Page 2 - Opinione del 24-10-2012

di
BARBARA DI SALVO
rancamente non so come si pos-
sa spiegare ad uno straniero che
in Italia degli scienziati sono stati
condannati per omicidio colposo
ed a risarcire i danni per non aver
previsto il terremoto in Abruzzo.
La vedo dura per Monti, che ha
fatto della credibilità internazionale
l’unica sua ragione di vita politica,
sconfiggere il senso del ridicolo e
di incredulità che suscita inevita-
bilmente questa sentenza unica al
mondo. Vallo a spiegare che la loro
colpa è stata quella di aver detto
che da uno sciame sismico non si
poteva prevedere una scossa così
devastante, visto che è esattamente
quanto sostengono gli esperti a li-
vello planetario, nessuno escluso.
Vallo a spiegare che, invece, avreb-
bero dovuto dar retta a Giuliani,
un tecnico neppure laureato le cui
intuizioni sul radon non sono rico-
nosciute dalla comunità scientifica
né dimostrate, il quale in quei gior-
ni voleva fare evacuare Sulmona
per spostare tutti magari proprio a
L’Aquila. Il fatto è che ormai siamo
andati oltre il “piove, governo la-
dro” per arrivare al “piove, arre-
state Giove”. La spettacolarizza-
zione della giustizia, la ricerca
continua di un reato ovunque qual-
cosa non vada per il verso auspi-
cato dal magistrato di turno, non
poteva forse che portare a questo.
Mi chiedo ora quali altre vette pos-
sa toccare il potere inevitabilmente
concesso ai giudici dalla loro so-
stanziale impunità. Perché se, col
facile senno di poi, un processo ed
una condanna non li si nega a nes-
suno, ciò non vale per loro, per cui
male che vada le sentenze saranno
riformate in appello o in cassazione
e dei danni comunque causati non
risponderanno mai, né personal-
mente né a livello di carriera, sem-
F
mai facilitata dai passaggi televisivi
così conquistati. Ora, non ha per-
sino neppure più senso chiedersi in
base a quali leggi si venga condan-
nati perché la legge sembra diven-
tata un concetto obsoleto, sostituita
dal più malleabile: così non va, in-
tanto si fa un processo, poi un reato
utile lo si trova sempre. Peccato che
se qualcosa non va in una società,
non dovrebbero essere i giudici a
trovare le soluzioni, sempre che ci
siano e non siano come in questo
caso solo affidate al destino impre-
vedibile e semmai alla scienza, bensì
il popolo sovrano attraverso la po-
litica. Quando, però, quello stesso
popolo non si fida più dei suoi po-
litici, certo per colpe loro ma anche
dei giudici che cercano di scalzarli
a colpi di processi, allora si crea
quel corto circuito istituzionale in
cui la legge è sostituita dalla discre-
zionalità e dall’incertezza. Quanto
di peggio possa capitare ad una so-
cietà che dovrebbe essere democra-
tica, oltre a portare all’immobilismo
dettato dalla paura di sbagliare.
In una situazione simile la
Commissione grandi rischi po-
trebbe tranquillamente chiudere i
battenti con un ultimo comunica-
to ufficiale: tutta la popolazione
è invitata con urgenza a non dor-
mire più in casa perché non si sa
mai. Ma al di là dell’assurdità di
un simile inevitabile esito, il pro-
blema è che il rischio di finire stri-
tolati da una macchina giudiziaria
svincolata dal buon senso e dalla
legge riguarda chiunque. Per que-
sto mi stupisco ogni giorno di più
nel vedere che ancora tanti credo-
no che la soluzione ai problemi
politici italiani passi attraverso i
tribunali, a cui si affidano cieca-
mente senza porsi neppure il dub-
bio che un giorno potrebbero fi-
nirci loro. E, nonostante tutto,
non lo auguro a nessuno.
ome si spiega il livore che su-
scita, quasi ad ogni sua uscita
pubblica, il ministro del lavoro Elsa
Fornero? Forse ad irritare è il suo
distacco accademico; forse non le
si perdona il pragmatismo con cui
osserva una realtà del mercato del
lavoro così diversa, lontana ormai
anni luce, da quella fantasticata dai
reduci dell’ideologia del “posto fis-
so” e della cultura assistenzialista;
e forse incide una certa misoginia.
