II
ECONOMIA
II
Negli Usa aumenta il debito, l’Europa è al bivio
di
MARIO LETTIERI
e
PAOLO RAIMONDI
accordo di capodanno per
scongiurare che il fantoma-
tico
fiscal cliff
potesse portare a
uno choc fiscale, alla recessione e
al blocco del bilancio dello stato
federale Usa, non è una vittoria
della stabilità. Dovrebbe invece
essere considerato un rischio ul-
teriore di instabilità per il resto
del mondo, in primis per l’Europa.
L’evento ha una valenza tutta
americana, molto importante per
i giochi di potere interni. Sancisce
però una politica complessiva-
mente fallimentare, sia dei demo-
cratici che dei repubblicani, nella
gestione della finanza.
Si sono trovati i 600 miliardi
di dollari necessari per evitare, al-
meno sulla carta, che alcune spese
per il welfare vengano automati-
camente bloccate e alcune agevo-
lazioni fiscali siano cancellate.
In realtà l’accordo partorisce
un aumento del debito per ben
4.000
miliardi di dollari nel pros-
simo decennio. La stima non è
fornita da una qualche fucina
ideologica neoliberista anti Oba-
ma, bensì dal prestigioso e indi-
pendente Congressional Budget
Office.
Come noto, il Cbo è un’istitu-
zione finanziata dal Congresso per
analizzare i costi delle politiche di
bilancio. Il suo direttore viene no-
minato congiuntamente dai pre-
sidenti della Camera e del Senato.
L’attuale direttore, Douglas El-
mendorf, è stato scelto nel genna-
io 2009 quando entrambi i presi-
denti erano democratici.
Il
fiscal cliff
quindi non è la ve-
ra emergenza finanziaria ameri-
cana.
Si è trattato, piuttosto, di un
preparativo psicologico. Il vero
pericolo che gli Usa devono af-
frontare è, invece, lo sfondamento
del tetto del debito pubblico.
A fine anno, infatti, il debito
pubblico americano ha raggiunto
il
ceiling
cioè il tetto massimo sta-
bilito dalla legge finanziaria di bi-
lancio che è di 16.400 miliardi di
dollari, equivalente al 103% del
pil. Sarebbe dovuto bastare fino
al 30 settembre 2013, cioè fino al-
la scadenza del bilancio annuale.
Ma così non sarà.
Che succederà adesso? Fino a
settembre, di fatto, non c’è coper-
tura per le spese di bilancio. Il mi-
nistro del Tesoro, Tim Geithner,
ha detto che il suo dicastero ha
già raggiunto il limite dei prestiti
possibili e ha affermato che pos-
sono trovarsi «altri mezzi per rac-
cogliere fondi per pagare il debi-
to» per un periodo massimo di
6-8
settimane.
Al di là dei trucchetti contabili,
il dato è che gli Usa sarebbero tec-
nicamente già in default. Una si-
tuazione simile si era già creata
nell’agosto del 2011, quando il bi-
lancio federale era stato prosciu-
gato e mancavano i soldi per i pa-
gamenti dei dipendenti pubblici,
dei fornitori, degli assegni di di-
soccupazione e delle pensioni. Al-
lora, come si ricorderà, si decise
di alzare il tetto del debito pub-
blico di ben 2.000 miliardi di dol-
lari.
In poco più di un anno però
questi fondi sono stati bruciati
L’
senza significativi effetti per l’eco-
nomia americana.
Certamente si è evitato l’im-
mediato aumento della disoccu-
pazione e della povertà ma non si
è rimessa in moto l’economia. So-
no mancate una vera strategia di
ripresa della produzione e degli
investimenti, oltre a una più giusta
riforma fiscale.
In sintesi, lasciando da parte le
note schermaglie ideologiche, gli
Usa, sia il governo Obama che il
Congresso nel suo insieme, si
stanno muovendo verso un ulte-
riore aumento del debito pubbli-
co. In poche parole nulla di nuovo
sotto il cielo, visto che la politica
di crescita del debito e della liqui-
dità è quella che da anni porta
avanti la Federal Reserve di Ben
Bernanke.
Il suo bilancio (
balance sheet
)
è passato da 869 miliardi del
2007
a 2.880 miliardi del 2012.
Ben due terzi dei titoli del tesoro
americano che arrivano sul mer-
cato vengono comprati dalla Fed.
Dopo aver deciso lo scorso set-
tembre l’acquisto di
mortgage-
backed securities
,
quei titoli tossici
legati ai mutui
subprime
,
per 40
miliardi di dollari ogni mese, la
Fed a novembre ha deciso di ac-
quistare mensilmente 45 miliardi
di dollari di bond del tesoro e di
altre obbligazioni simili a lungo
termine e in cambio di vendere i
ben più appetibili titoli a breve
scadenza in suo possesso. È un al-
tro bel regalo al sistema bancario
americano.
Queste decisioni non potranno
che produrre un serio allarme per
l’intero sistema finanziario mon-
diale. I paesi emergenti lo dicono
da tempo, denunciando i riverberi
negativi sulle loro economie e sul-
le loro monete.
In tale scenario l’Europa è
spiazzata. In un sistema globaliz-
zato, dove la finanza opera per
vasi comunicanti, i governi euro-
pei si sono ingessati con il
fiscal
compact
,
mentre gli Usa alzano a
piacere il tetto del loro debito
pubblico.
Tra l’altro, in un sistema ban-
cario senza riforme, gli istituti di
credito americani sono agevolati
dalle politiche della Fed, mentre
quelli europei sono compresse dai
parametri richiesti da Basilea III.
Purtroppo in Europa c’è chi ir-
responsabilmente chiede di fare
come negli Usa. Secondo noi, in-
vece, queste ricette sono disastro-
se.
Non ci sono scorciatoie, né ser-
ve l’illusione psicologica di chi
vuol vedere la luce alla fine del
tunnel. Occorre affrontare alla ra-
dice le cause della crisi globale e
rimuoverle, senza nasconderle co-
me si continua a fare.
Il vero pericolo
degli Stati Uniti
è lo sfondamento
del debito pubblico
che a fine anno
ha raggiunto
il tetto massimo
stabilito
dalla legge finanziaria.
Il dato evidente
è che gli Usa
a livello tecnico
sarebbero
ormai in default.
Già nel 2011
il bilancio federale
presentava
l’assenza di denaro
per pagare
dipendenti pubblici,
fornitori
e gli assegni
di disoccupazione.
Il vecchio continente
in tale contesto
è spiazzato.
I governi europei
si sono ingessati
con il fiscal compact
e gli istituti di credito
sono compressi
dai parametri richiesti
da Basilea III.
Qualcuno chiede
di seguire
il modello
a stelle e strisce
eppure
questa ricetta
potrebbe risultare
disastrosa.
L’obiettivo principale
è affrontare da subito
le cause
della crisi globale
invece
che continuare
a nasconderle
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 20 GENNAIO 2013
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