II
CULTURA
II
Il Meridionalismo del futuro? Nasce con Sturzo
di
MARCO BASSANI
corni del dilemma di questo Pae-
se sono due. In primo luogo, co-
me è possibile che i lombardi ac-
cettino senza fiatare che dal 65
all’80 percento delle loro risorse in-
dividuali vengano fagocitate dal go-
verno e che oltre il 15 percento del
reddito da loro prodotto abbandoni
la regione. Ma l’altro corno non è
meno rilevante del primo. Come è
possibile che fra chi percepisce i fa-
vori del governo non si levi mai una
voce di libertà capace di chiamare
a una rivolta morale coloro che so-
no annientati dai fiumi di danaro
che scorrono verso Sud? Se la rela-
zione parassitaria su cui si fonda
l’Italia causa danni economici (for-
se) irreversibili in alcune regioni,
per altre il prezzo da pagare è mo-
ralmente ben più alto: milioni di
persone vivono alla mercé delle de-
cisioni politiche e dei soldi degli al-
tri, ossia non hanno alcuna possi-
bilità di progettare in maniera
autonoma il proprio futuro.
Nord e Sud secondo Sturzo
Da così tanti decenni siamo abi-
tuati ad ascoltare la voce di un Sud
piagnone, abbarbicato al terreno di
un meridionalismo lamentoso e
d’accatto, che rileggere qualche af-
fermazione di un grandissimo sici-
liano d’altri tempi potrebbe ricon-
ciliarci con la sua terra. Il
federalismo di Luigi Sturzo (1871-
1959) deriva dalla migliore tradi-
zione meridionalista, ossia quella
che si lamentava dei danni prodotti
dallo Stato e non invocava affatto
la sua benevola mano per fare usci-
re il Sud dalla sua condizione di
sottosviluppo.
Luigi Sturzo riconosceva che
non poteva esistere una sola poli-
tica economica adeguata per il nord
e per il sud. I consumatori del nord
hanno ragione a protestare per i da-
zi sul grano a tutela dell’agricoltura
del sud e i produttori del sud hanno
tutte le ragioni del mondo per in-
vocare i dazi protettivi. Ma una so-
la politica non può tenere insieme
le due parti del Paese. Lungi dal vo-
ler ricorrere allo strumento dello
I
stato forte per risolvere il dualismo
del Paese, Sturzo riconosce che le
due grandi aree geografiche non so-
no gestibili con gli strumenti del
centralismo: «Parliamoci chiaro:
nord e sud sono due termini irridu-
cibili e inconciliabili». Il suo sogno
era «che noi del meridione possia-
mo amministrarci da noi, da noi
designare il nostro indirizzo finan-
ziario, distribuire i nostri tributi,
assumere la responsabilità delle no-
stre opere, trovare l’iniziativa dei
rimedi ai nostri mali... non siamo
pupilli, non abbiamo bisogno della
tutela interessata dei fratelli del
nord... seguiremo ognuno la nostra
via economica, amministrativa e
morale nell’esplicazione della nostra
vita» (22 dicembre 1901). Sturzo
non è un Caldoro qualunque, non
ritiene che la maggiore ricchezza
del nord sia un buon motivo per al-
lungare le mani e avanzar pretese
sui patrimoni altrui.
Il fatto è che «la storia ci ha pla-
smati in mille modi, dando a cia-
scuna zona la sua caratteristica, la
sua personalità, una e multipla allo
stesso tempo». Ed egli coglieva be-
ne, e lo presentava come un dato
di realtà, ciò pare ovvio, ma che an-
cor oggi viene da più parti negato:
«La distinzione fra Nord e Sud non
è una semplice divisione geografica,
ma è una divisione intima… che ar-
riva sino al più complesso fattore
psicologico e storico» (novembre
1903).
Un’unificazione linguistica
e culturale
Se esiste un’unità è solo comu-
nanza linguistica e culturale delle
popolazioni di lingua italiana, “ma
… i rapporti economici e ammini-
strativi … devono essere distinti per
gli interessi opposti di regioni, di
industrie, di commerci, di educa-
zione locale”. Allora l’unificazione
causava danni e vantaggi a tutte e
due le parti del Paese e ognuna usa-
va il governo centrale per mettere
in iscacco l’altra: “È inutile illuderci:
nord e sud abbiamo interessi anta-
gonistici, ed esercitiamo l’uno ai
danni dell’altro la concorrenza e il
monopolio; ci serviamo delle cama-
rille locali e degli intrighi di gabi-
netto; tentiamo di strappare una
concessione per ferire o per aver
pronta l’arma a ferire” (luglio
1903).
Non è il divario di sviluppo eco-
nomico e la diversità degli interessi
correlati a essere la causa dell’in-
conciliabilità fra nord e sud, ma la
politica del governo dall’unità in
poi. Il voler uniformare ciò che è
naturalmente diverso e distinto ha
prodotto sconquassi: «Tra tutte le
cause della questione del nord e del
sud Italia, pare adunque che le prin-
cipali siano l’accentramento di stato
e l’uniformità tributaria e finanzia-
ria … [perché] l’accentramento di
stato ... è la rovina delle nazioni
moderne». Sturzo amava il sistema
svizzero e la libertà è il motore del
modello svizzero, commentando al-
la fine degli anni ‘40 il debolissimo
regionalismo italiano, affermava:
«Noi ammiriamo la varietà degli
statuti cantonali della Svizzera ...
