La rappresaglia si attua nei confronti dei cittadini di uno Stato nemico

Giorgia Meloni promossa in Diritto Internazionale

Ieri in occasione della commemorazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine una frase del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in ricordo delle vittime ha scatenato le critiche delle opposizioni e di molte associazioni.

In particolare è stata contestata l’affermazione secondo cui le 335 vittime della rappresaglia nazista a seguito dell’attentato di via Rasella sono state massacrate solo perché italiane e non perché antifasciste.

La rappresaglia è una cosa brutta e per definizione è un’azione di autotutela effettuata da uno Stato contro un altro Stato in risposta ad un atto illecito altrettanto brutto.

All’epoca della Seconda guerra mondiale essa non era espressamente regolamentata dal Diritto internazionale, ma le stragi di civili commesse da ogni esercito in forza di quel principio hanno portato le successive Convenzioni di Ginevra a vietarla inequivocabilmente.

Più esplicito vigeva il divieto quando la rappresaglia configurava un’azione militare punitiva posta in essere da una forza occupante ai danni della popolazione civile della regione occupata ma anche per questa accezione il processo di Norimberga affermò che “le misure di rappresaglia in guerra erano atti che anche se illegali si verificavano in quanto l’avversario si era a sua volta comportato in maniera illegale compiendo azioni di sabotaggio e di terrorismo”.

Erich Priebke infatti scampò alla condanna di Norimberga, ma fortunatamente non a quella della giustizia italiana per aver giustiziato più persone di quante la proporzione della rappresaglia consentisse.

Di fatto le consuetudini di guerra tolleravano l’arresto collettivo di ostaggi quando le circostanze non consentivano la rapida individuazione degli autori di un fatto criminoso, ma le misure di ritorsione dovevano tener conto della proporzionalità rispetto al fatto illecito commesso.

Per quanto riguarda i criteri di scelta degli ostaggi le rappresaglie acquistavano forza particolare soprattutto quando venivano colpite persone innocenti e se è vero che le vittime venivano prioritariamente ricercate nell’ambito dei gruppi presumibilmente autori dei fatti incriminati, nel caso di via Rasella man mano che cresceva il numero dei soldati tedeschi morti a seguito dell’attentato contestualmente aumentavano le difficoltà a individuare le persone da giustiziare.

È così che la lista degli iniziali 280 condannati a morte – principalmente ebrei, carabinieri, oppositori del regime corrispondenti per una spietata proporzione di 1 a 10 agli iniziali 28 militari tedeschi deceduti – si ampliò a 335 a seguito della morte di altri soldati e gli ostaggi mancanti furono tratti dalle carceri tra i detenuti comuni, senza una precisa connotazione politica.

L’affermazione del premier Giorgia Meloni è, pertanto, inappuntabile anche perché la rappresaglia in tanti altri casi si è rivolta contro cittadini inermi e inconsapevoli, solo perché appartenenti allo Stato divenuto nemico.

Un esempio era stato dato poco tempo prima, il 23 settembre 1943, a Palidoro, quando a seguito dell’esplosione di un ordigno interpretata dai tedeschi come attentato furono rastrellati 22 abitanti del borgo per essere giustiziati. In questo caso per evitare la strage degli innocenti italiani già schierati davanti al plotone di esecuzione un giovane brigadiere dei carabinieri si autoaccusò dell’attentato e salvò la vita degli ostaggi.

Si chiamava Salvo D’Acquisto, ma questa è un’altra storia.

Aggiornato il 27 marzo 2023 alle ore 09:50