Page 1 - Opinione del 26-10-2012

Direttore ARTURO DIACONALE
Fondato nel 1847 - Anno XVII N. 249 - Euro 1,00
DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 - DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale
Venerdì 26 Ottobre 2012
delle Libertà
Tutti a casa?Ora tocca aVendola
Se i guai giudiziari hanno costretto Polverini e Formigoni alle dimissioni, è bizzarro che il governatore
della Puglia sia ancora in sella. Le “sanzioni” politiche non dovrebbero essere uguali per tutti?
Se il Cavaliere si inventa le primarie che uniscono
La triste demagogia dei “nuovisti ad ogni costo”
Berlusconismo, anatomia di una rivoluzione fallita
e primarie come strumento
d’unità. Non solo del Pdl ma
dell’intera area del centro destra.
La genialità della decisione di Sil-
vio Berlusconi di non ripresentare
la sua candidatura a premier e di
promuovere una consultazione po-
polare “aperta” per la scelta del
leader dell’area moderata, è pro-
prio nella scelta di usare le prima-
rie per ricompattare lo schieramen-
to alternativo a quello della
sinistra.
Inevitabile? Scontato? Obbliga-
torio? Niente affatto. Perché se era
scontato, inevitabile, obbligatorio
che il Cavaliere facesse il passo in-
dietro tante volte annunciato nei
L
mesi scorsi, non era affatto così ov-
vio che lo facesse per riunire e non
per dividere la maggioranza degli
elettori che non vuole essere go-
vernata da Bersani, Vendola e Di
Pietro.
Nel Pd, dove le primarie sono
state usate inizialmente per orga-
nizzare plebisciti per i leader già
designati dai gruppi dirigenti (da
Prodi a Veltroni), la consultazione
popolare per la scelta del candida-
to premier è diventata la cartina di
tornasole della spaccatura profon-
da esistente nella sinistra tra i post-
comunisti alla Bersani ed i neo-de-
mocrats alla Renzi. A sinistra, in
altri termini, le primarie stanno
mettendo in luce l’esistenza di due
concezioni politiche incredibilmen-
te diverse destinate, presto o tardi,
a passare dalla competizione al
conflitto ed a prendere strade di-
verse ed alternative. Non a caso
Massimo D’Alema ha annunciato
che in caso di vittoria di Renzi non
avrebbe alcuna esitazione a fare
un nuovo partito (cioè il vecchio
Pci) con Vendola! A destra, invece,
Berlusconi ha puntato sulle prima-
rie per ottenere l’effetto esattamen-
te contrario. In alternativa, netta
ed esplicita, all’ipotesi del cosid-
detto “spacchettamento”. Niente
polverizzazione del Pdl in tante li-
ste tra loro in lotta feroce (quella
delle “amazzoni”, degli ex An, dei
lib-lab, dei cattolici di Comunione
e Liberazione, dei neo-popolari ,
dei formattatori e di ogni dilettante
in libertà). Ma invito a tutte le più
diverse componenti del centrode-
stra a partecipare a primarie aperte
non solo per scegliere il leader ma
per segnare in maniera aperta e
trasparente i rapporti di forza tra
le varie anime dentro uno schiera-
mento necessariamente unitario.
Grazie alla mossa di Berlusconi,
quindi, il Pdl evita la polverizza-
zione e può puntare addirittura ad
allargare il perimetro del proprio
territorio.
Continua a pagina
2
osì come accadeva durante il
crollo della cosiddetta prima
Repubblica, anche oggi vi è un
gran proliferare di iniziative po-
litiche basate sulla ricerca di quel
sempre più chimerico partito dei
puri e degli onesti. C’è chi lo fa
su base anagrafica, come Matteo
Renzi, e chi pensando di sostituire
in blocco l’attuale classe dirigente
con persone provenienti dal po-
polino. Grillo e tanti altri nuovi
sognatori del bene comune sem-
brano prestar fede, anche per mo-
tivi di tornaconto personale, a
questa seconda illusione. Resta il
fatto, come sostiene molto spesso
il mio grande amico Carlo Lot-
C
tieri - autentico maestro di libe-
ralismo - che non possiamo cer-
tamente fare l’esame del sangue
a chiunque si dichiari pronto a
perseguire solo ed esclusivamente
gli interessi altrui. Comunque sia,
tutto questo si fonda su una pre-
tesa popolare assai comprensibile
ma che, analizzata su una piano
logico-razionale, non può che ri-
portarci al punto di partenza, so-
prattutto se applicata all’interno
di un sistema affetto da uno stri-
sciante collettivismo. In sostanza
si vorrebbe che qualcuno, in que-
sto caso la classe politica, perse-
guisse in modo onesto e scrupo-
loso i nostri interessi spendendo
i soldi degli altri. Il che, dimen-
sionato sulla base dell’attuale
controllo di risorse operato dalla
politica, starebbe a significare che
ognuno di noi dovrebbe conse-
gnare oltre metà dei propri red-
diti ad un signore il quale, auto-
certificando la propria probità, ci
promettesse di utilizzarli solo per
i nostri bisogni. Ebbene, credo
che nessun individuo dotato di un
minimo di buon senso affiderebbe
ad altri i propri quattrini con la
speranza che questi vengano poi
spesi per i propri interessi meglio
di quanto farebbe egli stesso. Ep-
pure è proprio su questa base che
l’attuale sistema politico continua
a chiedere al popolo di assogget-
tarsi ad una tassazione folle, più
alta di quella che sopportarono i
kulaki russi all’indomani della
famosa rivoluzione d’ottobre.
