Page 5 - Opinione del 12-9-2012

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ESTERI
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Nasce l’iniziativa Carta 91,
manifesto dei liberali iraniani
di
STEFANO MAGNI
n manifesto liberale per rivo-
luzionare l’Iran. Il filosofo dis-
sidente in esilio Ramim Jahanbegloo
ha lanciato l’iniziativa Carta 91, sul-
la falsariga di Carta 77 dei dissidenti
cecoslovacchi, ai tempi del regime
comunista. Il numero “91” si riferi-
sce, non al nostro calendario, ma a
quello persiano, secondo il quale og-
gi siamo nel 1391.
I punti programmatici del mani-
festo attingono a piene mani dal li-
beralismo classico: separazione dei
poteri dello Stato, democrazia, se-
parazione fra Stato e religione, pro-
tezione di tutte le libertà fondamen-
tali, una magistratura realmente
indipendente. Capitoli specifici sono
dedicati alla garanzia dei diritti delle
donne, delle minoranze e degli omo-
sessuali, le categorie più discriminate
e perseguitate, nel caso dei gay, tut-
tora condannati a morte in gran nu-
mero. «Tutti gli iraniani devono ave-
re eguali diritti» si legge nel
preambolo della Carta. Compaiono
anche nuovi diritti, attinti, in questo
caso, dalla cultura democratica oc-
cidentale contemporanea: leggi a tu-
tela delle risorse naturali e ambien-
tali, protezione degli animali, diritti
sociali. Il messaggio è soprattutto
culturale: «Per passare dalla ditta-
tura e dal dispotismo alla democra-
zia e alla libertà, gli iraniani devono
rivedere e ricostruire la propria cul-
U
tura politica».
Benché il manifesto si rivolga ad
un pubblico iraniano, il suo princi-
pale architetto, come già accennato,
è un dissidente in esilio. Jahanbegloo
vive in esilio volontario in Canada.
È fuggito nel Paese nordamericano
dopo essere stato arrestato in Iran
e rilasciato su cauzione nel 2006. Il
filosofo, dunque, non ha partecipato
alla Rivoluzione Verde del 2009,
scoppiata in seguito ai brogli elet-
torali delle elezioni presidenziali vin-
te da Mahmoud Ahmadinejad. Ha
dunque seguito l’Onda Verde solo
da osservatore esterno, anche se di-
chiara ai media di aver tratto ispi-
razione proprio da quell’esperienza
insurrezionale. «Molti iraniani, com-
preso il sottoscritto e tanti altri gio-
vani, si chiedono come mai la nostra
società sia così incastrata in una cul-
tura di violenza e vendetta - ha spie-
gato, parlando della sua iniziativa –
Noi pensiamo che, per avere una so-
cietà forte, da un punto di vista po-
litico, occorra avere forti principi
morali e una cultura civica. Un cam-
biamento che non può essere impo-
sto dall’alto: è la società che ci deve
arrivare attraverso un lungo percor-
so. Io spero che questa Carta sia di
aiuto».
I precedenti, però, non sono di
aiuto. Carta 77 era un manifesto dei
dissidenti cecoslovacchi in Cecoslo-
vacchia, Carta 08 dei dissidenti ci-
nesi in Cina. I firmatari della Carta
91,
al contrario, sono soprattutto
esuli: intellettuali, attivisti per i diritti
umani e delle donne che vivono al-
l’estero. Il manifesto è stato pubbli-
cato su Internet, ha una sua pagina
Facebook e mira ad attrarre soprat-
tutto giovani iraniani che vivono in
Iran. Ma sarà difficile che questi lo
possano firmare con disinvoltura,
considerando il livello di controllo
capillare imposto su Internet dalle
autorità di Teheran. Dopo il falli-
mento della Rivoluzione Verde (che
comunque continua a covare sotto
la cenere), all’interno del territorio
iraniano non è più nato alcun mo-
vimento dissidente di massa. L’in-
tento di Carta 91 è quello di dare
un programma al dissenso, un mi-
nimo comun denominatore ai grup-
pi di opposizione. Forse servirà, al-
meno, come fonte di ispirazione.
Cina, chi lo ha visto? Sparito Xi, il futuro leader
K
Xi Jinping, da tutti indicato come il prossimo presidente ci-
nese, è letteralmente sparito da 10 giorni. Non si è presentato agli
incontri pubblici previsti in calendario. Epurato? Malato? Morto?