Fatto sta che il ministro Fornero è
oggetto di una demonizzazione me-
diatica e ideologica “a prescindere”,
sembra ormai la vittima preferita
di leader sindacali ed editorialisti
alla ricerca di facili applausi e degli
odiatori di professione che si aggi-
rano sul web. Anche quando nel
merito ciò che dice è difficilmente
contestabile, piuttosto che ammet-
terlo, o quanto meno discuterne,
aprire un dibattito, viene messa alla
gogna per il suo modo di esprimer-
si, per le sue scelte lessicali, la frase
o la parola molesta, e prontamente
i media bollano l’episodio come
l’ennesima gaffe”. Ha suscitato
più clamore quel termine,
choosy”
(
schizzinosi, esigenti), del clima in-
timidatorio che l’ha costretta a ri-
nunciare ad intervenire ad un di-
battito a Nichelino, nei pressi di
Torino. Eppure, questa volta, più
che un’analisi il ministro ha elargito
il buon consiglio che usava dare ai
suoi studenti: ragazzi, apppena usci-
ti dal mondo della scuola o dall’uni-
versità, non siate troppo “choosy”
nella scelta del primo impiego, non
aspettate il posto ideale, entrate pri-
ma possibile nel mondo del lavoro
e cercate di migliorare da dentro la
vostra posizione, adeguandola alle
vostre aspettative. Sembra un’ov-
vietà, eppure quella parolina –
choosy – ha scatenato un putiferio.
Ma il problema del ministro For-
nero si può davvero ridurre ad una
C
questione di mera tecnica comuni-
cativa? Si tratta forse di usare un
giro di parole più attento alle sen-
sibilissime orecchie del politicamen-
te corretto? Pensiamo di no. Temia-
mo che in quanto principale artefice
delle due riforme che hanno, se non
abbattuto, per lo meno messo se-
riamente in discussione tabù come
pensioni d’anzianità e articolo 18,
il ministro Fornero venga ormai
identificata dalla sinistra statalista
e antagonista come nemico ideolo-
gico da delegittimare con ogni mez-
zo, ad ogni occasione, strumenta-
lizzando qualsiasi parola. E questo
nonostante la sua riforma abbia
persino ecceduto nel contrastare gli
abusi della flessibilità in entrata, a
tal punto da reintrodurre nel mer-
cato del lavoro un livello di rigidità
incompatibile con l’attuale situa-
zione economica. In un momento
come questo, poi, è fin troppo faci-
le, con la scintilla di una strumen-
talizzazione ideologica, scatenare
gli istinti più demagogici del web.
Non bisogna generalizzare ovvia-
mente, e non ci pare che il ministro
lo abbia fatto. Non tutti i giovani
italiani di questi tempi sono “choo-
sy”, ma di certo, soprattutto tra i
laureati, il fenomeno della cosiddet-
ta “disoccupazione d’attesa” – di
coloro che aspettano piuttosto che
accettare lavori che non corrrispon-
dono alle proprie aspettative o for-
mazione scolastica – esiste (anche
perché evidentemente le famiglie
sono in grado di mantenerli).
Secondo Unioncamere sarebbe-
ro addirittura 100 mila i posti di
lavoro scoperti, e tra di essi figure
professionali nient’affatto “umili”,
come ingegneri, chimici, fisici ed
esperti di marketing. La Cgia di
Mestre stima che nonostante la crisi
e l’aumento della disoccupazione
giovanile, nel 2011 sono stati oltre
45
mila i posti per giovani fino a
29
anni che le imprese hanno di-
chiarato di non essere riuscite a co-
prire, sia per il gran numero di in-
serzioni senza risposta (il 47,6%),
che per l’impreparazione di chi si è
presentato (il 52,4%). Nella mag-
gioranza dei casi si trattava di me-
stieri «tradizionali ad elevata inten-
sità manuale», ma nient’affatto
degradanti né mal retribuiti, e al-
cuni a tempo indeterminato: com-
messi qualificati; cuochi, camerieri,
baristi; impiegati in studi professio-
nali e nel settore turistico; parruc-
chieri ed estetiste; informatici e te-
lematici; contabili; elettricisti;
meccanici; tecnici della vendita;
idraulici e posatori di tubazioni. Il
problema, osserva il segretario della
Cgia Bortolussi, è «la svalutazione
culturale che ha subito in questi ul-
timi decenni il lavoro artigiano» e,
dunque, occorre «rivalutare, da un
punto di vista sociale, il lavoro ma-
nuale e le attività imprenditoriali
che offrono queste opportunità»,
ma anche riavvicinare ad esse la
formazione scolastica e non pena-
lizzarle fiscalmente.