Nella sostanza, la vecchia e nuova
politica tendono ancora a pro-
mettere ai cittadini di questo di-
sgraziato Paese di occuparsi di
ogni aspetto del vivere, dalla culla
alla tomba, in cambio di un mo-
dico 55% del prodotto interno
lordo. Qualcosa come 830 miliar-
di di all’anno, euro più euro me-
no. Ora, da incallito liberale, for-
se la svolta potrebbe passare non
per un turn over...
Continua a pagina
2
he cosa non ha funzionato in
Silvio Berlusconi? Per discute-
re serenamente di un leader poli-
tico che ha diviso l’Italia, occorre,
prima di tutto, ammetterne la fine.
E non farsi illudere da eventuali
improvvisi ritorni. Berlusconi è
spesso definito come un’araba fe-
nice: dato sempre per morto, torna
in auge quando nessuno se l’aspet-
ta. In ogni caso: sgombriamoci la
mente da queste ipotesi. E pensia-
mo all’unica cosa reale: il berlu-
sconismo è finito, prima ancora del
ritiro del suo ispiratore. Berlusconi,
entrando in politica nel ‘94, si era
dato un compito ben più ambizio-
so di quello dei suoi colleghi euro-
C
pei di destra. Non doveva solo im-
postare una politica estera diversa
e ridare fiato al mercato libero, ma
pensava di poter ristrutturare il si-
stema-paese. L’imprenditore e ma-
gnate delle televisioni, famoso in
tutta Italia già da due decenni, fu
praticamente l’unico ad intuire
quali fossero i mali radicati nel si-
stema: un centralismo soffocante,
una giustizia disfunzionale e ideo-
logizzata, una Costituzione ormai
datata, uno stato onnipresente
nell’economia, un fisco in grado di
strangolare l’economia e una cul-
tura fondata sull’invidia sociale.
Scese in campo personalmente,
perché riteneva (giustamente) che
nessuno dei leader politici dei pri-
mi anni ’90 fosse in grado di ge-
stire un cambiamento così impo-
nente. Per la semplicissima ragione
che tutti gli uomini politici cresciuti
nel secondo dopoguerra erano im-
bevuti di quella stessa cultura po-
litica che doveva essere cambiata.
Partendo da questi presupposti,
possiamo dire che Berlusconi sia
fallito, proprio perché non è mai
stato berlusconiano. Gli obiettivi
prefissati non sono stati raggiunti,
con tutta evidenza. Non si ricorda
alcuna riforma “memorabile”. E
non si vede alcuna differenza so-
stanziale fra l’Italia del 2012 e
quella del 1994: i problemi che ci
affliggono oggi sono esattamente
gli stessi di allora. Soprattutto, i
dogmi collettivisti e l’invidia socia-
le che egemonizzavano la nostra
cultura allora, sono tuttora domi-
nanti. Ed è proprio qui il motivo
del fallimento del berlusconismo:
è mancato un necessario rinnova-
mento culturale. Prima di tutto:
all’interno degli stessi partiti fon-
dati da Berlusconi, Forza Italia pri-
ma, il PdL poi. In privato, la mag-
gioranza degli esponenti di Forza
Italia, non hanno mai espresso en-
tusiasmo (a dir poco) per il disegno
di riforma del Paese concepito da
Berlusconi.
Continua a pagina
2
di
ARTURO DIACONALE
L’ex premier è uscito
dal campo. E con
la sua decisione
ha prodotto lo stesso
effetto di quando
decise di entrarci.
Il Pdl può evitare
la polverizzazione
e puntare ad allargare
il proprio perimetro
di
CLAUDIO ROMITI
Ridare alla società
una parte di quanto
le viene sottratto
e per conto di uno stato
che socializza le perdite
e fa godere i profitti
solo ai membri di caste
protette, potrebbe
rappresentare
una svolta epocale
di
STEFANO MAGNI
Non è mai stato tentato
alcun“fusionismo”
fra le culture interne
a Forza Italia, né fra
quelle di Forza Italia
e Alleanza Nazionale.
La cultura politica,
snobbata dal premier
del fare”, dopo un po’
di tempo si è vendicata