[e] avremmo amato che la costitu-
zione si fosse limitata a fissare i car-
dini del nuovo istituto regionale,
lasciando a ciascuna regione, isola
o continente, del nord o del centro
o del sud, di darsi il proprio statu-
to».
Individualismo cristiano
La fonte chiara del suo federa-
lismo è quell’individualismo di ma-
trice cristiana in contrasto con gran
parte del pensiero cattolico del suo
e del nostro tempo. “È solo la co-
scienza individuale, cioè l’uomo ra-
zionale, colui che effettivamente ri-
solve in sé ogni forma sociale . Egli
gerarchizza i fini delle varie forme
sociali nelle quali esplica le sue at-
tività, essendo metafisicamente il
termine e il fine della società stes-
sa”. Nel 1952 scriveva sull’Eco di
Bergamo: “Non è lo stato che rende
vitali i suoi organi; è l’uomo che li
vivifica, l’uomo che li mortifica,
l’uomo singolo e organizzato, la
persona reale effettiva, non l’ente
astratto che si chiama stato”. In re-
altà, la divinizzazione dello stato
gli appariva “una tremenda invo-
luzione contraria allo spirito di pro-
gresso dell’uomo”.
Lo spirito statalista è anticristia-
no e la differenza fra le dittature
vere e proprie e i sistemi apparen-
temente democratici risiedono nel
residuo di coscienza cristiana. Se
tutto il mondo occidentale non è
caduto ancora preda della barbara
statolatria, ciò si deve a «quel poco
di cristianesimo che è rimasto nella
coscienza dei popoli occidentali,
non ancora soffocato dalla conce-
zione statalista». Nello stato mo-
derno, «Dio è scomparso e l’uomo
è divenuto schiavo». Tanto più l’uo-
mo si affranca da Dio, secondo
Sturzo, tanto più diventa schiavo
delle metafore organiciste che egli
stesso ha creato: di quella statuale
in particolare.
Per Sturzo il problema era la fi-
gura dello stato provvidenza, o del
“panteismo di stato” per dirla con
la sua espressione preferita. Le bat-
taglie del sacerdote calatino contro
lo statalismo, per una libertà anche
economica, fanno da sfondo alla
sua concezione autenticamente fe-
derale dei rapporti fra le varie realtà
del Paese. “Lo stato ha prodotto
con i suoi interventi due grossi mo-
nopoli intercomunicanti: il mono-
polio dello stato … e il monopolio
di grandi imprese apparentemente
libere che vivono dei favori diretti
o indiretti dello stato” (1951) Stur-
zo fu facile profeta quando affermò
che «lo stato (…) costituirà una
nuova manomorta superiore a
quella feudale dei monarchi o delle
chiese del medioevo e quasi pari
all’attuale manomorta sovietica».
Sulla natura essenzialmente to-
talitaria dello stato moderno, Sturzo
non nutriva dubbi: «Lo stato mo-
derno è divenuto totalitario e può
essere tale anche se mantiene (spes-
so solo in apparenza) le forme de-
mocratiche» (1948). La semplice
democrazia non basta a garantire
alcunché: «Anche in una democra-
zia istituzionalmente e formalmente
libera, lo statalismo diviene incom-
bente, sì da portare oltre i propri
confini tanto il limite giuridico
quanto il limite etico del potere»
(1950). Il tortuoso percorso della
libertà aveva lasciato gli individui
nudi di fronte al potere. «La libertà
passata degli individui allo stato,
teoricamente e praticamente, sop-
prime le libertà individuali e degli
enti concorrenti: famiglia, città,
classi, regioni, chiese, perché l’unico
ente libero, autolibero, che assommi
in sé ogni autorità e ogni libertà sa-
rebbe lo stato».
Concludendo
Ora, tanto per fornire un dato,
nell’arco di vita di Luigi Sturzo la
pressione fiscale complessiva non
superò mai il 16 percento, la redi-
stribuzione territoriale era sicura-
mente ben lontana dai livelli folli
che ha raggiunto oggi e lo stato, ri-
spetto all’onnipresenza attuale, era
quasi assente. Ma il sacerdote sici-
liano vedeva lontano, il suo sguar-
do arrivava fino al nostro cupo pre-
sente. E tuttavia, son certo che
sarebbe assai più abbattuto per ciò
che è accaduto ai suoi concittadini.
Ai settentrionali, in fondo, Sturzo
chiedeva poco, solo di lasciare al
sud tutto l’autogoverno del quale
esso aveva bisogno per rinascere.
Quando capiremo fino in fondo il
messaggio di Sturzo, ossia che la li-
bertà giova a tutte le popolazione
delle aree italiche?
Da così tanti decenni
siamo abituati
ad ascoltare la voce
di un Sud piagnone,
abbarbicato al terreno
di un meridionalismo
lamentoso e d’accatto.
Per questo, rileggere
qualche affermazione
di un grande siciliano
d’altri tempi
potrebbe riconciliarci
con la sua terra.
Il sacerdote
riconosceva
che meridione
e settentrione
non sono gestibili
con gli strumenti
del centralismo statale.
«Non siamo pupilli,
non abbiamo bisogno
della tutela interessata
dei fratelli del Nord».
Era federalista
e amava la libertà
del sistema svizzero
mettendo in risalto
il debolissimo
regionalismo italiano
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 22 GENNAIO 2013
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