Direttore ARTURO DIACONALE
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Domenica 13 Gennaio 2013
delle Libertà
Il keynesianismo di ritorno dell’ArmataMonti
onostante la ostentata so-
brietà, anche il professor
Monti sembra seguire gli altri par-
titi e schieramenti nella composi-
zione stile armata Brancaleone
delle proprie liste. Personaggi il
cui unico merito è quello della vi-
sibilità sportiva e/o mediatica, ma-
gari per aver “ballato con le stel-
le” o aver pubblicizzato una
merendina per bambini, sono stati
inseriti nello scivolo montiano per
il Parlamento. Altra storia si po-
trebbe dire per il sedicente liberale
Mario Sechi, il quale mastica po-
litica da una vita e, per questo,
possiede tutti i crismi della pre-
sentabilità politica. Tuttavia, no-
N
nostante il suo recente cambio di
cavallo politico - è stato per anni
un fervente berlusconiano -, il no-
stro manifesta anche sotto le in-
segne montiane una certa, quanto
imbarazzante, coerenza keynesia-
na. Tant’è che alcuni giorni orso-
no, ospite di Dietlinde Gruber det-
ta Lilli, ha ribadito la sua cieca
fede nei meccanismi di crescita e
sviluppo economico che partano
dal sostegno della domanda. E su
questo piano l’ex direttore del
Tempo” ha sempre mostrato una
certa coerenza, soprattutto soste-
nendo a spada tratta il pompaggio
di cartamoneta da parte della Bce
per uscire dalla crisi. Pompaggio
presentato sotto le mentite spoglie
di un vago prestatore di ultima
istanza.
Ma nel corso di “Otto e mez-
zo” Sechi si è letteralmente supe-
rato. Per contrastare la discutibile
proposta della Lega Nord, dal
chiaro sapore elettoralistico, di la-
sciare in Lombardia il 75% delle
tasse versate dai suoi cittadini il
popolare giornalista sardo ha ti-
rato fuori una classica, quanto
consunta argomentazione becero-
keynesiana. Ossia l’idea, a mio av-
viso del tutto strampalata, secon-
do cui limitando il flusso di
quattrini che da Nord viaggiano
verso le regioni del Sud si creereb-
be un danno effettivo alle imprese
settentrionali, poiché ciò restrin-
gerebbe il valore complessivo dei
consumi, quindi anche del relativo
fatturato delle imprese medesime.
Ora, al di là dei dettagli, se
l’economia funzionasse in questo
modo, sarebbe molto semplice far-
la ripartire: mettiamo in tasca dei
cittadini più soldi, magari aumen-
tando la massa monetaria, così da
stimolare all’infinito la produzio-
ne di beni e servizi. Quindi, secon-
do tale visione, basta ampliare il
numero e la qualità dei consuma-
tori per trascinare al rialzo il pro-
dotto interno lordo di un paese.
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2
L’assalto dei capitali cinesi all’economia nazionale
a Cina è vicina. Forse anche
troppo. L’allarme lanciato nelle
ultime settimane dai servizi segreti
italiani circa gli interessi economici
del fu Celeste Impero per il patri-
monio immobiliare e la cantieri-
stica navale italiana è passato qua-
si sotto silenzio, fatta esclusione
per i servizi pubblicato da
Il Sole
24
Ore
e
La Repubblica
.
Eppure,
una notizia del genere avrebbe me-
ritato uno spazio nelle prima pa-
gine di tutti i quotidiani, quanto
quella di una dichiarazione di
guerra. Perché è esattamente di
questo che si tratta: di un conflitto
bellico senza esclusione di colpi,
pur senza che si arrivi mai nem-
L
meno ad esplodere un colpo. Una
guerra fredda che si combatte a
suon di fusioni e acquisizioni, di
grandi capitali e di grandi praterie
tutte da conquistare. Una guerra
che vede da un lato un nemico po-
tente e molto ben equipaggiato
delle armi più efficaci in conflitti
come questo (i soldi), e dall’altro
un paese, come l’Italia, che in balìa
di una delle più gravi crisi econo-
miche della sua storia non si cura
nemmeno di tutelare i propri “gio-
ielli di famiglia”.
Non tutti gli investimenti che
arrivano dall’estero sono infatti
auspicabili, né portano benefici
all’economia nazionale. Le recenti
acquisizioni operate da grandi
gruppi finanziari cinesi, supportate
passo dopo passo dal lavoro della
diplomazia di Pechino, al pari di
un’azione di stato, sono infatti fi-
nalizzate ad acquisire il controllo
di marchi strategici per sottrare
prezioso “know how” e delocaliz-
zare la produzione in estremo
oriente.
Del rischio di veder finire l’Ita-
lia completamente in balia dei ca-
pitali stranieri aveva parlato già
nel luglio scorso la Consob, denun-
ciando un vero e proprio assalto
all’arma bianca da parte dei fondi
sovrani istituiti a suon di petrodol-
lari dai paesi del Medio Oriente ai
danni delle aziende strategiche ita-
liane. Nel mirino di investitori stra-
nieri mossi da un non esclusivo in-
teresse verso il profitto economico,
ma da un vero e proprio desiderio
di controllo politico, vi sarebbero
non solo imprese che operano nel
settore della difesa, ma anche dei
trasporti, delle telecomunicazioni,
delle infrastrutture, delle fonti di
energia ma anche nell’erogazione
di servizi pubblici in genere.
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2
di
LUCA PAUTASSO
Le acquisizioni operate
da gruppi finanziari
cinesi, supportate
dalla diplomazia
di Pechino, sono
finalizzate a controllare
marchi strategici
per sottrare know how
e delocalizzare
la produzione in oriente
di
CLAUDIO ROMITI
L’economia dovrebbe
poter crescere attraverso
l’offerta e lo sviluppo
dinamico che le leggi
di mercato determinano
nell’azione umana.
Con una ricerca
produttiva fatta di molti
tentativi a vuoto. Il resto
è socialismo reale
Aumenta tutto.Tranne lo spread
K
Mentre in Italia (e in tutta Eu-
ropa) crescono disoccupazione,
prezzi e bollette, almeno lo spread
sembra essersi “calmato”. Venerdì il
differenziale tra Btp e Bund ha rotto al
ribasso la soglia dei 250 punti base,
un livello che non si vedeva dal luglio
2011,
per poi risalire leggermente.
Tutto merito dell’ultima asta dei Btp,
visto che il ministero dell’Economia
ha collocato tutti i 3,5 miliardi di titoli
triennali, con tassi in forte calo (ai mi-
nimi dal marzo 2010). Mentre i mercati
finanziari festeggiano, però, i cittadini
del Vecchio continente continuano ad
essere tra i più vessati del pianeta.
Con una pressione fiscale che conti-
nua a crescere. Nel 2011 si è attestata
a quota 40,0% nella Ue e al 40,8%
nell’eurozona, contro il 39,6% e il
40,3%
del 2010. L’Italia, con il 42,8%, è
sopra la media europea e al quinto
posto nell’area euro. Peggio di lei solo
Danimarca (48,6%), Belgio (46,7%) e
Francia (45,9%). Più “fortunati”, in-
vece, i cittadini di alcuni paesi ex-co-
munisti come Lituania (26,4%),
Bulgaria (27,2%) e Lettonia (27,7%).