Suicidio all’europea

Giunge notizia che il sindaco di New York, Eric Leroy Adams, ha citato in giudizio tutti i colossi dei social – primo fra tutti Google – accusandoli di aver prodotto danni gravissimi a molti giovani americani, troppo spesso vittime di depressioni, affaticamenti fisici e nervosi o di averli addirittura spinti al suicidio. La cosa appare rivoluzionaria perché è la prima volta in assoluto che una istituzione pubblica assume una iniziativa nei confronti di queste realtà globali, ormai apparentemente inarrestabili. Non si dice nulla di nuovo, del resto, affermando che i cosiddetti “social” rappresentano in modo emblematico un ossimoro tipico del nostro tempo, tanto più pericoloso quanto più occulto. Infatti, a prima vista, sembrerebbe che essi siano in grado appunto di promuovere la socializzazione, la nascita e l’affermazione di un rapporto umano potenzialmente illimitato, aperto comunque a moltissime persone.

In realtà, si tratta di una affermazione epidermica che viene contraddetta dai fatti che, quotidianamente, si verificano e che ciascuno di noi può benissimo vedere, sol che lo voglia e non sia accecato da una preliminare e inconsapevole dipendenza tecnologica. Tutto, infatti, possono fare codesti mezzi di comunicazione tranne che propiziare un autentico rapporto umano. Si comunica infatti in modo frammentario, segmentato, senza la possibilità di svolgere un pensiero articolato e appena complesso; di fretta e senza riflettere e, soprattutto, senza poter coltivare con l’interlocutore una vera relazione umana e umanizzante, per il semplice motivo che, per un verso, manca l’incontro vero e proprio fra esseri umani; manca la visibilità esplicativa dei corpi e delle loro sensazioni, mentre, per altro verso, si trasmettono parole però non si parla: si inviano messaggi ma latita il pensiero.

Ci troviamo, insomma, davanti a un vero mutamento antropologico che investe il mondo intero e, a partire dal quale, bisognerebbe porre argini al diffondersi del fenomeno. Del resto, lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha dichiarato che “più che vendere cose (merci) è importante procurarsi persone (clienti). E, una volta conquistate, rifilargli di tutto”. I social e i motori di ricerca a disposizione non fanno in realtà che predisporre essi stessi le condizioni, affinché gli utenti non possano più farne a meno, irretiti in un meccanismo che non lascia scampo: allo stesso modo di come si comportano i narcos con la droga. Come questi, di fatto, predispongono le condizioni in forza delle quali il consumatore rimane asservito al consumo e perciò altro non potrà fare che consumare e ancora consumare stupefacenti, allo stesso modo i padroni dei social propiziano l’asservimento degli utenti allo scopo di farne utili idioti pronti a fare ciò che loro sarà chiesto.

Ed è particolarmente vero per i ragazzi e per coloro che siano psicologicamente più fragili o che per varie ragioni si trovino più esposti ad attacchi di tal genere. Perché di attacchi in piena regola si tratta. Non frontali e violenti, ma – cosa ancora peggiore – subdoli e indiretti, silenziosi ma devastanti. Una recente indagine di un istituto di ricerca ha evidenziato un dato da far tremare le vene e i polsi, secondo cui oltre la metà dei giovani italiani in età scolare non è in grado di comprendere davvero il significato di un testo scritto. E perché dovrebbero? Perché sorprendersi? Quasi tutti gli adolescenti, infatti, passano ore ed ore al giorno (forse escludendosi soltanto la notte) con gli occhi appiccicati al cellulare o per tentare un nuovo giochino o per “chattare” con vari gruppi di cui fanno parte o semplicemente per inviare e ricevere messaggi da altri che sono esattamente come loro.

Mesi fa, inorridito, vidi una foto pubblicata da un giornale dove si mostrava una scolaresca di una ventina di ragazzi i quali, condotti a visitare gli Uffizi, mentre il loro insegnante, rivolto verso un celebre dipinto, cercava di trasmetterne la bellezza, avevano occhi e orecchie soltanto per il cellulare: neppure uno prestava attenzione alle parole del povero insegnante. Neppure uno. Nessun giovane o quasi legge più giornali, riviste o libri, avendo ormai silenziosamente abdicato al mestiere del pensiero. Non leggono, non pensano, non parlano: chattano. In questo contesto, le inquietanti operazioni condotte dai grandi gruppi citati in giudizio dal sindaco di New York – accusati di propiziare strategicamente una dipendenza degli utenti perdurante nel tempo – appaiono davvero pericolosissime. Ma almeno in America hanno avuto questa iniziativa. Nel Vecchio Continente si preferisce non fare nulla. Una forma come un’altra di suicidio: all’europea.

Aggiornato il 27 febbraio 2024 alle ore 10:31