Page 7 - Opinione del 27-9-2012

II
POLITICA
II
In cerca di una via italiana al modello francese
di
STEFANO CECCANTI
el 1951 e nel 1956 la Francia
ha sperimentato anch’essa il
sistema del maggioritario di coali-
zione, un sistema a premio con ap-
parentamenti tra forze politiche di-
verse che nelle speranze originarie
avrebbe dovuto dare forza al siste-
ma parlamentare della Quarta Re-
pubblica. È l’unico caso compara-
bile tra le esperienze europee, dove
si vota solo per i partiti, anche se
non era legato come da noi nel
post-1993 alla possibilità dell’al-
ternanza, da cui erano esclusi i co-
munisti per il rapporto con l’Urss
e i gollisti per la pregiudiziale co-
stituzionale. Era uno schema simile
a quello della cosiddetta “legge
truffa” degasperiana di due anni
dopo (che si ispirò ad essa) per
puntellare in seggi l’unica coalizio-
ne possibile.
Perché fallì lo spiegò nell’agosto
1958
l’architetto della Costituzione
della Quinta Repubblica, Michel
Debré davanti al Consiglio di Sta-
to: «Si è cercato alla fine un rime-
dio attraverso coalizioni o contratti
tra partiti. Tempo perso! L’accordo
tra fazioni non resiste al senso d’ir-
responsabilità che l’assembleari-
smo dà a ciascuna di esse e ai loro
membri».
Questa è la prima presa di co-
scienza che dovremmo assumere. Il
bipolarismo affidato alle coalizioni
pre-elettorali ci ha dato alcuni
aspetti positivi, come l’incentivo
all’alternanza superando la propor-
zionale pura, ma non è stato in gra-
do di assicurare la governabilità. In
parte in sé per la spinta a sorvolare
sulle differenze programmatiche per
dare vita a colizioni contro e in par-
te per com’è stato congegnato, in
modo strabico, giacché l’elemento
coesivo del premio era in larga par-
te neutralizzato dalla pratica assen-
za di sbarramenti per le forze che
entravano nelle coalizioni. Diverso
il bilancio a livello locale ma solo
perché lì questi difetti sono com-
pensati dalla forma di governo, ov-
vero dall’elezione diretta del vertice
dell’esecutivo dotato dell’elemento
dissuasivo del ricorso al voto anti-
cipato. La diversità del bilancio si
vede da un dato tangibile: mentre
un sindaco eletto che cerca la ricon-
ferma di norma la ottiene con un
consenso ben più ampio, evitando
molto spesso il ballottaggio, dal
1994
ad oggi chi ha vinto un’ele-
zione nazionale ha sempre perso
quella successiva. Segno che ha de-
bolmente risposto alle aspettative
del proprio campo e che ha invece
mobilitato l’elettorato avverso gra-
zie a qualche scelta politica comun-
que effettuata.
Proprio il caso dei comuni do-
vrebbe farci riflettere: l’elezione di-
retta è capace di strutturare il siste-
ma istituzionale evitando che la crisi
dei partiti si rovesci su di esso, come
ha ben spiegato Sergio Fabbrini, co-
sa che nessun sistema elettorale di
per sé può fare, neanche il doppio
turno uninominale di collegio. Il
rendimento di quest’ultimo non è
separabile dall’elezione diretta del
Presidente perché le singole compe-
tizioni di collegio non sono di per
sé in grado di produrre un esito na-
zionale coerente se non esiste pre-
viamente un sistema di partito strut-
turato nazionalmente. Questa è la
differenza tra Terza e Quinta Re-
N
pubblica: entrambe hanno utilizzato
quel sistema, ma solo il secondo,
grazie all’elezione del Presidente, ha
avuto esiti efficaci. Lo spiegava bene
Debré nel medesimo intervento già
citato, tre mesi prima che venisse
reintrodotto il collegio uninominale:
«
Per quanto desiderio si abbia di
una legge elettorale nuova e mag-
gioritaria e per quanto essa sia ne-
cessaria... in Francia la stabilità di
Governo non può risultare anzitut-
to dalla legge elettorale, bisogna che
risulti almeno in parte dalla rego-
lamentazione costituzionale».
