Il popolo delle tende e il prezzo degli immobili

Gli studenti che manifestano contro il caro affitti hanno alcune ragioni. I cattivi maestri che li accompagnano e li sostengono hanno, invece, tutti i torti.

Si mischiano, in questa discussione, due temi completamente diversi, seppure sovrapposti. Uno riguarda le condizioni specifiche degli studenti fuori sede. È vero: l’offerta di letti negli studentati nel nostro Paese è bassa e le misure di sostegno ai giovani meritevoli e privi di mezzi sono insufficienti. Se si vuole agire seriamente su questo aspetto, bisogna però ripensare criticamente alcune scelte compiute nel tempo. Per esempio: come si coniuga questa giusta preoccupazione con la spinta a moltiplicare le sedi universitarie? Realizzarle e mantenerle genera costi fissi, sottraendo risorse preziose al sostegno allo studio. O, ancora: chi l’ha detto che tutte le università debbano concentrarsi in centro città? Nel nostro Paese sono pochissimi i campus universitari, che normalmente si collocano in zone dove il valore dei terreni è inferiore. Da ultimo: il modo più semplice e rapido per intervenire nella situazione attuale è quello di realizzare alloggi in zone periferiche, garantendo i collegamenti con le sedi universitarie. Ma questo è incompatibile con la pretesa, a volte davvero eccessiva, del “popolo delle tende” di avere non solo un luogo dignitoso dove vivere, ma anche di averlo a due passi dalle aule di studio (che, come detto, si trovano spesso nelle zone più pregiate delle nostre città).

Tale dibattito si intreccia a una questione più profonda, relativa al valore delle proprietà nelle città italiane e specialmente in quelle, come Milano, che si sono dimostrate più dinamiche e attrattive. È poco più che una ovvietà il fatto che, se una città attira persone, a parità di altri elementi il valore degli immobili cresca. L’unico modo per impedire (o rallentare) una simile dinamica è consentire la realizzazione di nuovi immobili. Ed è qui che le richieste degli studenti (ma anche dei lavoratori a basso reddito) entrano in conflitto con la retorica contro il consumo di suolo e contro l’elevazione in altezza degli edifici che è diventata il mainstream delle nostre politiche urbanistiche. Se si vuole adeguare la ricettività delle metropoli alle esigenze anche di persone non particolarmente benestanti, bisogna lasciare che l’offerta risponda alla domanda. Questo invece non accade. Anzi: non si vuole che accada. E l’attacco all’espansione immobiliare delle città va mano nella mano con l’altro filone retorico, quello del ritorno ai piccoli borghi.

Questo è uno dei tanti casi in cui per risolvere il problema non servono politiche particolari: sarebbe sufficiente rimuovere gli ostacoli che la politica stessa ha preteso di imporre.

Aggiornato il 16 maggio 2023 alle ore 11:01