II
POLITICA
II
K
Elsa FORNERO
segue dalla prima
Europeisti
(...)
sovranazionale a cui fa riferimento il no-
stro Capo dello Stato? Oppure all’Europa
che non ci sarà mai di Hollande? A quella
che non riuscirà mai ad ottenere una, sia pur
minima, quota di sovranità nazionale fran-
cese e che al momento non sembra in grado
di perseguire alcun interesse generale se non
quello di una Cancelliera Merkel condizio-
nata dalle esigenze elettoralistiche di casa
propria?
Siamo tutti d’accordo nel preferire all’Europa
che non c’è di Napolitano ed a quella che
non ci sarà mai di Hollande il progetto av-
veniristico degli Stati Uniti d’Europa con Par-
lamento e governi dai cittadini del Vecchio
Continente. Ma in attesa di un futuro che
chissà quando si potrà mai realizzare non
sarebbe il caso di preoccuparsi di perseguire,
sia pure nel rispetto degli ideali europeisti,
l’interesse nazionale del nostro paese? Cioè
comportarsi né più, né meno di come fanno
Hollande, Merkel, Cameron e compagnia
bella rinviando la rinuncia della nostra so-
vranità a quando Francia, Germania e Gran
Bretagna faranno altrettanto? Per costruire
gli tati Uniti d’Europa ci vogliono stati so-
vrani, non subalterni.
ARTURO DIACONALE
Sensazionale
(...)
Non sorprende che appena conosciuta
la sentenza, il mondo intero si sia ribellato,
sia nella componente scientifica che in quella
politica. Gli scienziati si son mostrati increduli
e preoccupati. Increduli, in quanto il Tribu-
nale mostra di conoscere ciò che neppure lo-
ro conoscono dopo decenni di ricerche mon-
diali; preoccupati, in quanto che il Tribunale
ne faccia discendere una condanna è davvero
troppo. È infatti del tutto evidente che il Tri-
bunale non può in alcun modo sapere ciò
che nessun altro conosce, cioè la tecnica per
prevedere con sufficiente certezza l’avverarsi
di un sisma ed è parimenti evidente che la
condanna inflitta a codesti scienziati appare
fondata sul nulla. I politici, invece – in par-
ticolare quelli dei paesi stranieri – hanno in-
vitato ad intervenire il Capo dello stato, ma
senza capire evidentemente come in Italia
funzionino (anzi, “non” funzionino ) le cose
istituzionali. noto che nessuno, neppure il
Capo dello Stato, può qualcosa contro una
sentenza, essendo possibile solo l’Appello per
rimediare all’errore commesso. E ciò sia detto
a quanti – Vietti, vicepresidente del Csm, in
testa – vorrebbero abolire l’Appello, come
inutile e superfluo. Senza l’Appello, Tortora
sarebbe morto in carcere e questi scienziati
oggi condannati lo resterebbero in via defi-
nitiva, mentre oso sperare verranno assolti
da giudici meno esposti all’errore. Piuttosto,
c’è da ribadire come in Italia non esista un
modo per far sì che, una volta accertata la
gravità dell’errore commesso, chi ne sia stato
responsabile sia messo in condizione di non
commetterne altri. Nessuno insomma dotato
del potere istituzionale che possa invitare chi
commetta errori di tale gravità a dedicarsi
ad altre, più innocue, attività.
VINCENZOVITALE
Cavalli&baionette
(...)
Avrebbe potuto ripiegare sull’isolazioni-
smo (come proponeva Ron Paul), esponen-
dosi però al fuoco di fila del suo stesso elet-
torato. Oppure rilanciare la battaglia per
l’esportazione della democrazia (come il Ge-
orge W. Bush dell’11 settembre) e subire la
contestazione di un’opinione pubblica stanca
di guerre all’estero. Ha scelto di non uscire
dalle righe, “fare catenaccio” e non contrad-
dire il comandante in capo. Solo nei prossimi
giorni, con i primi sondaggi nazionali e locali
post-dibattito, vedremo se questa tattica ab-
bia pagato.
STEFANO MAGNI
Il nuovo nemico di classe?
È il ministro Elsa Fornero
Piove! E adesso
arrestate Giove...
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MERCOLEDÌ 24 OTTOBRE 2012
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