Giacché però è ormai evidente
che non siamo politicamente in gra-
do in questa legislatura di raggiun-
gere tale obiettivo, nonostante l’ap-
pello dei parlamentari dell’Agenda
Monti, ma che sullo sfondo resta
l’unico sistema in grado di risovere
i nodi che ci attanagliano, e che l’at-
tuale legge elettorale non è uno
strumento utilizzabile (le lunghe li-
ste bloccate creano repulsione, si
giustifica molto male un premio na-
zionale che con un voto in più porti
al 54% della Camera una coalizio-
ne che, dopo la rottura di quelle tra-
dizionali, può arrestarsi realistca-
mente al 30% dei voti) quale può
essere una legge-ponte non contrad-
dittoria con quel possibile esito?
In primo luogo non un sistema
con le preferenze che riporterebbe
l’Italia a un’anomalia tra le grandi
democrazie, soppressa coi referen-
dum del 1991 e del 1993, e che ag-
giungerebbe alla frammentazione
tra i partiti quella nei partiti, negan-
do in radice l’esigenza di riduzione
dei costi della politica. Le vicende
attuali che sconvolgono le Regioni
sono strutturalmente legate al voto
di preferenza sulla dimensione pro-
vinciale, sono relative a dover tenere
in piedi organizzazioni personali
che si sovrappongono a quelle di
partito. Figurarsi cosa accadrebbe
con le circoscrizioni pluriprovinciali
o regionali per le Politiche. Attenia-
moci invece agli standard europei:
collegi uninominali (non quelli an-
ch’essi anomali del provincellum,
peraltro abrogati dal referendum
del 1993) e liste corte.
In secondo luogo un sistema sì
a base proporzionale, come si con-
viene a una fase obiettivamente co-
stituente, ma con elementi signifi-
cativi di correzione della logica
fotografica del proporzionalismo
puro perché l’esigenza di governa-
bilità non può essere messa tra pa-
rentesi: collegi, assegnazione circo-
scrizionale dei seggi metodo
d’Hondt e una piccola protesi di un
premio nazionale, meglio se al par-
tito, visto che dobbiamo superare
la logica delle coalizioni che non ha
dato risultati positivi.
Non tutto ciò che supera il Por-
cellum è di per sé votabile. Certo
non una riforma che facesse ritor-
nare la Camera a prima del referen-
dum 1991 e il Senato a prima di
quello del 1993.
Stefano Ceccanti è senatore del
Pd dal 2008, membro della com-
missione Affari costituzionali, è or-
dinario di Diritto Pubblico Compa-
rato all’Università La Sapienza di
Roma. Ultimo libro: “Al cattolico
perplesso. Chiesa e politica
all’epoca del bipolarismo
e del pluralismo religioso”.
Questo articolo è pubblicato per
concessione di qdrmagazine.it
Non tutto ciò che supera
il Porcellum è di per sé
votabile. Certo non
una riforma che facesse
ritornare la Camera
a prima del referendum
1991
e il Senato a prima
di quello del 1993
Abbiamo bisongo
di un sistema
che garantisca
la governabilità.
E quindi in primo luogo
non un sistema
con le preferenze
che riporterebbe l’Italia
a un’anomalia
tra le grandi democrazie,
soppressa
coi referendum del 1991
e del 1993,
e che aggiungerebbe
alla frammentazione
tra i partiti quella
nei partiti, negando
in radice l’esigenza
di riduzione dei costi
della politica.
Le vicende attuali
che sconvolgono
le Regioni sono
strutturalmente legate
al voto di preferenza
sulla dimensione
provinciale, sono relative
a dover tenere in piedi
organizzazioni personali
che si sovrappongono
a quelle di partito.
Figurarsi cosa
accadrebbe
con le circoscrizioni
pluriprovinciali
o regionali
per le Politiche.
Atteniamoci invece
agli standard europei:
collegi uninominali
(
non quelli anch’essi
anomali
del provincellum,
peraltro abrogati
dal referendum
del 1993) e liste corte
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 27 SETTEMBRE 2012
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