta di abbandonare l’agricoltura collinare che, se tempestivamente pianificata e sviluppata, avrebbe offerto maggiori possibilità di cura e di governo al territorio.

Ora, padronissimi gli ischitani di rischiare le proprie esistenze e quelle dei loro figli per continuare a vivere a modo loro. Ma se volessero cambiare verso, pensando meno a cosa mettere a reddito per fare denari e riflettendo più sul dotarsi di una solida tranquillità esistenziale, riprovino a fare ciò che portavano avanti i loro avi, coltivando la terra e manutenendo i terreni incolti. Potranno maggiormente godere di buon vino e di buona frutta. E temere meno la furia devastatrice delle acque alluvionali.


di Cristofaro Sola