Roosevelt nascose
la strage di Katyn
Il documento attinge
a piene mani
dal liberalismo classico
per proporre una svolta
radicale nel sistema
iraniano. Il problema,
però, è che è firmato
da dissidenti all’estero
Un presidente per la Somalia
E il paese ricomincia a vivere
n imbarazzante segreto del
passato americano riemerge
dagli archivi nazionali degli Stati
Uniti: nel 1943 l’amministrazione
Roosevelt contribuì a coprire il
massacro sovietico di Katyn. Tre
anni prima, nel 1940, i sovietici fu-
cilarono, in quella foresta, 22mila
prigionieri di guerra polacchi, tutti
ufficiali. Furono assassinati nel
quadro di un progetto di occupa-
zione ben preciso. Secondo il patto
di non-aggressione Ribbentrop-
Molotov, firmato dall’Urss e dalla
Germania nazista nel 1939, Mosca
avrebbe mantenuto il suo dominio
su tutta la Polonia orientale. La re-
gione occupata avrebbe dovuto es-
sere immediatamente “sovietizza-
ta”, tramite la liquidazione della
nobiltà, del clero e della classe bor-
ghese, la nazionalizzazione dell’in-
dustria e la collettivizzazione delle
U
terre. La fucilazione di massa degli
ufficiali polacchi prigionieri, con-
traria ad ogni legge di guerra, do-
veva essere solo uno degli atti pre-
liminari di questo programma. Poi
la situazione si ribaltò all’improv-
viso. Hitler, rompendo il patto Rib-
bentrop-Molotov, invase l’Urss nel
giugno del 1941. E nel 1943, le
truppe occupanti tedesche, trova-
rono le fosse comuni a Katyn, dif-
fondendo subito la notizia del cri-
mine commesso dai sovietici. Due
ufficiali statunitensi, il capitano
Donald Steward e il colonnello
John Van Vliet, prigionieri dei te-
deschi e testimoni della riesuma-
zione delle salme a Katyn, confer-
marono la giustezza dell’accusa
tedesca. Riuscendo a comunicare
con l’America, tramite messaggi in
codice, citarono numerose prove
(
fra cui lettere e diari degli ufficiali
fucilati) che dimostravano il cri-
mine sovietico. L’amministrazione
Roosevelt, dunque, era al corrente
del crimine di Stalin. Ma preferì
nasconderlo. La versione ufficiale
degli Alleati, sin dopo la fine della
guerra, fu la stessa data da Mosca:
gli ufficiali polacchi sepolti a Katyn
erano vittime delle SS tedesche.
L’intento dell’amministrazione
americana era chiaro: si doveva
vincere la guerra al fianco dell’al-
leato sovietico e dunque Stalin non
doveva essere disturbato.
(
ste. ma.)
l governo di transizione somalo,
in funzione da venti anni, ha ter-
minato ufficialmente il proprio
mandato il 10 settembre con l’ele-
zione del Presidente della Repub-
blica.
Il Parlamento ha scelto con
maggioranza assoluta Hassan Sheik
Mohamud, 56 anni, professore uni-
versitario, accademico conosciuto
in varie organizzazioni internazio-
nali.
La nomina del nuovo Presiden-
te, legato al movimento al-Islah,
braccio somalo dei Fratelli Musul-
mani, è stata accolta da tutto il Pae-
se con manifestazioni di euforia.
Le tappe del percorso di stabi-
lizzazione politica imposte dalla
conferenza di Londra e dai succes-
sivi accordi di Addis Abeba, sono
state rispettate pur con qualche di-
lazione.
Il 20 giugno scorso è stata pun-
tualmente approvata la bozza della
nuova Costituzione, di ispirazione
islamica e con la Shari’ah quale fon-
te principale dell’intero ordinamen-
to giuridico, mentre il Parlamento
è stato nominato con ritardo rispet-
to al piano e i suoi 275 membri,
metà dei quali laureati, hanno po-
tuto giurare solo lo scorso 20 ago-
sto, data invece prevista quale ter-
mine del precedente assetto
istituzionale provvisorio.
La speranza di una favorevole
prosecuzione dei lavori si è poi raf-
I
forzata con l’elezione a Speaker del
Parlamento, equivalente del nostro
Presidente, di Mohamed Osman Ja-
wari, fine giurista, per anni avvo-
cato e docente universitario in Nor-
vegia, nonché membro di diverse
commissioni contro le discrimina-
zioni e il razzismo.
Il Rappresentante Speciale delle
Nazioni Unite per la Somalia, Au-
gustine Mahiga, si è dichiarato sod-
disfatto del compimento del difficile
percorso. L’imponente dispiegamen-
to di forze militari e di polizia in
Mogadiscio ha consentito un nor-
male svolgimento delle operazioni
elettorali, con pochi episodi di vio-
lenza, tra cui un attentato senza vit-
time ad un veicolo dell’Amisom.
Il trend positivo nel settore si-
curezza ha marcato nuovi indicativi
risultati: secondo i dati diffusi dalle
Nazioni Unite i casi di conflitti ar-
mati dall’inizio dell’anno sono di-
minuiti del 70%mentre gli attacchi
terroristici sono scesi del 50% . Do-
po aver perso il controllo di Moga-
discio, le forze di Al Shabab negli
ultimi giorni hanno subito pesanti
sconfitte anche nelle roccaforti del
Sud a causa di una indiscutibile su-
periorità militare delle unità del-
l’Unione Africana, ma altresì delle
numerose defezioni di militanti che
vanno a costituire, pertanto, una
preziosa fonte di intelligence. Al
Qaeda stessa ha criticato i militanti
di Al Shabab per comportamenti
anti-islamici che li rendono impo-
polari.
Sicuramente il Paese è a una
svolta: si inaugura una nuova sta-
gione per tutta la nazione. Gli ana-
listi ritengono difficile normalizzare
nel breve periodo la situazione po-
litica in Somalia, mentre il giurista
Jawari, nella sua prima intervista
da speaker, ha dichiarato che il po-
polo somalo è per definizione pa-
cifico, tollerante e liberale, pronto
a imparare presto la democrazia e
che una volta ripristinati la pace e
il rispetto delle regole seguirà in po-
chi anni la crescita economica.
I primi passi mossi dalla nuova
amministrazione e l’enorme soste-
gno fornito dalla Comunità inter-
nazionale, inducono a ben auspi-
care.
FERDINANDO FEDI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 12 SETTEMBRE 2012
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